mercoledì 5 novembre 2025

Festa del cinema di Roma, 15-26 ottobre 2025 (Seconda parte)

Leggi anche la prima parte delle recensioni della Festa del cinema.

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Anatomia de un istante = Anatomia di un istante

La combinazione di una sceneggiatura che viene direttamente dal bellissimo libro di Javier Cercas (letto e amato a suo tempo) e della regia di Alberto Rodríguez (già apprezzato nei suoi lavori precedenti) mi convince immediatamente ad affrontare le tre ore di proiezione della miniserie Anatomia de un istante, che – in maniera molto rispettosa della struttura del libro – racconta la storia del tentativo di golpe spagnolo del febbraio 1981 attraverso il punto di vista di alcuni dei suoi principali protagonisti, in particolare Adolfo Suárez, presidente del consiglio dimissionario, colui che aveva traghettato la Spagna dalla dittatura alla democrazia dopo la morte di Franco, il generale Manuel Gutièrrez Mellado, vicepresidente del Consiglio e figura chiave per i rapporti del governo democratico con la parte militare del paese, e Santiago Carrillo, capo del partito comunista spagnolo vissuto a lungo in esilio e tornato in patria dopo la legalizzazione del partito.

La regia di Rodríguez è pulita e lineare, senza essere noiosa e didascalica: c’è un che di classico nella narrazione per immagini realizzata dal regista, ma con diversi twist di montaggio che le conferiscono un’allure molto contemporanea. Rodríguez e il suo sceneggiatore riescono a rendere comprensibile una storia piuttosto complessa e narrata in parte in maniera ricorsiva, in parte in modo lineare, in parte andando avanti e indietro nel tempo. Non so se perché già ne conoscevo i contenuti, personalmente non ho fatto fatica a seguirne tutti i passaggi.

La serie si sforza anche di mantenere la tridimensionalità dei suoi protagonisti e di non ridurli a macchiette, in positivo o in negativo, facendo emergere invece le contraddizioni dei processi e delle persone, e i percorsi non scontati e ben poco ideologici dei cambiamenti.

Da questo punto di vista, devo dire che la serie mi ha trasmesso di meno del libro, molto efficace – parlando di questa storia specifica – anche nel parlare della politica, un concetto che nel tempo abbiamo completamente perso di vista a vantaggio delle battaglie da social.

Comunque un gran prodotto che merita di essere visto da molta gente.

3,5/5



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Palestine 36

Avendo visto da poco il film della regista palestinese-americana Cherien Dabis Tutto quello che resta di te, che racconta tre generazioni di una famiglia palestinese dal 1948, ho scelto di vedere Palestine 36 in quanto racconta quello che accadde a questa terra (e al popolo che la abitava) a partire dal 1936 e lo fa in particolare attraverso la figura di Yusuf, un giovane che si divide tra la vita in città, a servizio degli inglesi sotto il cui protettorato si trovava la Palestina, e quella nel suo villaggio. Yusuf, e insieme a lui gli altri personaggi che animano questo racconto, diventano i testimoni della crescente immigrazione di ebrei sulla loro terra e delle politiche e decisioni via via sempre più favorevoli a questi ultimi da parte dei britannici, a svantaggio dei palestinesi.

Da qui l’inizio della rivolta armata di palestinesi che prima erano operai e abitanti pacifici di questi territori ma che finirono per imbracciare le armi a difesa della loro vita e delle loro case.

Come già avevo osservato al termine del film Tutto quello che resta di te, è giusto che – dopo tanta narrazione di matrice ebraica sulle vicende del loro popolo e sul rapporto con la Palestina – anche i palestinesi comincino a raccontare la propria versione dei fatti, a mettere in sequenza gli eventi e a proporre la propria narrazione.

Quindi ben vengano finalmente questi film che ci permettono di essere meno ignoranti e di avere più elementi di conoscenza, ma anche di sviluppare delle curiosità in più.

Però, dal mio punto di vista si tratta di prodotti non eccelsi dal punto di vista della qualità cinematografica, film ben fatti sicuramente, e anche ben recitati grazie alla presenza di attori navigati (il solito Saleh Bakri in questo caso), che però risultano dal mio punto di vista un po’ standardizzati. D'altra parte è comunque da qui che i registi palestinesi inevitabilmente debbono partire.

Voto: 2,5/5



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Rental family - Nelle vite degli altri


Il film Rental family mi ha riportato immediatamente alla mente il documentario Family Romance, Llc. di Werner Herzog che avevo visto al Detour (sigh!!) e che per la prima volta mi aveva fatto conoscere questo business tutto giapponese di società che mettono a disposizione attori per impersonare una figura o un ruolo richiesto dal cliente. Tra l’altro, come in quel film, anche in questo una delle storie centrali è quella di un finto padre che viene fatto conoscere a una ragazzina che vive con la sola madre.

In questo caso si aggiunge l’aspetto della relazione tra culture diverse visto che al centro della narrazione di Rental family c’è un americano (Brendan Fraser), un attore che vive in Giappone da quando ha girato alcune pubblicità per il mercato giapponese. Visto che il lavoro scarseggia, Philip decide di accettare l’offerta di una di queste società che noleggiano persone per interpretare dei ruoli nelle vite degli altri.

A quel punto Philip si trova a fare i conti con i sentimenti delle persone nelle cui vite viene catapultato e con la propria coscienza occidentale che fa fatica ad accettare questo approccio. La regista Hikari, giapponese di nascita e formazione ma trapiantata ormai negli Stati Uniti da molti anni, sembra voler guardare alla sua cultura di origine con gli occhi nuovi di chi è andato via, e in qualche modo punta a produrre una sintesi nuova tra le sue radici e i nuovi apporti culturali.

Niente di particolarmente originale, ma una di quelle commedie di buoni sentimenti fatte con quel tocco leggero e profondo che solo i giapponesi riescono ad avere.

Voto: 3/5



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Good boy

Che Jan Komasa sia uno dei nuovi, emergenti talenti della cinematografia mondiale lo si era capito già con Corpus Christi. Grazie anche al successo di quel film, Komasa può tornare al cinema con un'opera ancora più ambiziosa, che può contare su una produzione importante e un cast di alto livello.

Dopo una notte di eccessi, traboccante di alcol, droghe e sesso, Tommy (Anson Boon), un ragazzo diciannovenne, si ritrova rinchiuso e legato a una catena nella cantina di una famiglia all'apparenza perbene (padre, madre e un figlio di 12-13 anni).

Ben presto si rende conto che l'obiettivo della famiglia che lo ha sequestrato è quello di rieducarlo e di trasformarlo in un good boy, con le buone e con le cattive.

La figura inquietante e manipolatrice di questa famiglia è la madre (la bravissima Andrea Riseborough), cui il marito (Stephen Graham)
e il figlio sono in qualche modo sottomessi. Nel passato di questa famiglia sembra esserci stato un altro figlio la cui storia rimane volutamente ambigua, né ci vengono date ulteriori informazioni man mano che il coinvolgimento di Tommy nella routine familiare cresce e dopo che in questa dinamica entra anche la ragazza straniera, ex prostituta, che fa le pulizie nella casa.

Il film di Komasa sta sospeso tra diversi generi così come molti sono i temi che si fanno largo nella sua narrazione. Un po' Lanthimos un po' Fratelli d'innocenzo (in particolare mi ha ricordato il film America Latina) Komasa attira lo spettatore in una vera e propria trappola morale, lo chiama a scegliere da che parte stare e, nei meandri di un inquietante tono grottesco e di un'inattesa tenerezza, lo spiazza e lo disorienta, lasciandolo senza risposte preconfezionate.

Un'altra grande prova di un regista che è ormai una realtà consolidata.

Voto: 4/5




domenica 2 novembre 2025

Festa del cinema di Roma, 15-26 ottobre 2025 (Prima parte)

Sempre un po’ più insofferente rispetto al costo dei biglietti e alla necessità - almeno per alcuni film - di farli nelle primissime ore dall’apertura della biglietteria online (con il suo sistema demenziale di assegnazione dei posti e la commissione assurda per ogni biglietto fatto), eccomi comunque e sempre alla festa del cinema di Roma, anche quest’anno.

