Per quest'anno riesco a partecipare solo a una serata della rassegna "Da Venezia a Roma" e scelgo la sera in cui vengono proiettati il cortometraggio The millionaires per la regia di Claudio Santamaria, alla sua presenza, e il film di Nathan Silver, Thirst Street.
The millionaires
Il corto di Santamaria è tratto da un racconto breve a fumetti di Thomas Ott (che io - pur appassionata di fumetti - non conosco, ma che il regista ci dice essere uno dei suoi preferiti). L'atmosfera è quella di un noir con tutti i crismi. Un auto percorre una strada nella notte con all'interno un uomo molto agitato che trasporta una valigia piena di soldi. Questa valigia scatenerà la cupidigia di numerosi personaggi e determinerà una catena di eventi violenti.
Il film è stato girato nell'area del parco del Pollino, a cavallo tra la Basilicata e la Calabria.
Interessante questo esordio alla regia di Santamaria, il quale - come risulta evidente - si mette alla prova su un'ambientazione e uno stile a lui congeniali, però dimostrando una buona padronanza del mezzo.
A questo punto lo aspettiamo alla prima prova registica sul lungometraggio.
Voto: 3,5/5
Thirst Street
Il film di Nathan Silver racconta la storia di Gina (Lindsay Burdge), un'assistente di volo un po' insicura che - dopo il suicidio del suo compagno - incontra Jerome (Damien Bonnard) in un locale parigino e se ne innamora. Inizialmente pensa che l'amore sia corrisposto, ma di fronte a numerosi segnali del fatto che Jerome non vuole una storia con lei e ha addirittura un'altra fidanzata, Gina entra in una spirale ossessiva e comincia a perseguitare Jerome, autoconvincendosi dell'amore di lui.
Thirst Street è un film piuttosto bizzarro che oscilla tra il drammatico e il grottesco.
Sembra la versione cinematografica di un fotoromanzo in versione - diciamo così - "distopica". E dico questo soprattutto per alcuni elementi stilistici scelti dal regista, tra cui la asettica voce femminile fuori campo che racconta le vicende di Gina, e per il girato con i colori a tratti desaturati.
La storia di Gina crea nello spettatore un senso di disorientamento, e i sentimenti che la sua ossessione suscita vanno dalla compassione alla rabbia al sorriso amaro. Da un lato è inevitabile prendere le distanze e pensare che a noi non accadrebbe mai una cosa del genere, dall'altro non si può restare estranei e indifferenti di fronte alle conseguenze - in questo caso anche un po' grottesche - della solitudine, sentimento da cui nessuno di noi può dirsi immune.
Voto: 3/5
venerdì 29 settembre 2017
mercoledì 27 settembre 2017
Un salto all'Isola d'Elba
Su iniziativa della mia amica R., che in questo momento vive in Toscana per lavoro, organizziamo all'ultimo minuto 48 ore all'Isola d'Elba, dove né io né lei (né il suo cane!! ;-) ) siamo mai state.
E così in men che non si dica prenotiamo una stanza all'Hotel La Feluca, una delle sistemazioni più economiche che troviamo per quei giorni sull'isola, in località Bagnaia, e prendiamo i biglietti per il traghetto di andata e ritorno da Piombino a Portoferraio con trasporto macchina, perché alla fine ci siamo fatte due conti e ci conviene così.
Domenica pomeriggio eccoci al porto di Piombino sotto un sole cocente nella fila di macchine in attesa di imbarcarci mentre tutt'intorno si muove varia umanità che come noi si sta imbarcando: rimarrà storica (e praticamente un leitmotiv di tutta la breve vacanza) l'espressione di una signora del nord, che dopo un po' (ma non tantissimo) che aspettiamo se ne esce con: "Mai più all'Isola d'Elba". E da quel momento tutte le volte che vediamo una cosa bella sull'isola in coro io e R. diciamo: "Mai più all'isola d'Elba".
Arriviamo a Portoferraio un pochino in ritardo, ma appena imbocchiamo la strada verso il nostro albergo siamo felici di essere qui. Il nostro hotel - molto semplice, ma rispondente alle nostre aspettative - si trova in una posizione tranquilla in mezzo al verde e dalla nostra camera si vede anche il mare.
