È uscito da poco il nuovo lavoro dei Cigarettes after sex che ha lo stesso nome della band. Io un po' già li avevo ascoltati in passato e avevo avuto modo di apprezzare le loro melodie tristi e romantiche. Cosicché quando ho saputo che venivano a suonare a Roma per la prima volta ho subito preso il disco e anche il biglietto del concerto.
La voce suadente di Greg Gonzalez mi ha fatto dunque compagnia a più riprese nelle scorse settimane fino al giorno atteso del concerto.
Arrivo all'Ex Dogana parecchio in anticipo, innanzitutto perché - come sempre - vorrei essere molto avanti per fare le foto, in secondo luogo perché la precedente esperienza della visita al Planetario mi aveva fatto assaggiare la disorganizzazione del luogo.
Ed infatti anche questa volta - oltre al fatto che l'apertura arriva alle 19,30 e non alle 19 come comunicato - ci indirizzano alla fila sbagliata, poi ci fanno tornare indietro ecc. ecc. Comunque eccomi davanti al palco dove ci sono almeno una trentina di persone, ragazzi e ragazze in età universitaria, che si sono sedute ad aspettare.
Così faccio anch'io.
Alle nove puntualissima sale sul palco Hån, la giovanissima italiana cui è affidato il primo opening della serata. Lei è timidissima e quando si rivolge al pubblico lo fa con un tale imbarazzo che quasi nessuno capisce le sue parole, ma nella platea ha parecchi sostenitori che la incoraggiano. Lei e il suo chitarrista tengono bene il palco e scaldano un pochino l'atmosfera mentre il vento s'alza e il cielo imbrunisce.
Dopo Hån e un breve cambio di strumenti sul palco, è la volta dei Celebration, il gruppo capitanato da Katrina Ford, che fa una musica quasi psichedelica supportata dal carisma e dalla gran voce della cantante. Alcune canzoni sono anche molto belle e trascinanti, altre sono un po' troppo per i miei gusti, eppure sono sostanzialmente ipnotizzata dalla lunga gonna rossa con cui Katrina si muove leggiadra sul palco.
Mentre è ormai quasi buio qui sotto la tangenziale, eccoci all'ultimo cambio di palco. E finalmente i Cigarettes after sex sono alle loro postazioni: Greg Gonzalez alla chitarra e voce, Jacob Tomsky alla batteria, Phillip Tubbs alle tastiere, e Randy Miller al basso, la più classica delle formazioni.
Senza troppi preamboli, nell'entusiasmo di un pubblico formato da gente di tutte le età, ma anche moltissimi giovani (cosa che sinceramente non immaginavo!), attaccano con Sweet, mentre sullo schermo in sfondo al palco cominciano a scorrere immagini evocative e suggestive, a metà strada tra il romantico e l'inquietante, esattamente come la loro musica. Il frontman si limita a qualche ringraziamento tra una canzone e l'altra (a parte una battuta verso la fine del concerto sulla ragazza con le sigarette in prima fila), mentre la band ci canta molte canzoni dell'ultimo album nonché altre dai lavori precedenti. Ascolteremo - tra le altre - Each time you fall in love, K., John Wayne, Keep on loving you.
All'ultima canzone Gonzalez ci saluta, ma il pubblico non ci sta e li richiama a gran voce per due ultimi pezzi che saranno Affection e Apocalypse, dopo il quale ci si può dire soddisfatti.
Dal mio punto di vista i Cigarettes after sex sono tra quei gruppi che sono in grado di fare un bello spettacolo musicale e creare l'atmosfera giusta, ma la cui performance dal vivo - a parte lo spettacolo diciamo visivo - non mi pare che aggiunga moltissimo all'ascolto registrato. I musicisti e il cantante sono bravi e fanno ottima musica, sebbene a tratti un po' monocorde, però non posso dire - come in molti altri casi mi è capitato - che dal vivo facciano davvero la differenza. Forse è anche il tipo di musica che oggettivamente si presta maggiormente a un ascolto in cuffia ad alto volume, per isolarsi dal mondo e guardarsi dentro.
Comunque un concerto cui sono felice di aver partecipato.
Voto: 3,5/5
lunedì 31 luglio 2017
Cigarettes after sex (+ Hån + Celebration). Ex Dogana, 24 luglio 2017
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venerdì 28 luglio 2017
La ragazza del mondo
Grazie all'Isola del Cinema, l'ormai tradizionale arena estiva dell'isola tiberina, recupero il film di Marco Danieli, La ragazza del mondo, che avevo perso a suo tempo.