Come lo scorso anno, ho fatto una scelta che potesse comprendere sia film più mainstream – destinati a uscire in sala – sia film maggiormente di nicchia che forse in sala non vedremo mai, e ho preferito – esattamente come l’anno scorso – le proiezioni all’auditorium, in particolare in sala Borgna, per respirare un po’ di atmosfera del festival, senza spendere delle cifre assurde.

Alla fine sono riuscita a vedere parecchi film (15 in tutto), uscendo sfiancata ma felice da questa intensissima settimana di cinema.

[Vedi anche la seconda parte delle recensioni dei film della Festa del cinema 2025].

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Hedda

La festa del cinema si apre con la consegna da parte di Paola Malanga alla regista newyorkese Nia DaCosta del Premio Progressive Cinema alla carriera, con tanto di motivazione articolata e dettagliata. Personalmente non conoscevo il cinema di Nia DaCosta, né lei come regista, ma comprendo da questa presentazione che trattasi di regista e sceneggiatrice eclettica che non ha paura di cambiare e di osare.

Così dopo un horror e un film dell’universo Marvel, con Hedda eccola alle prese con Hibsen. Non conoscevo il dramma di Hibsen, Hedda Gabler, da cui è tratto il film e dunque per curiosità sono andata a rileggermi a posteriori la trama, e mi ha colpito molto il fatto che, dentro un impianto narrativo sostanzialmente rispettato, la DaCosta abbia introdotto varianti che apportano non solo modernità ma anche livelli di lettura ulteriori, dal cambio di genere o del colore della pelle di alcuni dei protagonisti all’uso del tema “sesso” come elemento catalizzatore o attivatore.

La storia è quella di Hedda Gabler (Tessa Thompson), una donna ambiziosa che ha sposato un uomo affettuoso, ma fin troppo mite, che aspira alla carriera accademica. I due decidono di dare una grande festa nella casa di campagna che non sanno se potranno mantenere, e durante questa festa gli eventi precipiteranno a causa di vecchie passioni, di rancori mai sopiti e di rivalità emergenti.

Il film di Nia DaCosta attinge a un’estetica classica e pop insieme, cui conferisce un approccio postmoderno, anche grazie all’uso di una colonna sonora cronologicamente dissonante. Da diversi punti di vista, quello estetico primariamente, ma anche quello dei contenuti, in particolare nella scelta di una protagonista con un approccio seduttivo e senza scrupoli, che utilizza il sesso come strumento di manipolazione, mi ha ricordato un film visto proprio alla festa del cinema nel 2023, ossia Saltburn di Emerald Fennell.

E forse per questo motivo l’operazione non mi è sembrata così originale e dirompente come avrebbe potuto essere, pur trattandosi di un film sicuramente ben fatto e di qualità.

Voto: 3/5



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Yes


Una volta fatta la tara della inutile polemica che ha accompagnato la presenza di questo film e del suo regista e parte del cast alla Festa del cinema di Roma, polemica che dimostra ignoranza e intolleranza in pari grado, passo a parlare di Yes, film sorprendente e imprevedibile, almeno per me che poco conoscevo della carriera cinematografica fin qui di Nadav Lapid.

Il film racconta la storia di Y (Ariel Bronz) e di Yasmin (Efrat Dor), una coppia con figlio piccolo che vive a Tel Aviv, lui un mediocre pianista, lei una ballerina; insieme integrano i loro magri guadagni esibendosi nelle feste dei ricconi ebrei e offrendo i loro corpi e le loro prestazioni sessuali per soddisfare i desideri più o meno assurdi di una borghesia annoiata. In un’atmosfera surreale e grottesca che un po’ mi ha fatto pensare a Triangle of sadness di Östlund, i personaggi si muovono in uno stato di esaltazione alternato a momenti di depressione, una specie di bipolarismo folle e senza soluzione.

La deflagrazione di questa condizione – già di per sé assurda – arriva quando a Y viene offerto di musicare un nuovo inno nazionale israeliano che chiama alla distruzione di Gaza, e l’uomo si trova lacerato tra l’irricevibilità morale di questo incarico e la tentazione di fregarsene degli scrupoli morali e intascare i soldi. In questa condizione di malessere, si allontanerà da Yasmin e andrà a incontrare la sua ex fidanzata spingendosi fino ai confini di Gaza.

Tutto nel film di Lapid è storto, confuso, doloroso, contraddittorio, sia a livello visivo e sonoro, sia a livello di contenuti. Un’esperienza sensoriale che trascina nella follia di un paese che nella sua quotidianità fa finta di essere normale, nonostante tutto intorno gridi l’impossibilità di una normalità e di una felicità che inevitabilmente diventa violenta e colpevole.

Ne viene fuori un atto d'accusa nei confronti di quello che Israele e gli israeliani sono diventati, ma anche un grido di disperazione di fronte a una complessità soverchiante che fa sentire i protagonisti continuamente inadeguati e la cui unica via d’uscita sembra la fuga.

Si ride con orrore. E non è poco.

Voto: 3,5/5




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Anemone


Ronan Day-Lewis è pittore e figlio d'arte, approdato con questo film dietro la macchina da presa per il racconto della storia di due fratelli allontanati dagli eventi della vita, che si ritrovano, confrontandosi e affrontandosi, quando uno dei due (Sean Bean) – per una serie di motivi che si scopriranno nel corso del film – decide di prendere la sua moto e di andare a trovare l’altro (Daniel Day-Lewis) che vive come un eremita in mezzo ai boschi.

Ronan Day-Lewis si può permettere una grande produzione, grandi attori nel cast e riporta al cinema il padre, Daniel Day Lewis, dopo 10 anni di assenza dal grande schermo; diciamo dunque che è nelle condizioni migliori possibili in cui si può trovare chi si trova a dirigere un film per la prima volta.

Secondo me però Ronan ha voluto in qualche modo strafare, e in questo film c'è troppo: non solo le difficoltà dei rapporti familiari, ma anche la pedofilia dei preti, un padre violento, il periodo degli attentati dell’IRA, e chi più ne ha più ne metta.

E, nonostante tutti questi contenuti, resta un film sostanzialmente noioso, che tende a girare a vuoto, tanto che a certo punto non capivo come tutti questi rivoli potessero essere ricondotti alla conclusione, tra l’altro assolutamente prevedibile.

Un film infine molto maschile, di tanti silenzi, molta fisicità e poche parole.

Insomma, l’ho trovato particolarmente indigesto.

Voto: 2/5



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Nino


Nino (il bravissimo Théodore Pellerin, uno di quegli attori che è in grado di recitare con ogni minimo movimento del corpo o del viso) scopre quasi per caso e un po' alla sprovvista che i piccoli fastidi alla gola che ha da qualche tempo sono dovuti a un cancro. Da questo momento la regista Pauline Loqués segue il suo protagonista per i tre giorni successivi fino all'inizio della prima seduta di chemioterapia, tempo nel quale Nino dovrà innanzitutto affrontare dei problemi pratici (ha perso le chiavi di casa e deve riportare in ospedale una provetta col suo sperma per congelare i suoi spermatozoi), e soprattutto dovrà accettare questa nuova condizione e anche provare a condividerla con le persone a cui vuole bene.

Lo seguiremo così prima a casa della madre, poi a casa di un amico che ha organizzato una festa a sorpresa per il suo compleanno, poi a casa della ex fidanzata con cui ha rotto da tempo, infine a casa di una vecchia amica di scuola che non incontra da tempo e che ora è madre single di un bambino.

Quella di Nino sarà una graduale presa di coscienza non solo e non tanto della nuova condizione che lo attende, ma anche e soprattutto di quello che lo circonda, di ciò che è consolidato ma che a volte diamo per scontato o non vediamo, e di ciò che potrebbe avere un significato importante – anche solo per un breve momento – e a cui non ci lasciamo andare.