Dopo un rapido check in, ci rimettiamo subito in macchina e raggiungiamo la cosiddetta Aia di Cacio, uno spiazzo dopo l'eremo di Santa Caterina da cui si dipartono tre sentieri per mountain bike. È ormai quasi ora di tramonto e dunque imbocchiamo il sentiero che guarda verso il mare e da cui non solo potremo ammirare un panorama mozzafiato ma anche uno dei tramonti più belli che abbiamo mai visto. Non smettiamo di fare foto e di restare a bocca aperta fino a quando l'ultimo pezzettino di sole non affonda nel mare in un tripudio di caldi colori.
A quel punto riprendiamo la macchina perché è ora di cena e, dopo una rapida occhiata a TripAdvisor, optiamo per un ristorante-pizzeria in località Bagnaia, a due passi dalla spiaggia di Punta Pina (una baia molto bella tra l'altro), La rustica. A una prima occhiata al menu capiamo che ci deve essere qualche ascendenza pugliese in questo posto che infatti propone i panzerotti come antipasto. R. non crede ai suoi occhi perché sono mesi che non li mangia. E così si cena con panzerotti e poi un primo con vongole e polpa di granchio a metà.
Dopo un sonno ristoratore, il nostro programma per l'indomani è di andare a vedere la spiaggia di Sansone. Per fortuna la colazione chiude alle 9,30 sennò in spiaggia saremmo arrivate alle tre, e invece - dopo qualche peripezia per parcheggiare la macchina - più o meno verso mezzogiorno stiamo percorrendo la strada per arrivare in spiaggia, che ci offre degli scorci sull'acqua e sulla costa veramente spettacolari.
La spiaggia - stretta e di ghiaia, con una ripida scogliera alle spalle - è parecchio affollata e così quando scopriamo che via terra (anche se entrando in acqua) si può arrivare alla spiaggia vicina, molto più libera, ci spostiamo. Peccato che R. - iperprotettiva verso il suo cane - debba caricarselo addosso e camminare scalza (perché non ha portato scarpe da mare!) sui ciottoli. Comunque la spiaggia e il mare sono bellissimi ed entusiasmanti.
Dopo aver fatto il pieno di bagni e di sole, torniamo verso la macchina dopo un piccolo spuntino, e poi in albergo.
Il pomeriggio andiamo in visita a Portoferraio, dove R. vuole assolutamente vedere le fortezze medicee perché ha letto che da lì si gode uno dei più bei panorami della città. Ed effettivamente ha ragione. Peccato che non ci accorgiamo di una parte del percorso, né troviamo la scala che ci avrebbe portate direttamente al porto; in ogni caso, con gli occhi pieni di sole, di mare e di paesaggi, scendiamo verso piazza Cavour e il lungomare. Qui facciamo un pochino di shopping e mangiamo un gelato, poi ce ne torniamo verso l'albergo.
Per la cena abbiamo adocchiato un posto che sta abbastanza vicino al nostro albergo, un agriristoro con i tavoloni comuni in legno e la cucina a vista a mò di sagra, dove mangiamo sgombro, caponata, pesce spada e polpo. Tutto buono!
Sono le 20,30. Mica possiamo andarcene a letto!!! E così eccoci di nuovo in macchina verso il centro di Rio nell'Elba, dove andiamo a vedere le fontane e il lavatoio pubblico restaurato e poi ci fermiamo a un bar in piazza. Un posto stupendo per le mie foto serali tra bambini che giocano e adulti che chiacchierano o si rilassano.
Per l'indomani, nostro ultimo giorno sull'isola, decidiamo di andare dall'altra parte, al mare. Scegliamo la spiaggia di Laconella, nel golfo di Lacona, nel territorio di Capoliveri. Anche in questo caso ci fermiamo più volte ad ammirare i paesaggi fino all'arrivo in spiaggia e all'immancabile bagno, questa volta anche del cane di R.
Poi ci spostiamo verso le miniere abbandonate e andiamo a visitare Rio Marina. Bello il porticciolo con le case colorate affacciate sul piccolo golfo, belli i localini che circondano il porto. Ottimo il pranzo da Il bar sotto il mare, un posticino delizioso che sta lì in zona, ma un po' più defilato.
Infine, ci rimettiamo in macchina e andiamo alla spiaggia di Cala Seregola, che sta proprio sotto l'impianto minerario abbandonato. La sabbia è infatti rossiccia e nerastra, e luccica di residui ferrosi, cosa che di per sé potrebbe essere inquietante ma sotto il mare produce uno spettacolo davvero strabiliante. C'è poca gente e l'acqua è bellissima e trasparente. Per cui non mi faccio sfuggire un ultimo bagno prima di ripartire.
