Di varia umanità. Mostra fotografica del corso libero di reportage 2009 / a cura di Alessandro Carpentieri.
Per la seconda volta in questo blog mi trovo a parlare di qualcosa in cui sono direttamente coinvolta, ma lo faccio con grande piacere innanzitutto perché si tratta di qualcosa che ha a che fare con la mia seconda vita, quella che presume di essere creativa, e in secondo luogo perché mi fa piacere pubblicizzare i lavori fotografici dei miei colleghi di corso, tra cui a mio modesto parere ci sono dei veri talenti.
Ma veniamo alle informazioni pratiche.
Da lunedì 13 luglio 2009 (fino al 12 settembre 2009) la sede romana della Rufartgallery ospita la mostra collettiva di fotografia "Di varia umanità".
La mostra propone il lavoro di 9 fotografi in erba, come esito del Corso libero di Reportage tenuto da Alessandro Carpentieri.
Espongono:
ADRIANA AROMOLO - "Fuoristagione";
FRANCESCA CARBONARI - "Quando le femmine colorano la vita";
LUCIANA CASTORINA - "Rione Monti: artigiani e luoghi d’incontri";
ANNALISA FALCONE - "Il colore della notte";
ANNA GALLUZZI - "Luoghi per viaggiatori immobili";
SALVATORE SANTANGELO - "Compresenze";
ELEONORA SATTA - "Essenze";
SARA SERPENTE - "Villa Borghese";
NICOLETTA ZULLINO - "Mattatoio"
L'inaugurazione della mostra è prevista per lunedì 13 Luglio 2009 alle ore 18.00.
Lo spazio expo dell'Accademia RUFA (Rome University of Fine Arts) è in Via Benaco 2, 00199 Roma
Ingresso e orario: dal lunedì al venerdì dalle 09 alle 13; dalle 16 alle 19. Sabato dalle 09 alle 13.
Sito web: http://www.rufartgallery.it/mostre/2009/di-varia-umanita.html
lunedì 6 luglio 2009
Un luogo incerto / Fred Vargas
Fred Vargas, Un luogo incerto, trad. di Margherita Botto. Torino, Einaudi, 2009.
Sto leggendo i libri della Vargas (per il momento solo quelli che hanno come protagonista il commissario Adamsberg) in ordine sparso, sforzandomi ogni volta che ne leggo uno, di riannodare i fili di quell'orditura di fondo che li caratterizza, avanti e indietro nel tempo.
E così leggo l'ultima avventura del commissario subito dopo aver letto Sotto i venti di Nettuno e ci metto un po' a capire a che punto siamo, però dopo un pò facilmente mi oriento e tutto sommato trovo bello questo percorso alternativo e del tutto personale.
Certamente, il confronto ravvicinato con quelli che considero finora i suoi romanzi più belli, Parti in fretta e non tornare e, appunto, Sotto i venti di Nettuno, non giova alla mia lettura e al mio giudizio su quello che leggo. La prima metà mi intriga abbastanza, ritrovo il mio caro commissario e il suo straordinario approccio alla vita e molti altri dei personaggi che amo.
Ma già lo spazio limitato che hanno il grande Danglard e la mitica Retancourt mi indispone un po'... Poi, pur senza fare nessuna fatica a entrare nella storia, dopo un po' la avverto faticosa e un po' tirata, alcuni passaggi narrativi davvero forzati, e questa ambientazione serba poco consona al nostro Adamsberg.
Certo, è pur sempre la Vargas e la sua scrittura mi piace, così come mi affascina sempre il fatto che le sue storie sono molto ben documentate e a tratti istruttive (in questo caso, vampiri e dintorni)... Trovo alcuni passaggi quasi illuminanti per la filosofia di vita che si portano appresso.
Però... resta un però... non è certamente il suo miglior libro. E d'altra parte per una che scrive i suoi libri nel suo mese di vacanza può essere ancor più vero e accettabile che non tutte le ciambelle riescono col buco.