È un film di sentimenti sottili, che non vuole in alcun modo essere lacrimevole o puntare al melodramma, bensì vuole farci vedere, attraverso gli occhi del suo protagonista, la ricchezza di umanità e sentimenti che ogni vita porta con sé.

E comunque, dobbiamo prendere atto che solo i francesi possono fare film così – parlando di cose piccole e grandi - senza essere banali né noiosi.

Voto: 3,5/5


giovedì 30 ottobre 2025

Il Sud-Ovest dell’Inghilterra: vagando tra Wiltshire, Hampshire, Dorset, Devon, Cornwall e Somerset (seconda parte)

Tra cani e pecore a Minions
Leggi qui la prima parte del racconto di viaggio.

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Luoghi visitati in transito: Minions, Cawsand e Kingsand, Polperro

Nello spostamento tra Longdown e Perranuthnoe, terza sistemazione della nostra vacanza, attraversiamo il grande ponte che unisce il Devon alla Cornovaglia, passiamo vicino a Plymouth (ma non ci fermiamo) e invece puntiamo verso Minions (!!!!), un paesino il cui nome è tutto un programma ma che decidiamo di visitare perché ci sono tre circoli di pietre del neolitico.

Nei pressi di Minions
La visita al circolo di pietre è una scusa per fare poi una passeggiata nella brughiera fino a quello che a me sembra un tor, ma di fatto è una collina su cui ci sono delle strane formazioni rocciose e che qui chiamano cheesewring. Da qui si domina il paesaggio tutto intorno, dove ci sono mucche al pascolo, cavalli, pecore e numerose engine houses, costruzioni preindustriali che sono una specie di simbolo della Cornovaglia e ricordano il suo passato minerario.

In quello che per gli inglesi è un lungo weekend che si conclude il lunedì con una loro bank holiday, le strade sono affollate e i locali approfittano per fare gite e gitarelle. Così quando tentiamo di andare alle cascate non lontane da Minions troviamo il parcheggio strapieno di macchine e decidiamo di rinunciare.

Cawsand
Andiamo invece verso Rame Head, nonostante ciò comporti tornare leggermente indietro. In particolare puntiamo ai paesi di Cawsand e Kingsand, villaggi gemelli che sono nella baia prima di Rame Head. I paesi sono davvero carini, c'è gente ma non una folla insopportabile, e ci fermiamo a comprare qualche ricordino. Poi facciamo una passeggiata tra i due paesi e visto che è una giornata splendida ci fermiamo infine sulla spiaggetta per un bagno. Qui rimaniamo fino a quando la spiaggia va quasi completamente in ombra.

L’ultima tappa di questa giornata di transito è Polperro, paesino di mare incastonato in una specie di fiordo. C'è un parcheggio a inizio del paese (7 sterline, costo minimo fino a 3 ore) e da qui a piedi si arriva al porto. Arriviamo quando i negozi hanno chiuso quasi tutti e il paese si è scaricato di gente, il che lo rende molto bello e suggestivo anche se è evidente che si tratta di un posto ormai abitato quasi esclusivamente da turisti. Facciamo su e giù per le stradine intorno al porto e poi torniamo verso la macchina direzione Penzance.

St Michael's Mount visto da Perranuthnoe
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Terza parte del viaggio: Cornwall

Dove abbiamo dormito e mangiato

La nostra base per i giri in Cornwall è il piccolo villaggio di Perranuthnoe, e più esattamente lo chalet gestito da Bridget e suo marito (scozzese) che è quello dove stavano le figlie e che, dopo che queste ultime sono diventate grandi e sono andate via, è stato destinato ad alloggio turistico. Lo chalet sta su una collina vicina al villaggio che domina tutta la baia e da cui si vede non solo la spiaggia del paese ma anche l’isola di St Michael' Mount e i paesi dall’altro parte, Newlyn e Mousehole. Un posto incantevole con qualunque meteo che fa venir voglia di stare seduti in terrazza a guardare il cielo, il mare e le maree e ad ascoltare il rumore delle onde. Bridget e il marito sono discreti e ospitali e ci lasciano scones, clotted cream e marmellata di lamponi nel frigo, consentendomi di fare colazione con queste prelibatezze per quasi tutte le mattine che rimarremo qui.

Il nostro primo cream tea
Riguardo alle tappe mangerecce, non posso non segnalare, sulla strada dal Devon alla Cornovaglia, il Minions Shop and Tea room dove ci fermiamo a mangiare il nostro primo cream tea (il trittico delle meraviglie, già ricordato, scones, clotted cream e marmellata di lamponi). Buonissimo tutto!!! Tra l’altro il posto è speciale e mentre noi mangiamo ai tavoli all’aperto intorno a noi ci sono in giro pecore, mucche, cani e bambini, in un’atmosfera a dir poco bucolica.

Un posto che abbiamo frequentato ben due volte è stato il Victoria Inn di Perranunthoe (il pub col muro rosa), dove ci siamo fermate un giorno per aperitivo con birra e patatine e un altro giorno per una cena che pensavamo stile pub ed invece abbiamo beccato la tapas night, che poi era una pub night modificata 😉

Victoria Inn a Perranuthnoe
Nella zona della penisola di Lizard, facciamo una bella pausa pranzo con sandwich e cream tea alla Tregullas Farm, una fattoria che ha anche un punto vendita di suoi prodotti e altro e fa piccola ristorazione.

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Luoghi visitati: Piskies Cove, Newlyn e Mousehole, Land’s end

Il primo giorno di permanenza a Perranunthoe decidiamo di fare una passeggiata lungo la costa e prendiamo il sentiero che va verso Cudden Point. Si tratta di un sentiero talvolta molto stretto che passa in mezzo agli arbusti bassi e che permette di godere di una splendida vista sul mare e sulle tante baie; vediamo anche un bel po’ di capoccette di foche che fanno capolino qua e là nell’acqua. Dopo Cudden Point proseguiamo ancora un po’ fino a quando davanti a noi si apre una bellissima baia con poca gente. Si tratta di Piskies Cove (la baia delle fate), dove decidiamo di fermarci un po' e fare un bagno.

A Newlyn per la festa delle sardine
Nel pomeriggio invece andiamo verso Newlyn, perché abbiamo letto che c'è il festival delle sardine. Parcheggiamo al porto e dopo aver pagato due piatti di sardine e una birra ci mettiamo in fila per ritirarli e li mangiamo sul muretto come tutti i locali. Facciamo poi un giro per il paese fermandoci anche a seguire un concerto nel cortiletto di un pub.

Andiamo poi a Mousehole che è ormai l’ora del tramonto e un sacco di bambini, ragazzi e adulti approfittano dell'alta marea per fare il bagno tuffandosi dal molo del porto. Tornate al nostro chalet assistiamo al primo, bellissimo tramonto della nostra vacanza con il sole che cala dietro St Michael's Mount.

Sennen Cove
Il giorno dopo andiamo verso Sennen Cove da dove parte un sentiero verso Land's End. Ci fermiamo al primo parcheggio utile, che è quello in alto sulla collina da cui si vede tutta la baia: sembra una grande spiaggia californiana con un mare da Sardegna. Scendiamo poi per il sentiero che porta alla spiaggia e che è molto ripido e non proprio agevole, salvo poi accorgerci che di parcheggi ce ne sono diversi a livello del mare (forse più costosi ma certamente più comodi). Lasciandoci la baia a sinistra, imbocchiamo infine il sentiero cui puntavamo: saliamo prima verso l'osservatorio e poi costeggiamo la bellissima scogliera fino ad arrivare a Land's End o, meglio, al punto in cui si trova la cosiddetta “last and first house”, e dove c’è moltissima gente che fa e si fa foto. Al ritorno imbocchiamo una pista ciclabile che attraverso un percorso più interno e più in piano ci riporta al punto di partenza.

Il sito minerario abbandonato di Botallack
Ci fermiamo così alla spiaggia dove io faccio anche un piccolo bagno in un’acqua fredda ma limpidissima! Un bagno magnifico, il più bello fin qui.