Il film racconta la travagliata storia d'amore tra Giulia (Sara Serraiocco) e Libero (Michele Riondino) dal suo emergere alla sua fine.
Giulia è una Testimone di Geova, come la sua famiglia. Frequenta le adunanze, predica porta a porta ed è molto religiosa e rispettosa delle regole.
Libero è uscito da poco dalla galera (dove è finito per spaccio) e vive con la madre.
I due si incontrano e si innamorano. Ma Giulia - secondo le regole del gruppo religioso cui appartiene - non può frequentare un "ragazzo del mondo" e soprattutto non può avere rapporti prematrimoniali. Cosicché presto dovrà fare i conti con la sua coscienza e con i condizionamenti del suo gruppo religioso e dovrà decidere da che parte stare.
Sceglierà di stare con Libero, accettando l'espulsione dalla comunità e l'emarginazione, e lo farà anche quando Libero - incapace di garantirle una vita normale - si metterà nuovamente nei guai.
Il film di Marco Danieli racconta due mondi estremi: da un lato quello rigido e chiuso dei Testimoni di Geova cui appartiene Giulia, dall'altro quello da case popolari e spaccio di droga cui appartiene Libero.
Il mondo normale, quello che non è condizionato da ortodossie religiose, né sta ai margini della società, è assente da questo racconto, e in un primo momento questa scelta mi è sembrata il limite più grosso del film, una specie di artificio per amplificare l'effetto.
Riflettendoci meglio a posteriori mi sono detta invece che forse Giulia - educata al rispetto di regole troppo rigide - non poteva in fondo che finire nelle braccia di un personaggio a sua volta estremo come Libero. E in quest'ottica il film acquista una coloritura nuova nella misura in cui ci propone una riflessione sugli effetti collaterali di qualunque forma di educazione - non ultima quella di tipo religioso - che svaluta la felicità e la responsabilità del singolo e che gioca sui sensi di colpa dell'individuo.
Non un capolavoro del cinema italiano, ma certamente un film onesto e non superficiale, ben scritto e recitato. E che dunque sono stata contenta di recuperare.
Voto: 3/5
Il film racconta la travagliata storia d'amore tra Giulia (Sara Serraiocco) e Libero (Michele Riondino) dal suo emergere alla sua fine.
Giulia è una Testimone di Geova, come la sua famiglia. Frequenta le adunanze, predica porta a porta ed è molto religiosa e rispettosa delle regole.
Libero è uscito da poco dalla galera (dove è finito per spaccio) e vive con la madre.
I due si incontrano e si innamorano. Ma Giulia - secondo le regole del gruppo religioso cui appartiene - non può frequentare un "ragazzo del mondo" e soprattutto non può avere rapporti prematrimoniali. Cosicché presto dovrà fare i conti con la sua coscienza e con i condizionamenti del suo gruppo religioso e dovrà decidere da che parte stare.
Sceglierà di stare con Libero, accettando l'espulsione dalla comunità e l'emarginazione, e lo farà anche quando Libero - incapace di garantirle una vita normale - si metterà nuovamente nei guai.
Il film di Marco Danieli racconta due mondi estremi: da un lato quello rigido e chiuso dei Testimoni di Geova cui appartiene Giulia, dall'altro quello da case popolari e spaccio di droga cui appartiene Libero.
Il mondo normale, quello che non è condizionato da ortodossie religiose, né sta ai margini della società, è assente da questo racconto, e in un primo momento questa scelta mi è sembrata il limite più grosso del film, una specie di artificio per amplificare l'effetto.
Riflettendoci meglio a posteriori mi sono detta invece che forse Giulia - educata al rispetto di regole troppo rigide - non poteva in fondo che finire nelle braccia di un personaggio a sua volta estremo come Libero. E in quest'ottica il film acquista una coloritura nuova nella misura in cui ci propone una riflessione sugli effetti collaterali di qualunque forma di educazione - non ultima quella di tipo religioso - che svaluta la felicità e la responsabilità del singolo e che gioca sui sensi di colpa dell'individuo.
Non un capolavoro del cinema italiano, ma certamente un film onesto e non superficiale, ben scritto e recitato. E che dunque sono stata contenta di recuperare.