Voto: 2,5/5
Sto leggendo i libri della Vargas (per il momento solo quelli che hanno come protagonista il commissario Adamsberg) in ordine sparso, sforzandomi ogni volta che ne leggo uno, di riannodare i fili di quell'orditura di fondo che li caratterizza, avanti e indietro nel tempo.
E così leggo l'ultima avventura del commissario subito dopo aver letto Sotto i venti di Nettuno e ci metto un po' a capire a che punto siamo, però dopo un pò facilmente mi oriento e tutto sommato trovo bello questo percorso alternativo e del tutto personale.
Certamente, il confronto ravvicinato con quelli che considero finora i suoi romanzi più belli, Parti in fretta e non tornare e, appunto, Sotto i venti di Nettuno, non giova alla mia lettura e al mio giudizio su quello che leggo. La prima metà mi intriga abbastanza, ritrovo il mio caro commissario e il suo straordinario approccio alla vita e molti altri dei personaggi che amo.
Ma già lo spazio limitato che hanno il grande Danglard e la mitica Retancourt mi indispone un po'... Poi, pur senza fare nessuna fatica a entrare nella storia, dopo un po' la avverto faticosa e un po' tirata, alcuni passaggi narrativi davvero forzati, e questa ambientazione serba poco consona al nostro Adamsberg.
Certo, è pur sempre la Vargas e la sua scrittura mi piace, così come mi affascina sempre il fatto che le sue storie sono molto ben documentate e a tratti istruttive (in questo caso, vampiri e dintorni)... Trovo alcuni passaggi quasi illuminanti per la filosofia di vita che si portano appresso.
Però... resta un però... non è certamente il suo miglior libro. E d'altra parte per una che scrive i suoi libri nel suo mese di vacanza può essere ancor più vero e accettabile che non tutte le ciambelle riescono col buco.
Voto: 2,5/5
sabato 4 luglio 2009
Middlesex / Jeffrey Eugenides
Jeffrey Eugenides, Middlesex, trad. di Katia Bagnoli. Milano, Mondadori, 2004.
Come sempre faccio fatica a entrare nella trama narrativa di un libro articolato come è questo Middlesex. E così più volte, senza successo, avevo cominciato a leggerlo, ma la mia quasi totale incapacità di leggere per puro piacere al di fuori dei periodi di vacanza mi aveva fatto abbandonare l’impresa.
Alla fine, dietro l’insistenza di un amico, mi sono finalmente decisa ad avventurarmi con decisione nella lettura. Il risultato è stato quello classico dello sbocciare dei grandi amori: impossibilità di staccarsi dal flusso degli eventi, riflessioni sul tema e sulla storia anche al di fuori dei momenti di lettura, nottate sveglia per conquistare pagine, e così via…
La storia è piuttosto semplice, sebbene lo svolgimento risulti particolarmente complesso. Protagonista del libro è Calliope, figlia di immigrati greco-turchi negli Stati Uniti di seconda generazione, che alla nascita, per superficialità del medico, non viene riconosciuta come ermafrodito e viene cresciuta fino all’adolescenza come una ragazza. Alla scoperta della verità Calliope decide una vita da uomo, abbandonando la famiglia per ritrovare se stesso.
Il narratore è Cal adulto che, per spiegare la sua incredibile vicenda, racconta la storia di tre generazioni della famiglia Stephanides, dai suoi nonni (fratello e sorella portatori del gene recessivo responsabile della sua condizione), ai suoi genitori e zii, fino a se stesso e suo fratello.
Nello svolgersi delle vicende della famiglia Stephanides vediamo srotolarsi davanti ai nostri occhi pezzi di storia greca (l’incendio della città di Smirne che costringe i nonni ad abbandonare la loro patria, l’occupazione di Cipro da parte dei Turchi) e un’ampia fetta della storia americana (il periodo delle massicce immigrazioni dall’Europa e i problemi dell’inserimento e dell’integrazione, i conflitti razziali, la politica estera americana…). Insomma, per farla breve, si tratta di una straordinaria saga, che sul piano letterario mi ha ricordato altri due libri che ho amato molto, Vita di Melania Mazzucco e Carne e sangue di Michael Cunningham, e sul piano cinematografico mi ha richiamato alla mente – e non so bene perché – Forrest Gump.