Ma eccoci di nuovo in macchina verso Portoferraio giusto in tempo per salire sul nostro traghetto che in 40 minuti ci porterà a Piombino. È finita la vacanzina elbana, e al grido di "Mai più" io e R. ci guardiamo negli occhi comunicandoci senza parlare che se potessimo ci torneremmo prestissimo (magari imparando a relazionarci con gli isolani con cui abbiamo avuto un rapporto non proprio semplice!).
E così in men che non si dica prenotiamo una stanza all'Hotel La Feluca, una delle sistemazioni più economiche che troviamo per quei giorni sull'isola, in località Bagnaia, e prendiamo i biglietti per il traghetto di andata e ritorno da Piombino a Portoferraio con trasporto macchina, perché alla fine ci siamo fatte due conti e ci conviene così.
Domenica pomeriggio eccoci al porto di Piombino sotto un sole cocente nella fila di macchine in attesa di imbarcarci mentre tutt'intorno si muove varia umanità che come noi si sta imbarcando: rimarrà storica (e praticamente un leitmotiv di tutta la breve vacanza) l'espressione di una signora del nord, che dopo un po' (ma non tantissimo) che aspettiamo se ne esce con: "Mai più all'Isola d'Elba". E da quel momento tutte le volte che vediamo una cosa bella sull'isola in coro io e R. diciamo: "Mai più all'isola d'Elba".
Arriviamo a Portoferraio un pochino in ritardo, ma appena imbocchiamo la strada verso il nostro albergo siamo felici di essere qui. Il nostro hotel - molto semplice, ma rispondente alle nostre aspettative - si trova in una posizione tranquilla in mezzo al verde e dalla nostra camera si vede anche il mare.
Dopo un rapido check in, ci rimettiamo subito in macchina e raggiungiamo la cosiddetta Aia di Cacio, uno spiazzo dopo l'eremo di Santa Caterina da cui si dipartono tre sentieri per mountain bike. È ormai quasi ora di tramonto e dunque imbocchiamo il sentiero che guarda verso il mare e da cui non solo potremo ammirare un panorama mozzafiato ma anche uno dei tramonti più belli che abbiamo mai visto. Non smettiamo di fare foto e di restare a bocca aperta fino a quando l'ultimo pezzettino di sole non affonda nel mare in un tripudio di caldi colori.
A quel punto riprendiamo la macchina perché è ora di cena e, dopo una rapida occhiata a TripAdvisor, optiamo per un ristorante-pizzeria in località Bagnaia, a due passi dalla spiaggia di Punta Pina (una baia molto bella tra l'altro), La rustica. A una prima occhiata al menu capiamo che ci deve essere qualche ascendenza pugliese in questo posto che infatti propone i panzerotti come antipasto. R. non crede ai suoi occhi perché sono mesi che non li mangia. E così si cena con panzerotti e poi un primo con vongole e polpa di granchio a metà.
Dopo un sonno ristoratore, il nostro programma per l'indomani è di andare a vedere la spiaggia di Sansone. Per fortuna la colazione chiude alle 9,30 sennò in spiaggia saremmo arrivate alle tre, e invece - dopo qualche peripezia per parcheggiare la macchina - più o meno verso mezzogiorno stiamo percorrendo la strada per arrivare in spiaggia, che ci offre degli scorci sull'acqua e sulla costa veramente spettacolari.
La spiaggia - stretta e di ghiaia, con una ripida scogliera alle spalle - è parecchio affollata e così quando scopriamo che via terra (anche se entrando in acqua) si può arrivare alla spiaggia vicina, molto più libera, ci spostiamo. Peccato che R. - iperprotettiva verso il suo cane - debba caricarselo addosso e camminare scalza (perché non ha portato scarpe da mare!) sui ciottoli. Comunque la spiaggia e il mare sono bellissimi ed entusiasmanti.
Dopo aver fatto il pieno di bagni e di sole, torniamo verso la macchina dopo un piccolo spuntino, e poi in albergo.