Voto: 3/5
mercoledì 26 luglio 2017
Un anno senza te / storia Luca Vanzella; disegni e colori Giopota
Un anno senza te / storia Luca Vanzella; disegni e colori Giopota. Milano: Bao Publishing, 2017.
Siamo a Bologna, una Bologna che un po' è quella vera come tutti la conosciamo con i suoi portici e le sue torri, un po' è quella riletta e immaginata in modo quasi magico dalla mente di Luca Vanzella e dai disegni di Giopota.
Antonio è uno studente di storia medievale e sta preparando una tesi sui santi dimenticati. In questo ultimo anno di università dovrà però affrontare la fine della storia con Tancredi con tutto quello che ciò comporta: lo scoramento, la mancanza di fiducia in se stesso, la nostalgia e i ricordi, le piccole illusioni quotidiane e le grandi delusioni, i tentativi falliti di iniziare nuove relazioni, i rapporti e le avventure con i suoi coinquilini, anche loro altrettanto irrisolti sul piano sentimentale. In poche parole, la metabolizzazione dell'abbandono.
Dodici mesi per recuperare dopo una storia di soli tre mesi, ma che fa seguito a diverse altre delusioni sentimentali. Dodici mesi per comprendere che è sempre noi stessi che stiamo cercando. Come scrive Reviati in Sputa tre volte, "si piange sempre per noi stessi", e questo è assolutamente vero anche nelle delusioni d'amore.
Lo stile di Vanzella e Giopota non è però introspettivo in maniera lacrimevole, bensì frizzante e a tratti ironico. E il mescolarsi di realismo e inserti onirici e surreali (la nevicata di conigli ad esempio), nonché la reinterpretazione di cose reali in termini buffamente astratti, conferiscono al racconto una freschezza poco consueta nei graphic novel italiani e che a tratti ricorda alcuni elementi tipici dei manga.
Del resto, lo stesso Antonio, il protagonista, è al contempo buffo e macchiettistico come il personaggio di un manga, ma anche classico e quasi vintage persino per un fumetto contemporaneo, senza per questo risultare meno credibile e umano. E dunque riconoscibile dal lettore.
Un anno senza te si mantiene quasi sospeso in uno spazio-tempo indefinito in cui riconosciamo molte cose e nello stesso tempo ci sentiamo sperduti.
Come Antonio, alla fine della lettura dell'albo anche noi prenderemo la nostra spada in mano e ci sentiremo più pronti e più forti per affrontare il mondo, anche se certo a volte non è facile; l'importante è ricordarsi di potercela fare, grazie anche alle risorse che ci portiamo dentro e ci costruiamo attraverso le esperienze.
Voto: 3,5/5
Siamo a Bologna, una Bologna che un po' è quella vera come tutti la conosciamo con i suoi portici e le sue torri, un po' è quella riletta e immaginata in modo quasi magico dalla mente di Luca Vanzella e dai disegni di Giopota.
Antonio è uno studente di storia medievale e sta preparando una tesi sui santi dimenticati. In questo ultimo anno di università dovrà però affrontare la fine della storia con Tancredi con tutto quello che ciò comporta: lo scoramento, la mancanza di fiducia in se stesso, la nostalgia e i ricordi, le piccole illusioni quotidiane e le grandi delusioni, i tentativi falliti di iniziare nuove relazioni, i rapporti e le avventure con i suoi coinquilini, anche loro altrettanto irrisolti sul piano sentimentale. In poche parole, la metabolizzazione dell'abbandono.
Dodici mesi per recuperare dopo una storia di soli tre mesi, ma che fa seguito a diverse altre delusioni sentimentali. Dodici mesi per comprendere che è sempre noi stessi che stiamo cercando. Come scrive Reviati in Sputa tre volte, "si piange sempre per noi stessi", e questo è assolutamente vero anche nelle delusioni d'amore.
Lo stile di Vanzella e Giopota non è però introspettivo in maniera lacrimevole, bensì frizzante e a tratti ironico. E il mescolarsi di realismo e inserti onirici e surreali (la nevicata di conigli ad esempio), nonché la reinterpretazione di cose reali in termini buffamente astratti, conferiscono al racconto una freschezza poco consueta nei graphic novel italiani e che a tratti ricorda alcuni elementi tipici dei manga.
Del resto, lo stesso Antonio, il protagonista, è al contempo buffo e macchiettistico come il personaggio di un manga, ma anche classico e quasi vintage persino per un fumetto contemporaneo, senza per questo risultare meno credibile e umano. E dunque riconoscibile dal lettore.