Nel pomeriggio andiamo verso il sito minerario abbandonato di Botallack, dove ci sono molti resti di costruzioni minerarie e di engine houses a picco sulla scogliera. Facciamo una passeggiata molto suggestiva con la luce del sole calante e poi torniamo verso Perranunthoe ma facendo una sosta intermedia a Lanyon quoit, uno dei tanti dolmen e altri resti neolitici di cui è ricca questa zona.

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St Michael's Mount
Luoghi visitati: Mount Saint Michael, Lizard peninsula


Un’altra giornata della nostra permanenza a Perranuthnoe è dedicata a St Michael's Mount e alla Lizard peninsula. È una giornata grigia e ventosa, con un discreto freddino.

In mattinata andiamo al parcheggio sulla spiaggia prima di Marazion e da qui facciamo una bella passeggiata sulla battigia fino ad arrivare all’imbocco del sentiero di pietra che porta all’isoletta di St Michael's Mount. Di fatto, si tratta del luogo gemello del più famoso Mont Saint Michel, nel nord della Francia, e come in quel caso anche qui l’isola è raggiungibile a piedi quando la marea è bassa, mentre nelle altre ore della giornata bisogna prendere delle barchette.

Kynance Cove
Noi aspettiamo un pochino che la marea si abbassi ancora (e lo fa quasi a vista d’occhio) e ci incamminiamo sulla stradina, prima con le scarpe, poi - dopo che un’onda un po’ più agitata mi ha bagnato le scarpe (S. si salva!) – proseguiamo a piedi nudi. Arriviamo all’ingresso del castello, ma non avendo il biglietto (costosissimo!) diamo un'occhiata e torniamo indietro alla macchina.

La seconda parte della giornata è dedicata alla penisola di Lizard. Lungo la strada prendiamo un acquazzone ma quando arriviamo al paese ha smesso di piovere. Dopo la pausa pranzo alla Tregullas Farm, ci avviamo sul sentiero verso Kynance Cove: arriviamo a una prima baia dove stiamo quasi per fermarci pensando sia Kynance Cove. Per fortuna Google maps ci permette di capire che siamo ancora lontani dalla nostra meta e così proseguiamo lungo la scogliera battuta dalle onde (per noi già altissime - chissà durante le tempeste invernali!), e arriviamo infine alla vera Kynance Cove dove, nonostante il divieto di balneazione a causa delle condizioni meteo, ci sono molti temerari che stanno facendo il bagno. 

Lizard Point
Tra sali e scendi, e centinaia di gradini, arriviamo oltre il bar che si trova proprio al centro della baia e poi, lungo la stessa strada, torniamo verso il paese. In macchina ci avviciniamo a Lizard Point, dove scendiamo al vecchio imbarcadero a vedere le foche, che fanno capolino tra le onde illuminate dalla luce del tramonto. Ci sediamo sul muretto ma a un certo punto una grossa onda bagna me e un altro ragazzo che stava sul muretto a leggere: io impreco, accorgendomi subito dopo che alla scena hanno assistito dei turisti italiani!

Torniamo dunque allo chalet, e durante la notte un grosso temporale ci sveglia.

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St Ives
Luoghi visitati in transito: St Ives, Godrevy lighthouse e Mutton Cove


La mattina il vento ha spazzato via quasi tutte le nuvole ed è una bella giornata ventosa. Prepariamo i bagagli e dopo colazione partiamo, invero un po' a malincuore.

Siamo dirette a St Ives, uno dei paesi più grandi della Cornovaglia e sicuramente il più turistico. Abbiamo letto cose tremende sul girare in macchina nel paese e sui parcheggi: appena entrate in paese ci fermiamo al parcheggio Trenwith, che sta in cima alla collina sul cui fianco si sviluppa l’intero paese con case in fila che digradano verso la baia. In realtà dal parcheggio c’è un autobus-navetta che con due sterline in pochi minuti ci porta in centro.

Godrevy lighthouse
Qui ci fermiamo alla caffetteria Sea of coffee per comprare caffè e magliette, e poi andiamo al porto dove c'è la bassa marea e una montagna di gente.

La cittadina è molto graziosa ma anche molto turistica; però basta allontanarsi dalle tre vie principali per trovare angoli tranquilli. Infilandoci nelle stradine arriviamo a The island e alla spiaggia di Porthmeor, e da qui andiamo a vedere la Tate St Ives, un museo di arte contemporanea con una prevalenza di artisti locali, che a dire il vero – salvo poche eccezioni – non ci conquistano. La struttura del museo però è bella, con scorci suggestivi sul mare.

La three mile beach
Tornate al parcheggio e ripresa la macchina, andiamo dall’altra parte della baia, alla cosiddetta three mile beach. Ci fermiamo al Godrevy point da dove con una breve passeggiata si arriva al punto di osservazione del Godrevy lighthouse (quello di Virginia Wolf) e alla Mutton Cove, famosa per essere luogo di riposo di una colonia di foche. Di fronte al faro due ragazzi ci fanno notare che nell'acqua c'è un animale che non sembra una foca: è più grande e sta immobile nello stesso punto da parecchio. Il ragazzo ipotizza che si tratti di uno squalo elefante. Chissà se è proprio così!! Alla Mutton Cove vediamo tante foche di vari colori e anche due baby foche bianche.

Mutton Cove con le foche che si confondono con le pietre
Poi, con la macchina andiamo al parcheggio delle Gwithian Towans: da qui facciamo una bella passeggiata lungo il sentiero delle dune costiere fino a Upton Towans, da dove scendiamo sulla three mile beach che percorriamo per un bel tratto fino a tornare al punto di partenza.

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Quarta parte del viaggio: tra North Devon e Somerset

Dove abbiamo dormito e mangiato

La nostra sistemazione per la parte finale del nostro viaggio è una mansarda in una tipica casa vittoriana, sulla collina che guarda il porto di Ilfracombe, in North Devon, che dalle sue finestre sui tetti spioventi ci permette di guardare il cielo cangiante e dalla finestra a cui ci si può sedere permette di guardare porto e scogliera davanti a noi.

La spiaggia di Bude
In questi ultimi giorni mangiamo prevalentemente a casa, anche perché siamo un po’ appesantite dal cibo inglese. Mangiamo fuori due o tre volte in tutto: un cornish pasty in un baracchino sul canale a Bude; un buonissimo cream tea con flat white al Cabin cafè a Crackington Haven per sfuggire alla pioggia; una cena fusion al ristorante Levain di Ilfracombe, dove mangiamo una crema di barbabietole e delle carote al coriandolo, e poi coda di rospo in salsa di cocco. Infine torta alla mandorla e ciliegia e gelato al miele e rum ed espresso, e il primo e unico bicchiere di vino che ho bevuto qui, un buon rosato spagnolo.

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Crackington Haven
Luoghi visitati: Ilfracombe, Crackington Haven, Tintagel, Speke’s mill, Clovelly


Questi ultimi giorni sono caratterizzati da tempo grigio e pioggia, pioggerellina e pioggiona che vanno e vengono. La prima mattina, visto anche il tempo incerto, decidiamo di visitare il paese di Ilfracombe. Parcheggiamo quasi a ridosso del porto e facciamo una passeggiata per andare a vedere la statua Verity che Damien Hirst ha realizzato per la città (e che è visibile anche dalla finestra del nostro b&b) e la chiesetta di Saint Nicholas che sta su un piccolo promontorio da cui è possibile abbracciare con lo sguardo l’intera cittadina. Poi continuiamo la nostra passeggiata nelle strade del centro e ci facciamo l’idea che Ilfracombe sia una di quelle località di villeggiatura un tempo molto vive e frequentate, e oggi un po' decadute.

Architettura tipica della zona
Ci spostiamo quindi verso la costa sperando in un tempo migliore. La nostra prima destinazione è Bude, dove andiamo sulla spiaggia per fotografare la suggestiva sequenza di cabine colorate. Quando ricomincia a piovere andiamo in centro e giriamo per negozi. La cittadina offre molto più di quello che ci aspettavamo – ed è anche gradevole e carina - e dunque non ci lasciamo sfuggire l’occasione di fare un po' di shopping.