La scrittura di Eugenides è affascinante perché non lineare ma giocata su continui flashback tra presente e passato, nonché stimolante sul piano letterario.
I personaggi sono tutti molto forti e si imprimono nella mente con una vividezza straordinaria: dalla nonna Desdemona al padre Milton alla zia Sourmelina per arrivare ovviamente a Callie. E sullo sfondo si staglia questa comunità greca d’America che – come tutte quelle di immigrati – ha i suoi riti, le sue rigidità, le sue specificità e fa i conti continuamente con l’oscillazione tra tradizione e innovazione, tra conservazione e integrazione.
Insomma, non mi meraviglia affatto che questo libro abbia vinto il Premio Pulitzer nel 2003. E a questo punto, dopo una pausa vargasiana, non potrò mancare di lanciarmi nella lettura dell’altro romanzo di Eugenides, Le vergini suicide.
Voto: 4,5/5
Come sempre faccio fatica a entrare nella trama narrativa di un libro articolato come è questo Middlesex. E così più volte, senza successo, avevo cominciato a leggerlo, ma la mia quasi totale incapacità di leggere per puro piacere al di fuori dei periodi di vacanza mi aveva fatto abbandonare l’impresa.
Alla fine, dietro l’insistenza di un amico, mi sono finalmente decisa ad avventurarmi con decisione nella lettura. Il risultato è stato quello classico dello sbocciare dei grandi amori: impossibilità di staccarsi dal flusso degli eventi, riflessioni sul tema e sulla storia anche al di fuori dei momenti di lettura, nottate sveglia per conquistare pagine, e così via…
La storia è piuttosto semplice, sebbene lo svolgimento risulti particolarmente complesso. Protagonista del libro è Calliope, figlia di immigrati greco-turchi negli Stati Uniti di seconda generazione, che alla nascita, per superficialità del medico, non viene riconosciuta come ermafrodito e viene cresciuta fino all’adolescenza come una ragazza. Alla scoperta della verità Calliope decide una vita da uomo, abbandonando la famiglia per ritrovare se stesso.
Il narratore è Cal adulto che, per spiegare la sua incredibile vicenda, racconta la storia di tre generazioni della famiglia Stephanides, dai suoi nonni (fratello e sorella portatori del gene recessivo responsabile della sua condizione), ai suoi genitori e zii, fino a se stesso e suo fratello.
Nello svolgersi delle vicende della famiglia Stephanides vediamo srotolarsi davanti ai nostri occhi pezzi di storia greca (l’incendio della città di Smirne che costringe i nonni ad abbandonare la loro patria, l’occupazione di Cipro da parte dei Turchi) e un’ampia fetta della storia americana (il periodo delle massicce immigrazioni dall’Europa e i problemi dell’inserimento e dell’integrazione, i conflitti razziali, la politica estera americana…). Insomma, per farla breve, si tratta di una straordinaria saga, che sul piano letterario mi ha ricordato altri due libri che ho amato molto, Vita di Melania Mazzucco e Carne e sangue di Michael Cunningham, e sul piano cinematografico mi ha richiamato alla mente – e non so bene perché – Forrest Gump.
La scrittura di Eugenides è affascinante perché non lineare ma giocata su continui flashback tra presente e passato, nonché stimolante sul piano letterario.
I personaggi sono tutti molto forti e si imprimono nella mente con una vividezza straordinaria: dalla nonna Desdemona al padre Milton alla zia Sourmelina per arrivare ovviamente a Callie. E sullo sfondo si staglia questa comunità greca d’America che – come tutte quelle di immigrati – ha i suoi riti, le sue rigidità, le sue specificità e fa i conti continuamente con l’oscillazione tra tradizione e innovazione, tra conservazione e integrazione.
Insomma, non mi meraviglia affatto che questo libro abbia vinto il Premio Pulitzer nel 2003. E a questo punto, dopo una pausa vargasiana, non potrò mancare di lanciarmi nella lettura dell’altro romanzo di Eugenides, Le vergini suicide.
Voto: 4,5/5
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