Il pomeriggio andiamo in visita a Portoferraio, dove R. vuole assolutamente vedere le fortezze medicee perché ha letto che da lì si gode uno dei più bei panorami della città. Ed effettivamente ha ragione. Peccato che non ci accorgiamo di una parte del percorso, né troviamo la scala che ci avrebbe portate direttamente al porto; in ogni caso, con gli occhi pieni di sole, di mare e di paesaggi, scendiamo verso piazza Cavour e il lungomare. Qui facciamo un pochino di shopping e mangiamo un gelato, poi ce ne torniamo verso l'albergo.
Per la cena abbiamo adocchiato un posto che sta abbastanza vicino al nostro albergo, un agriristoro con i tavoloni comuni in legno e la cucina a vista a mò di sagra, dove mangiamo sgombro, caponata, pesce spada e polpo. Tutto buono!
Sono le 20,30. Mica possiamo andarcene a letto!!! E così eccoci di nuovo in macchina verso il centro di Rio nell'Elba, dove andiamo a vedere le fontane e il lavatoio pubblico restaurato e poi ci fermiamo a un bar in piazza. Un posto stupendo per le mie foto serali tra bambini che giocano e adulti che chiacchierano o si rilassano.
Per l'indomani, nostro ultimo giorno sull'isola, decidiamo di andare dall'altra parte, al mare. Scegliamo la spiaggia di Laconella, nel golfo di Lacona, nel territorio di Capoliveri. Anche in questo caso ci fermiamo più volte ad ammirare i paesaggi fino all'arrivo in spiaggia e all'immancabile bagno, questa volta anche del cane di R.
Poi ci spostiamo verso le miniere abbandonate e andiamo a visitare Rio Marina. Bello il porticciolo con le case colorate affacciate sul piccolo golfo, belli i localini che circondano il porto. Ottimo il pranzo da Il bar sotto il mare, un posticino delizioso che sta lì in zona, ma un po' più defilato.
Infine, ci rimettiamo in macchina e andiamo alla spiaggia di Cala Seregola, che sta proprio sotto l'impianto minerario abbandonato. La sabbia è infatti rossiccia e nerastra, e luccica di residui ferrosi, cosa che di per sé potrebbe essere inquietante ma sotto il mare produce uno spettacolo davvero strabiliante. C'è poca gente e l'acqua è bellissima e trasparente. Per cui non mi faccio sfuggire un ultimo bagno prima di ripartire.
Ma eccoci di nuovo in macchina verso Portoferraio giusto in tempo per salire sul nostro traghetto che in 40 minuti ci porterà a Piombino. È finita la vacanzina elbana, e al grido di "Mai più" io e R. ci guardiamo negli occhi comunicandoci senza parlare che se potessimo ci torneremmo prestissimo (magari imparando a relazionarci con gli isolani con cui abbiamo avuto un rapporto non proprio semplice!).
domenica 24 settembre 2017
Levante (+ Stag). Ex Dogana, 9 settembre 2017
Una bella serata di fine estate nella location dell'Ex Dogana, che - a parte qualche problema organizzativo - è sicuramente un bell'incubatore di iniziative di vario genere, tra cui anche quelle musicali.
Questa volta nessun problema all'ingresso, e siccome sono arrivata come al solito parecchio in anticipo approfitto per mangiare qualcosa nell'area food. Poi mi aggiro chiedendomi come mai non c'è nessuno sotto il palco grande.
Solo dopo un po' che giro mi accorgo che il concerto si terrà nell'area del palco piccolo e ovviamente nel frattempo le prime file sono state già occupate da ragazzi in età da scuola superiore che stanno già lì in attesa.
Comunque mi infilo in un corridoio tra le teste da dove spero di poter fare un po' di foto.
Il concerto è aperto dagli Stag, un gruppo formato da quattro ragazzi, un cantante e tastierista nonché leader del gruppo (Marco Guazzone), un trombettista (ma anche voce), un chitarrista e un percussionista. Il pubblico li accoglie con una certa freddezza, ma - dopo le prime canzoni - l'interesse verso questi bravi musicisti cresce e il ritmo pure. La loro breve esibizione si conclude con una canzone dal ritmo sostenuto che trascina il pubblico nel ballo.
L'atmosfera a questo punto si è scaldata e, mentre lo spazio per il concerto è ormai gremito di gente, il palco viene allestito per l'arrivo di Levante. Fin dal principio si capisce che il suo concerto sarà molto scenografico: lei arriva sul palco con un salto e contemporaneamente sugli schermi dietro di lei scorrono immagini potenti e suggestive, certamente studiate in ogni dettaglio per fare da perfetto complemento alle canzoni.