Ripartiamo quindi verso Crackington Haven, una baia piuttosto nascosta dentro questa costa frastagliata e caratterizzata da grandi spiagge e falesie. Nonostante stia piovigginando e il cielo sia plumbeo, sulla spiaggia ci sono i soliti temerari surfisti di tutte le età con le loro mute a fare il bagno sorvegliati dai lifeboat guards.

Hartland
Andiamo poi verso Tintagel e, visto che è già piuttosto tardi, non ci fermiamo lungo la strada a Boscastle che forse avrebbe meritato una sosta. A Tintagel ci sono i resti di un castello medievale che viene collegato al ciclo arturiano anche se è cronologicamente successivo. L'accesso principale al promontorio su cui si trovano i resti del castello è chiuso e bisognerebbe fare il sentiero che scende su e giù per la falesia. Decidiamo che non ne vale la pena, ci limitiamo dunque ad arrivare al ponte e a guardarci intorno, visto che comunque la vista è molto bella.

Il giorno successivo decidiamo di andare nella zona dell'Hartland, anche se il tempo è parecchio incerto e mentre andiamo si succedono le classiche showers inglesi (piogge brevi e fitte). 
Il sentiero verso la cascata Speke's mill
La nostra prima destinazione è Speke’s mill, una piccola cascata, cui abbiamo letto che si arriva con una bella passeggiata sulla cosa. In realtà, come spesso accade in questa zona dell’Inghilterra, il navigatore ci porta in quello che non è un vero parcheggio e sembra volerci fare arrivare attraverso un percorso nell’interno. Leggendo meglio le nostre guide, capiamo che dobbiamo andare all'Hartland quay car park, dove ci sono ben tre aree parcheggio a tre altezze diverse rispetto al mare. Ci fermiamo a quella centrale e la vista è già incredibile. Imbocchiamo dunque il sentiero costiero da cui lo sguardo spazia su grandi scogliere e strane spiagge di scogli, e che poi si snoda in mezzo ai pascoli, passando vicino al Catherine's tor. Dopo circa una mezz’oretta di passeggiata arriviamo alla cascata, niente di spettacolare se paragonata a quelle islandesi, ma comunque in un contesto bello e con un paesaggio intorno davvero “wow”.

Cascata di Speke's Mill
La seconda parte della giornata la dedichiamo al paese di Clovelly, che abbiamo letto essere uno dei villaggi più belli del Devon (ma è un po’ come i borghi più belli d’Italia, ce ne sono sempre più del previsto! 😉 )

Arrivate all’ingresso del paese si viene direzionati a un parcheggio che sembra gratuito, cosa che ci stupisce alquanto. Entriamo in un negozio di birre e liquori che si affaccia sul parcheggio per chiedere e il venditore ci dice che il parcheggio è gratuito mentre dovremo pagare un biglietto per entrare nel paese, cui si accede attraverso una specie di hall commerciale che sembra quella di un aeroporto (davvero bizzarro!). Paghiamo le nostre 20 sterline e dopo aver attraversato la zona commerciale, scendiamo fino alla stalla degli asini dove ci sono ancora altri negozi, e poi giù per la strada fatta di sassi di mare che attraversa tutto il paese e scende a picco fino al porto.

A Clovelly
La visita al paese è decisamente anomala - sembra di essere un po' in un villaggio finto, tipo Truman Show - ma in realtà non lo è, anzi il paese ha una lunga storia, soprattutto nel suo rapporto con il mare e sembra avercelo anche adesso, se si considera il numero di barche e pescatori. Leggiamo poi che il paese fin da tempi antichi è proprietà privata di un'unica famiglia e che il biglietto di ingresso serve a garantirne la manutenzione e a preservarne l'aspetto originale, e forse è proprio questo che gli conferisce oggettivamente un’aria un po’ finta. Una volta al porto prendiamo una birra e delle patatine per goderci la luce del sole al tramonto sul porto, anche perché abbiamo deciso che per risalire useremo il servizio land rover che riporta i turisti al parcheggio. Peccato che, quando siamo pronte ad andare, scopriamo che il servizio è finito alle 16.30. Tocca tornare su a piedi, cosa che facciamo con la santa pazienza e con almeno due-tre soste lungo il percorso.

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Exmoor
Luoghi visitati: Exmoor, Dulverton, Tarr steps, Lynton e Lynmouth


Per la nostra ultima giornata piena di vacanza decidiamo di fare un driving tour nell’Exmoor, un’altra area naturale con una varietà di vegetazione e paesaggi.

La nostra prima destinazione è Dulverton, dove – quando ormai sta piovendo da un bel po’ - ci fermiamo per fare una passeggiata ed esplorare alcuni bei negozietti (ce ne sono diversi di antiquariato e libri).

La seconda tappa della giornata sono i Tarr steps, un ponte fatto con lastroni di pietra sovrapposti, a cui si arriva con una breve passeggiata dal parcheggio. Al ponte c'è una famigliola con due bambini che, sotto la pioggia battente e senza ombrelli, è con i piedi nell'acqua!

Lynmouth
Ripartiamo attraversando la brughiera fino a Lynmouth. Peccato che, oltre a diluviare, c'è una specie di nebbia/foschia che praticamente rende il paesaggio invisibile, oltre al fatto che vento e pioggia sono tali da impedire quasi di uscire dalla macchina. In questo giro, incontriamo un sacco di animali che invadono le strade della riserva, dalle classiche mucche e pecore ai più improbabili fagiani. Una volta a Lynmouth prendiamo la cliff railway, la più alta e ripida funicolare azionata esclusivamente ad acqua, che porta al paese gemello di Lynton.

Ripartiamo verso Dunster passando da Porlock Weir, e mentre facciamo un pezzo di strada a pagamento attraverso la foresta, un pezzo di ramo cade sul tettuccio della macchina facendoci spaventare moltissimo. Per fortuna senza conseguenze.

L'arcobaleno a Lynmouth
Passiamo per foreste, ancora brughiera, vediamo le spiagge e la costa, salendo e scendendo per le strade dell'Exmoor e infine arriviamo a Dunster dove il castello è chiuso e così quasi tutti i negozi. A questo punto ci dirigiamo verso casa, sapendo che, con il giro di oggi, alle contee già attraversate possiamo aggiungere pure il Somerset.

Peccato davvero per il clima di questo ultimo giorno di vacanza, piovoso e freddo, che non ci ha permesso di godere appieno del paesaggio, ma ci ha regalato un’immagine molto caratteristica della campagna inglese! S. esce dalla giornata avendo comprato guanti di montone, calze di alpaca, solette di pelo di pecora, scarpine di montone da bambini. Sarà stata influenzata dal clima? ;-)

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Per le strade della Cornovaglia
Considerazioni finali


Quando siamo partite tutti ci dicevano: ma che farete due settimane in quel pezzetto di Inghilterra così piccolo e dove c’è poco da vedere? Vi annoierete sicuramente!

In realtà, alla fine del nostro viaggio abbiamo fatto quasi 1600 miglia, ossia quasi 2500 chilometri. Non ci siamo affatto annoiate e anzi avremmo voluto sia più tempo di relax, sia più tempo per visitare cose cui abbiamo dovuto rinunciare o visitare in fretta.

Qualche riflessione sparsa sulla vacanza e sui luoghi visitati.

I colori della Cornovaglia
Fatta eccezione per le strade più grandi e le superstrade (qui in particolare la A38, la A30 e la A39 che corrono praticamente parallele attraversando tutta questa area), la maggior parte delle strade sono a due corsie molto strette o single track.

Le strade single track del sud ovest dell’Inghilterra sono più faticose di quelle scozzesi perché, a causa delle siepi altissime che affiancano le stradine, non si vede niente e le macchine ti spuntano davanti all'improvviso, senza che il guidatore sappia se c’è un passing place a portata di ruota.

