Vincitore del premio per la miglior regia nella sezione Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia dello scorso anno, arriva finalmente in sala Familiar touch di Sarah Friedland.
Protagonista di questa storia è Ruth (la bravissima Kathleen Chalfant), una donna avanti con gli anni che – scopriremo presto – comincia a manifestare i primi segnali di una demenza senile. Incontriamo la prima volta Ruth mentre sta preparando la cena nella cucina della sua casa in attesa di Steve, che è suo figlio, anche se Ruth non si ricorda il suo nome e forse non ricorda nemmeno chi è o addirittura pensa che sia un suo spasimante.
Steve è venuto per accompagnare sua madre in una casa di riposo, dove la donna viene affidata alle cure del personale, in particolare l’infermiera Vanessa, e dei medici che operano presso la struttura.
Seguiremo dunque Sarah nelle sue giornate, senza assumerne il punto di vista come nel film The father con Anthony Hopkins, ma osservandola da vicino nelle sue fasi di serenità e in quelli di angoscia, nei brevi momenti di lucidità e in quelli di disconnessione con la realtà, o meglio di realtà alternativa nella quale si muove, come quando pensa di essere in hotel e chiede il menu al cameriere, quando si alza ed entra nella cucina della casa di riposo come se fosse la cucina nella quale lavorava, quando – mentre fa fisioterapia in piscina – rivive un momento dell’infanzia con la madre al mare, quando - assalita da pensieri confusi e paure – scappa dalla casa di riposo per tornare a casa.
Per chi ha vissuto accanto a una persona malata di Alzheimer e ha condiviso con lei le diverse fasi della malattia, questo film, pur nella delicatezza del racconto, è da un lato un pugno nello stomaco, perché fa rivivere quel senso di angoscia che inevitabilmente si trasmette anche ai caregiver, dall’altro un po’ pacifica e riconcilia con una malattia che in un certo senso va vista come un’altra normalità, una specie di normalità alternativa e parallela. Come dice a Ruth l’infermiera Vanessa, la questione è che la verità di Ruth non coincide con la verità del mondo esterno.
In questo senso, nel film della Friedland c’è moltissima verità nella rappresentazione di questa donna, e vogliamo sperare - da persone che non sanno cosa le aspetta nella vecchiaia ammesso che ci arrivino – che anche l’ambiente e le persone a cui questi anziani fragili e difficili da gestire vengono affidati siano attenti e amorevoli come quelli rappresentati nel film.
Non ne sono del tutto sicura, ma apprezzo in ogni caso moltissimo lo sforzo che il cinema sta facendo in questi ultimi anni nel rivolgere il proprio sguardo alla vecchiaia in una rappresentazione che è sempre più attenta e ampia, tenendo conto che si tratta di un’età della vita che riguarda un numero crescente di persone e che, nel corso del tempo, è cambiata in maniera significativa in termini di qualità e benessere, ma che inevitabilmente non è aliena da fragilità importanti con ricadute sul piano individuale e sociale.
Non un capolavoro, ma decisamente un gran film.
Voto: 3,5/5
martedì 7 ottobre 2025
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