Levante si rivela - e si conferma per chi ha già assistito ai suoi concerti - un vero e proprio animale da palcoscenico. Una cantante che non solo canta, ma interpreta con il corpo, con le espressioni facciali, con i balli scatenati che improvvisa, cui si alternano momenti di grande suggestione e intimità con alcune canzoni.
Il pubblico è letteralmente rapito da lei e dal suo spettacolo musicale, che è certamente di quelli che non si dimenticano. Con Levante ci si trova di fronte alla classica situazione in cui non è importante l'impeccabilità musicale, ma l'energia che si sprigiona, la vitalità, il senso d'insieme, il valore aggiunto dello spettacolo dal vivo, che non è solo esecuzione dei brani.
La cantante di origine siciliana (il cui vero nome è Claudia Lagona) non si risparmia. Ci canta quasi tutto il suo repertorio nei tempi del suo spettacolo, cosicché tutti nel pubblico prima o poi vengono accontentati e hanno la possibilità di cantare con lei la loro canzone preferita.
Non immaginavo che Levante potesse avere un seguito non solo così vasto, ma anche così appassionato, come dimostra un pubblico che conosce tutte le sue canzoni parola per parola.
Un pubblico con il quale lei interloquisce poco e ci dice anche perché: perché tutto quello che ha da dire finisce nelle sue canzoni ed è con quelle che vuole esprimersi e parlare a ciascuno di noi.
Quando ci saluta abbiamo fatto il pieno della sua energia e Levante ha conquistato anche chi, come la mia amica M. che è venuta a sentire il concerto senza conoscerla, la ascoltava per la prima volta.
Voto: 4/5
Questa volta nessun problema all'ingresso, e siccome sono arrivata come al solito parecchio in anticipo approfitto per mangiare qualcosa nell'area food. Poi mi aggiro chiedendomi come mai non c'è nessuno sotto il palco grande.
Solo dopo un po' che giro mi accorgo che il concerto si terrà nell'area del palco piccolo e ovviamente nel frattempo le prime file sono state già occupate da ragazzi in età da scuola superiore che stanno già lì in attesa.
Comunque mi infilo in un corridoio tra le teste da dove spero di poter fare un po' di foto.
Il concerto è aperto dagli Stag, un gruppo formato da quattro ragazzi, un cantante e tastierista nonché leader del gruppo (Marco Guazzone), un trombettista (ma anche voce), un chitarrista e un percussionista. Il pubblico li accoglie con una certa freddezza, ma - dopo le prime canzoni - l'interesse verso questi bravi musicisti cresce e il ritmo pure. La loro breve esibizione si conclude con una canzone dal ritmo sostenuto che trascina il pubblico nel ballo.
L'atmosfera a questo punto si è scaldata e, mentre lo spazio per il concerto è ormai gremito di gente, il palco viene allestito per l'arrivo di Levante. Fin dal principio si capisce che il suo concerto sarà molto scenografico: lei arriva sul palco con un salto e contemporaneamente sugli schermi dietro di lei scorrono immagini potenti e suggestive, certamente studiate in ogni dettaglio per fare da perfetto complemento alle canzoni.
Levante si rivela - e si conferma per chi ha già assistito ai suoi concerti - un vero e proprio animale da palcoscenico. Una cantante che non solo canta, ma interpreta con il corpo, con le espressioni facciali, con i balli scatenati che improvvisa, cui si alternano momenti di grande suggestione e intimità con alcune canzoni.
Il pubblico è letteralmente rapito da lei e dal suo spettacolo musicale, che è certamente di quelli che non si dimenticano. Con Levante ci si trova di fronte alla classica situazione in cui non è importante l'impeccabilità musicale, ma l'energia che si sprigiona, la vitalità, il senso d'insieme, il valore aggiunto dello spettacolo dal vivo, che non è solo esecuzione dei brani.
La cantante di origine siciliana (il cui vero nome è Claudia Lagona) non si risparmia. Ci canta quasi tutto il suo repertorio nei tempi del suo spettacolo, cosicché tutti nel pubblico prima o poi vengono accontentati e hanno la possibilità di cantare con lei la loro canzone preferita.
Non immaginavo che Levante potesse avere un seguito non solo così vasto, ma anche così appassionato, come dimostra un pubblico che conosce tutte le sue canzoni parola per parola.