Queste maledette siepi – le abbiamo davvero odiate – non solo rendono faticosa la guida, ma impediscono allo sguardo di spaziare sul paesaggio, cosicché per lunghi chilometri l’unica cosa che si vede mentre si guida è il piccolissimo pezzo di strada davanti a noi.

In contemplazione
In generale, le strade non sono concepite per chi voglia fermarsi a esplorare, ma solo per andare. Quindi, a parte gli stretti passing place, non ci sono piccoli slarghi o parcheggi dove poter sostare per un tempo breve e, lì dove ci sono spazi davanti agli accessi privati, abbondano cartelli “No parking” e “No turning”.

Va detto però che ci sono toilette pubbliche ovunque e, se ti scappa, avrai a portata di mano un bagno quasi sempre gratuito e pulito.

Restando sul fronte spostamenti e dintorni, una delle voci di spesa più importanti della vacanza sono i parcheggi, che possono costare da 2 sterline a 10 sterline per qualche ora (ovviamente talvolta anche per meno di un'ora). In realtà in alcuni casi, lì dove non ci sono sistemi di controllo, abbiamo la sensazione che siamo solo noi a pagare! Ma va bene se i soldi di questi parcheggi vengono spesi per preservare il territorio.

Ancora in contemplazione
Tutte le strade e stradine di campagna dove abbiamo fatto passeggiate a piedi sono affiancate da rovi con more. Alle prime le raccogli e le mangi; poi dopo un po’ lasci lì more bellissime e sicuramente buonissime.

Queste passeggiate sono state spesso accompagnate dal simbolo della ghianda, che è quello che identifica tutto il South West Coast Path, di cui orgogliosamente abbiamo percorso diversi pezzi.

Gli inglesi di questa zona sono stati accoglienti e gentili: per loro postura, nella conversazione è tutto “lovely” e “awesome”, e risulta oggettivamente un po’ falso, ma alla fine ci siamo abituati a usare anche noi questi aggettivi.

Mi pare giusto chiudere con William Blake
I cani sono abitanti al pari degli umani in questa zona dell’Inghilterra. Ce ne sono ovunque e di tutti i tipi. E, visto che gli inglesi sono fissati col gelato (si vende e si mangia dappertutto), non poteva mancare il gelato per i cani.

Andando appunto al cibo, la cucina inglese ci è risultata piuttosto pesante, un po' ripetitiva (quella da pub) e in generale un po' troppo condita e pasticciata, anche quella di livello un po' più alto.

Sul fronte del bere, mi ha colpito vedere in moltissimi locali birra Moretti, Poretti o addirittura Nastro Azzurro alla spina o in bottiglia, birra che per noi non è di qualità, e che evidentemente a loro risulta esotica. Cosa che è un peccato perché la birra è il fiore all’occhiello di questi luoghi e per me la loro bitter spillata a pompa è davvero eccezionale.

Comunque luoghi e vacanza consigliatissimi!!  

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Per una selezione più ampia di foto del viaggio nel sud Ovest dell'Inghilterra si veda qui (1: mood, places and atmosphere) e qui (2: people) sul mio profilo Behance.

lunedì 27 ottobre 2025

Il Sud-Ovest dell’Inghilterra: vagando tra Wiltshire, Hampshire, Dorset, Devon, Cornwall e Somerset (prima parte)

Cottage ad Hythe
Anche quest’anno per sfuggire al caldo estivo italiano, sempre più insopportabile, decidiamo di fare la nostra vacanza agostana nel Nord Europa, in questo caso nel sud ovest dell’Inghilterra, che è una delle mete che da tempo ci affascinano.

Il nostro è un tour on the road – alla fine del viaggio avremo fatto 1600 miglia in macchina, circa 2500 km – con un percorso circolare che parte dall’aeroporto di Bristol, dove abbiamo volato da Roma con Easyjet, e ritorna allo stesso aeroporto.

La nostra macchina a noleggio è una comoda Citroën C3, perfetta come dimensioni – lo capiremo solo più avanti – ma ovviamente con il posto del guidatore a destra per la classica guida a sinistra inglese, tra l’altro con cambio manuale. Ci metterò un paio di giorni ad abituarmi a questa modalità di guida e a sentirmi a mio agio sulle strade.

Nella nostra casetta ad Hythe
La nostra organizzazione del tour prevedeva quattro diverse sistemazioni, in ciascuna delle quali siamo state circa quattro giorni, in modo da poter fare dei giri a margherita, e poi nello spostamento da una sistemazione all’altra abbiamo sempre inserito qualche tappa intermedia.

Abbiamo sempre dormito in case con cucina, e menomale, perché con il cibo inglese qualche problema lo abbiamo avuto, e moltissime sere abbiamo preferito cucinare e mangiare a casa. Tutte le sistemazioni sono state prenotate con Airbnb, alcune di esse erano dotate anche di lavatrice, il che ci ha consentito di viaggiare con valigie relativamente leggere da riempire con cose comprate durante il viaggio.

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I ragazzi con la chitarra ad Hythe
Prima parte del viaggio: tra Wiltshire, Hampshire e Dorset

Dove abbiamo dormito e mangiato

Dall’aeroporto di Bristol andiamo dritte verso Southampton dove abbiamo la prima casa, precisamente nella campagna vicino Hythe, paesino di mare che sta proprio di fronte a Southampton e che di suo non è particolarmente allegro (nella nostra passeggiata per fare la spesa incontreremo una bimba che gioca da sola con una bambola e due adolescenti che suonano la chitarra elettrica e fanno video). Siamo alla Coachmans Cottage, una casetta di mattoni rossi, ex ricovero delle carrozze, a fianco dell'abitazione dei proprietari che abitano nel Gardeners’ cottage, un posto molto bello e suggestivo.

Davanti a The Cornish Bakery in Salisbury
In questi primi giorni facciamo due cene fuori. La prima in un country pub molto carino ad Hythe a cui si arriva rapidamente dal nostro alloggio attraverso un piccolo sentiero nel bosco. Si chiama Travellers rest (abbiamo prenotato prima passandoci in macchina e c'era un concerto folk). Mangiamo fish & chips e due tortini su un letto di patate e verdure. Ottima la birra Dartmoor Jail Ale. La seconda volta ci fermiamo al pub The royal oak, nella zona di Hilltop, fuori da Beaulieu in mezzo alla brughiera. Prendiamo una meat pie molto buona, e una pancia di maiale al forno con contorni di verdure e patate. Buoni ma non esattamente leggeri.

A Salisbury per pranzo mangiamo la nostra prima Cornish traditional pasty e uno scone in una caffetteria e panificio del centro, The Cornish bakery.

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Nella New Forest
Luoghi visitati: la New Forest, Keyhaven Marshes, Beaulieu


Dedichiamo il primo giorno di vacanza alla New Forest, un'area di oltre 500 km quadrati, risalente all'anno Mille (realizzata inizialmente da Guglielmo I come territorio di caccia), all'interno della quale ci sono paesaggi molto diversi (foreste, lagune, brughiere, spiagge), flora e fauna molto diversificati, molti paesi caratteristici nonché abbazie e castelli.

Noi scegliamo un percorso con finalità fotografiche che abbiamo trovato sul bel sito della New Forest.

A Lyndhurst
La mattina andiamo verso il Tall Trees' trail, una passeggiata in piano da circa 2 km e mezzo, in una foresta di conifere di grandi dimensioni e grandi altezze. Ci fermiamo a prendere un flat white al baracchino in mezzo alla foresta.

Da qui passiamo per il paesino di Lyndhurst, una delle cittadine centrali della New Forest, dove ci fermiamo per una passeggiata e per la pausa pranzo autogestita.

Quindi ci muoviamo verso Keyhaven Marshes, una grande zona lagunare dove nidificano molti uccelli; da qui, con una bella passeggiata si arriva alla grande spiaggia di pietre da cui si vede il castello di Hurst, le scogliere dell'isola di White e persino la costa francese in lontananza. Peccato non aver portato il costume perché c'era una bellissima giornata di sole!