Un pubblico con il quale lei interloquisce poco e ci dice anche perché: perché tutto quello che ha da dire finisce nelle sue canzoni ed è con quelle che vuole esprimersi e parlare a ciascuno di noi.
Quando ci saluta abbiamo fatto il pieno della sua energia e Levante ha conquistato anche chi, come la mia amica M. che è venuta a sentire il concerto senza conoscerla, la ascoltava per la prima volta.
Voto: 4/5
mercoledì 20 settembre 2017
Misdirection / Lucia Biagi
Misdirection / Lucia Biagi. Torino: Eris, 2017.
Ormai si è capito: i graphic novel sono il regno dei romanzi di formazione, delle storie di adolescenti, delle esperienze che permettono il passaggio alla vita adulta. E questo è un po' un limite del mezzo, perché a volte produce il rischio della ripetitività, però è anche una sua grande ricchezza perché il graphic novel rappresenta in qualche modo l'anello di congiunzione tra la letteratura per ragazzi e quella per adulti, avvicinando e mescolando due pubblici diversi.
Il lavoro di Lucia Biagi si inserisce perfettamente in questo filone. Misdirection racconta un'estate dell'adolescenza di Federica (che è in montagna con i nonni in attesa dell'arrivo dei genitori), o meglio alcuni giorni, quelli che seguono un'uscita in discoteca con l'amica più grande, Noemi, e la successiva sparizione di quest'ultima.
Federica comincia - anche facendosi aiutare da un amico - a cercare Noemi, e gestisce l'angoscia crescente per la situazione affidando i suoi pensieri al diario vocale che tiene e ai disegni che ritaglia e che monta in forma di stopmotion.
Man mano che si inoltrerà nella vita di Noemi, nelle parole degli altri emergeranno sfaccettature diverse dell'amica e Federica comprenderà che Noemi ama la libertà e per prendersela corre rischi anche elevati.
All'interno di tavole integralmente virate in verde e viola, assistiamo alla crescita di Federica dall'ingenuità del suo essere bambina alla consapevolezza della complessità del mondo e delle relazioni nelle quali siamo immersi.
L'esito di questo percorso non potrà che essere un ritorno a se stessa, perché crescere significa fondamentalmente capire e accettare che ognuno è responsabile della propria vita e libero - entro i limiti che ha l'esistenza umana - di farne quello che decide, che non possiamo salvare nessuno se non noi stessi, nella misura in cui impariamo ad ascoltare quello che sentiamo e proviamo a comprendere quello che desideriamo.
Voto: 3,5/5
Ormai si è capito: i graphic novel sono il regno dei romanzi di formazione, delle storie di adolescenti, delle esperienze che permettono il passaggio alla vita adulta. E questo è un po' un limite del mezzo, perché a volte produce il rischio della ripetitività, però è anche una sua grande ricchezza perché il graphic novel rappresenta in qualche modo l'anello di congiunzione tra la letteratura per ragazzi e quella per adulti, avvicinando e mescolando due pubblici diversi.
Il lavoro di Lucia Biagi si inserisce perfettamente in questo filone. Misdirection racconta un'estate dell'adolescenza di Federica (che è in montagna con i nonni in attesa dell'arrivo dei genitori), o meglio alcuni giorni, quelli che seguono un'uscita in discoteca con l'amica più grande, Noemi, e la successiva sparizione di quest'ultima.
Federica comincia - anche facendosi aiutare da un amico - a cercare Noemi, e gestisce l'angoscia crescente per la situazione affidando i suoi pensieri al diario vocale che tiene e ai disegni che ritaglia e che monta in forma di stopmotion.
Man mano che si inoltrerà nella vita di Noemi, nelle parole degli altri emergeranno sfaccettature diverse dell'amica e Federica comprenderà che Noemi ama la libertà e per prendersela corre rischi anche elevati.
All'interno di tavole integralmente virate in verde e viola, assistiamo alla crescita di Federica dall'ingenuità del suo essere bambina alla consapevolezza della complessità del mondo e delle relazioni nelle quali siamo immersi.
L'esito di questo percorso non potrà che essere un ritorno a se stessa, perché crescere significa fondamentalmente capire e accettare che ognuno è responsabile della propria vita e libero - entro i limiti che ha l'esistenza umana - di farne quello che decide, che non possiamo salvare nessuno se non noi stessi, nella misura in cui impariamo ad ascoltare quello che sentiamo e proviamo a comprendere quello che desideriamo.
Voto: 3,5/5
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