La spiaggia vicino Keyhaven Marshes
Dopo aver poltrito un po' qui, andiamo verso Rockford, nella zona ovest, dove ci sono laghi e stagni circondati dalla natura. Spostandoci da qui verso Beaulieu, attraversiamo brughiere di erica bellissime, spesso attraversate da cavalli liberi o con cavalieri ma purtroppo non ci sono piazzole di sosta dove potersi fermare a fare fotografie! Che peccato!!

Nel paesino di Beaulieu facciamo una passeggiata tra le sue belle casette di mattoni, che si affacciano su fiumi e laghetti.

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Luoghi visitati: Salisbury, Old Sarum, Stonehenge

Dentro la cattedrale di Salisbury
La mattina della seconda giornata è dedicata alla cittadina di Salisbury. Qui parcheggiamo al Central car parking e, lungo il canale, arriviamo in centro e andiamo direttamente alla cattedrale. Facciata così così ma interno molto molto bello. Da non perdere il chiostro e la sala del capitolo dove è conservata una delle cinque copie rimaste della Magna Carta, quella meglio conservata. Molto emozionante.

Uscendo dalla cattedrale ci fermiamo ad Arundells, una dimora privata con giardino che inizialmente ospitava il personale della cattedrale e poi è passata di mano in mano fino all'ultimo proprietario, il politico conservatore Edward Heath, primo ministro inglese nei primi anni Settanta durante gli attentati dell'IRA, dopo il quale è arrivata Margaret Thatcher. Fu anche musicista e skipper e questa casa testimonia i suoi numerosi interessi.

Nella cattedrale di Salisbury
Poi andiamo a fare un giro nel centro della città, a butcher row, che ora è una via di negozi, quindi ci dirigiamo alla town path, un sentiero in mezzo ai canali di irrigazione dei pascoli da cui si vede da lontano la cattedrale e davanti un pascolo verde con le pecorelle. C'era anche un gruppo di volontari che puliva un canale dalle erbacce.

Sulla collina poco fuori la città si possono visitare i resti del castello e dell'abbazia di Old Sarum, il nucleo originario di Salisbury. Qui la signora del National Heritage vuole convincerci a sottoscrivere la membership, e dopo 10 minuti non sappiamo come liberarcene.

Stonehenge
L’ultima parte della giornata è dedicata a Stonehenge, l’unico posto per il quale abbiamo preso i biglietti in anticipo. Nonostante qualche difficoltà riusciamo a pagare il parcheggio senza scaricare l'app (in Inghilterra per parcheggiare e pagare senza contanti si è costretti quasi sempre a scaricare app, tutte diverse, cosicché alla fine ci si trova registrati a un sacco di compagnie di parcheggio). Una volta entrati nel sito facciamo l'intera passeggiata a piedi lungo l'area già utilizzata a scopi religiosi prima della realizzazione del complesso di Stonehenge (c’è la navetta gratuita ma noi decidiamo di prenderla solo al ritorno). Una volta arrivate al cerchio di pietre, vediamo che lì vicino ci sono grossi lavori per le riprese di un film top secret (sicuramente una grossa produzione!).

Giriamo lentamente intorno al sito (ci mettiamo circa un'ora) osservandolo da varie angolazioni e guardando anche la gente intorno. Davvero molto affascinante ed emozionante.

Il percorso verso il cerchio di pietre a Stonehenge
In questi primi due giorni abbiamo scoperto che qui tutti dicono "lovely" per qualunque cosa: dalla cassiera del supermercato a quella del noleggio auto, all'host, a chi ti fa i biglietti del parcheggio. E anche noi abbiamo finito per dire lovely a tutto e a tutti!!

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Luoghi visitati in transito: la Jurassic Coast

Nel trasferimento dalla prima alla seconda sistemazione, entriamo in Dorset e in direzione della Jurassic Coast facciamo una prima sosta a Studland per andare a vedere, con una bella passeggiata di una mezz’oretta circa, le Old Harry Rocks, scogliere bianche a picco sul mare con archi, porte e faraglioni. Molto bello!

Verso le Old Harry Rocks
Ci dirigiamo poi verso la Kimmeridge Bay, sempre in Dorset, una spiaggia di ciottoli sotto una scogliera fatta di rocce scure stratificate che è uno dei luoghi principali per la raccolta dei fossili (c'è anche un museo che però non visitiamo). Sulla spiaggia ci sono tante persone e bambini che rompono le pietre e cercano fossili. Anche noi ci mettiamo a cercare e troviamo piccole cose (in teoria non si potrebbe ma ci pare che lo facciano tutti!). Si vedono comunque moltissimi fossili nelle grandi pietre che ci sono sulla spiaggia. Davvero bello!

Qui scopriamo anche questi accappatoi imbottiti ma impermeabili all'esterno che qui tutti usano al mare!!

Cose che si trovano sulla Jurassic coast
In zona vediamo anche le mucche nere con una fascia bianca al centro del corpo, molto strane che non avevamo mai visto e scopriamo essere le Lakenvelder, delle mucche belghe.

A questo punto siamo un po' stanche e decidiamo di non andare a Durdle door (che dovrebbe essere molto simile a Old Harry Rocks) e ci muoviamo verso la nostra destinazione, vicino Exeter. Sono comunque più di due ore di macchina che ci fanno lasciare alle spalle il Dorset e ci fanno entrare in Devon.

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Seconda parte del viaggio: South Devon

Il soffitto della cattedrale di Exeter
Dove abbiamo dormito e mangiato


La nostra seconda sistemazione è una casetta indipendente nella proprietà dei padroni di casa e si chiama The Hutch, nel paesino di Longdown, non lontano da Exeter. La casa si affaccia sulle colline su cui pascolano le pecore cosicché riusciamo a seguire le loro routine quotidiane. Casa molto stilosa e dotata di tutto il necessario, anche se la prima volta che parcheggio nel cortiletto faccio milioni di manovre e gli ospiti dell’altra dépendence si affacciano alla porta per verificare che non gli danneggi la loro macchina già parcheggiata (e che non vedremo mai muoversi in tutto il nostro periodo di permanenza).

La casa di Agatha Christie a Greenway
A livello di pranzi e cene, segnalo la cena al Duck at Yeoford, un country pub dalla cucina raffinata dove prendiamo un antipasto di pesce, e come piatti principali petto d'anatra al forno e pesce del giorno: sicuramente una delle migliori cene della vacanza, anche se pure in un posto raffinato come questo i piatti sono talvolta sovrabbondanti di ingredienti e non certo leggeri. L’unica altra cena fuori di questi giorni è quella nel paesino di Beer, al The smugglers kitchen, dove mangiamo cozze e jambalaya. Cena abbondante e saporita!

Due pranzetti buoni e leggeri li facciamo invece a Exeter, al Coffee cellar, nella zona del molo (molto carina!), dove prendiamo un’ottima zuppa del giorno, e al baretto interno della casa di Agatha Christie a Greenway, dove mangiamo cornish pasty e una zuppa di piselli con un cheese scone.

A Exeter
Di ritorno dal parco di Dartmoor prendiamo una birra al Warren House Inn, un pub con tavoli esterni con vista mozzafiato sulla brughiera. Direi da non perdere.

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Luoghi visitati: Exeter, Beer, Greenway, Blackpool sand, Hallsands e Start Point

La mattina del primo giorno di questa seconda parte del viaggio la dedichiamo alla cittadina di Exeter, dove parcheggiamo nel parcheggio centrale Cathedral & Quai. Prima visitiamo in autonomia la cattedrale, che nonostante un biglietto di ingresso decisamente salato (10 sterline) merita sicuramente, grazie alla sua struttura originaria normanna su cui si innesta un ampliamento gotico, con la sua volta a crociera, in cui al centro di ogni modulo c’è una borchia in legno intarsiata e dipinte con scene di santi e cavalieri.

Dentro la cattedrale di Exeter
Uscite dalla cattedrale ci attende il Red Coat tour, un free tour che abbiamo deciso di fare per apprezzare meglio la città. Arriva effettivamente un signore anzianotto con i capelli completamente bianchi e la giacca rossa che ci fa fare un giro per la Exeter medievale, tra chiese, case e sedi istituzionali, fino ad arrivare alle banchine lungo il fiume Exeter. In questa ora e mezza ci racconta anche la storia della città, dai romani ai Sassoni, a Guglielmo il conquistatore, e la grande tradizione nella produzione e nella vendita della lana e dei tessuti di lana che ha rappresentato a lungo la principale fonte di ricchezza della città.

Oggi Exeter, che resta una cittadina molto bella e vivace – ci è piaciuta molto la zona sul fiume in piena rinascita – è invasa da gabbiani cattivissimi che rubano il cibo aggredendo altri animali o persone.

Red coat tour a Exeter
Tornando verso il parcheggio, S. compra della lana in un negozio specializzato. Poi in macchina facciamo un altro pezzetto della Jurassic coast toccando le località di Budleigh, Salterton, Otterton e Sydmouth. In quest’ultima ci fermiamo a fotografare la scogliera di colore rosso scuro, e nel ripartire abbiamo un momento di perplessità quando, percorrendo una strada in paese, davanti a noi scorre un corso d’acqua (pochissimo profondo, ma pur sempre un corso d’acqua). Pensiamo di aver sbagliato direzione o di non aver visto qualche cartello, e rimaniamo lì in attesa, finché una macchina davanti a noi tranquillamente guada il fiumiciattolo e così facciamo anche noi!

Beer
Andiamo dunque verso Branscombe e Beer e, man mano che procediamo, le strade diventano sempre più strette e sempre più in salita e discesa con piccoli passing place. Una vera sfida per le automobili e chi le guida. Alla fine ci fermiamo a Beer (unico pezzo di scogliera bianca in questa zona), facciamo una passeggiata fino alla spiaggia e ci fermiamo qui a cenare.

Il giorno successivo andiamo verso Dittisham dove parcheggiamo sulla riverside e andiamo a piedi al molo a prendere la barchetta che, con un biglietto di 3,50 sterline, ci porta a Greenway, la località sulla sponda opposta del fiume Dart dove si trova la casa di campagna di Agatha Christie.

Casa di Agatha Christie
Fatto il biglietto, iniziamo a esplorare la grande proprietà della casa, che ha intorno giardini di varie fattezze, boschetti e persino una casetta sul fiume dove è ambientata la scena del crimine del libro La sagra del delitto. Nella casa in stile vittoriano tutto è rimasto com'era ai tempi di Agatha Christie e dei suoi figli. Attraversando le sue stanze, si può cogliere l’animo da collezionisti della Christie e del suo secondo marito, archeologo, e i numerosi interessi che li accomunavano. Molto emozionante.

Tornando da Dittisham, ci fermiamo a Blackpool sand, una spiaggia in una baia molto bella dove io conto di fare il bagno visto che è una giornata molto bella. Effettivamente sulla spiaggia, che è attrezzatissima e alle cui spalle c’è persino un baracchino che fa una pizza napoletana che sembra buonissima, c'è parecchia gente e anche centinaia e centinaia di gabbiani in acqua. Mentre sto per entrare in acqua, un animale nuota quasi a riva. È una foca che probabilmente sta cercando cibo, e lo capisco bene quando entrando in acqua mi accorgo che, sia sulla riva che nei primi metri, sulla superficie dell’acqua ci sono migliaia di sardine morte, cibo prelibato sia per i gabbiani che per la foca. L'acqua è fredda e c'è una forte corrente, cosicché il mio bagno dura molto poco. Nel frattempo arriva in spiaggia una famiglia musulmana (o forse due?) in cui le due donne adulte sono in niqab (cioè hanno solo gli occhi scoperti), le due ragazzine fanno il bagno col burkini, e i maschi, giovani e grandi, sono in costume.

Blackpool sand
Andando via, attraversiamo la stretta striscia di terra separa la spiaggia dalla laguna a Tor Cross e andiamo verso Hallsands e Start point. La strada per Hallsands sembra impraticabile e dunque la superiamo e andiamo direttamente al faro di Start point. Hallsands la vediamo dall’alto, e leggiamo sui cartelli la storia di questo luogo che, anche a causa della scelleratezza umana, è stato quasi completamente divorato dal mare.

Lasciamo la macchina al parcheggio e a piedi facciamo la passeggiata fino al faro in cima alla penisola di Start Point completamente ricoperta di felci.

Per tornare verso il nostro alloggio ci attende una lunga strada a una sola corsia tra le siepi alte (che incubo!!), che rende la guida estremamente faticosa; per fortuna con il sole che tramonta, la luce si fa sempre più bella e almeno abbiamo questa consolazione. Ci colpisce il paesino di Kingsbridge ma è ormai troppo tardi per fermarsi.

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Dartmoor
Luoghi visitati: Dartmoor


Una giornata la dedichiamo alla riserva di Dartmoor, ma prima di andarci facciamo una tappa alla Darts Farm, una specie di centro commerciale nato intorno a una fattoria che vende anche i suoi prodotti (si tratta di una tipologia molto diffusa in questa parte dell’Inghilterra) e compriamo un po' di cose da mangiare in questi giorni e da portare via (the, caffè, cioccolate, marmellate ecc.).

Nel percorso verso il Dartmoor la prima tappa è il paesino di Lustleigh che abbiamo letto essere uno dei villaggi più belli del Devon. Peccato che il nostro navigatore ci faccia arrivare attraverso una strada a un'unica corsia davvero stretta e praticamente senza passing places, oltre che affiancata da siepi altissime! Un paio di volte, incrociando altre auto, siamo in difficoltà e io ho qualche problema a fare delle retromarce dritte in strade così strette, ma ne usciamo vive. Lustleigh si sviluppa intorno a una chiesetta e a una tea room, ed è fatta in buona parte di cottage con il tetto di paglia, che lo fanno sembrare uscito dalle fiabe. Prendendo il Wreyland path attraversiamo una zona molto caratteristica del paese, in cui i cottage sono particolarmente curati.

Lustleigh
Per uscire dal paese prendiamo una strada diversa da quella dell’andata, decisamente più comoda, e andiamo verso Haytor, che è una delle tante formazioni rocciose presenti nella brughiera che si innalzano quasi dal nulla (sono frutto di attività vulcaniche). Parcheggiamo in uno dei parcheggi a pagamento (senza renderci conto che più avanti ce n'è uno gratis) e, dopo aver fatto un po' di foto alle mucche nere con la fascia bianca, che stanno pascolando proprio vicino al parcheggio, facciamo la scalata al tor. Pur non essendo una grande altezza, grazie al fatto che il paesaggio non presenta ostacoli visivi, la vista da su è molto bella e spazia a 360° sulla brughiera. Si vedono anche dei cavalli al pascolo che poi incontreremo durante la discesa.

I cavalli a Haytor
Tornate al parcheggio, una mucca sta camminando tra le macchine e decide di sdraiarsi proprio dietro la nostra auto. Dopo un po' di risate e foto non sappiamo cosa fare e chiamiamo la signora della riserva per aiutarci. Lei con un po' di battiti di mani e "up up" riesce a far alzare la mucca che a quel punto sembra voler andar via infilandosi tra due macchine (non mi pare abbia la percezione delle misure!).

Finalmente riusciamo ad andare via, e dopo una breve sosta a Widecombe in the moor ci fermiamo a Postbridge con il suo clapper bridge (un antico ponte di pietra). Durante i nostri giri nella brughiera incontriamo capre, pony, cerbiatti che ci attraversano la strada, e ovviamente pecore: a un certo punto un piccolo gregge decide di occuparci la strada e accompagnarci per buoni 10 minuti!!

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Leggi qui la seconda parte del racconto.

Per una selezione più ampia di foto del viaggio nel sud Ovest dell'Inghilterra si veda qui (1: mood, places and atmosphere) e qui (2: people) sul mio profilo Behance.