Un anno senza te si mantiene quasi sospeso in uno spazio-tempo indefinito in cui riconosciamo molte cose e nello stesso tempo ci sentiamo sperduti.
Come Antonio, alla fine della lettura dell'albo anche noi prenderemo la nostra spada in mano e ci sentiremo più pronti e più forti per affrontare il mondo, anche se certo a volte non è facile; l'importante è ricordarsi di potercela fare, grazie anche alle risorse che ci portiamo dentro e ci costruiamo attraverso le esperienze.
Voto: 3,5/5
lunedì 24 luglio 2017
Oltre le nuvole - Il luogo promessoci
Approfittando delle rassegne estive e della presenza del nipot(on)e a Roma, recupero al cinema un anime giapponese che era stato proiettato nelle sale italiane ad aprile scorso grazie a Nexo Digital (pur trattandosi di un film del 2004).
Si tratta del film d'esordio di Makoto Shinkai che in tempi più recenti ha avuto un grande successo con il film Your name. (che pure mi piacerebbe vedere).
Non c'è dubbio sul fatto che quella di Makoto Shinkai - considerato da molti l'erede di Hayao Miyazaki - sia una mente visionaria e ciò risulta evidente già in questo primo film.
Oltre le nuvole racconta la storia di due amici, Hiroki e Takuya, che ai tempi delle scuole medie coltivano il sogno di realizzare un aereo per raggiungere l'altissima torre che si erge sull'isola di Hokkaido in un Giappone sotto il controllo statunitense, ad eccezione appunto dell'isola di Hokkaido occupata dall'Unione.
In questo periodo i due giovani conoscono la giovane Sayuri, cui promettono di portarla un giorno con il loro aereo alla torre.
Diventati più grandi, Hiroki si trasferisce a Tokyo dove conduce una vita malinconica e solitaria, mentre Takauya prosegue le ricerche di fisica e si occupa di sincronizzazione di universi paralleli, mentre Sayuri è in ospedale in una specie di narcolessia inspiegabile.
La chiave della narrazione è l'altissima torre di Hokkaido che presto si capisce essere un'arma potente capace di inghiottire e stravolgere la realtà, ed è in qualche modo collegata alla mente di Sayuri. I due amici - che nel frattempo sono andati in direzioni diverse e in parte contraddittorie - dovranno nuovamente allearsi per salvare Sayuri e nello stesso tempo per garantire la sopravvivenza del loro paese.
La trama fantascientifica di Oltre le nuvole è - come già si può capire da questa breve spiegazione - piuttosto articolata e a tratti anche non del tutto comprensibile nei suoi passaggi, ma resta certamente affascinante.
Però il vero fascino del film di Shinkai è l'animazione e la regia che lo caratterizzano: disegni, paesaggi, movimenti e soprattutto varietà e originalità delle inquadrature trascinano lo spettatore in uno spettacolo visivo di rara bellezza e intensità, che non ha niente da invidiare ai film non di animazione.
A questo punto non resta che recuperare anche i suoi altri film.
Voto: 3,5/5
Si tratta del film d'esordio di Makoto Shinkai che in tempi più recenti ha avuto un grande successo con il film Your name. (che pure mi piacerebbe vedere).
Non c'è dubbio sul fatto che quella di Makoto Shinkai - considerato da molti l'erede di Hayao Miyazaki - sia una mente visionaria e ciò risulta evidente già in questo primo film.
Oltre le nuvole racconta la storia di due amici, Hiroki e Takuya, che ai tempi delle scuole medie coltivano il sogno di realizzare un aereo per raggiungere l'altissima torre che si erge sull'isola di Hokkaido in un Giappone sotto il controllo statunitense, ad eccezione appunto dell'isola di Hokkaido occupata dall'Unione.
In questo periodo i due giovani conoscono la giovane Sayuri, cui promettono di portarla un giorno con il loro aereo alla torre.
Diventati più grandi, Hiroki si trasferisce a Tokyo dove conduce una vita malinconica e solitaria, mentre Takauya prosegue le ricerche di fisica e si occupa di sincronizzazione di universi paralleli, mentre Sayuri è in ospedale in una specie di narcolessia inspiegabile.
La chiave della narrazione è l'altissima torre di Hokkaido che presto si capisce essere un'arma potente capace di inghiottire e stravolgere la realtà, ed è in qualche modo collegata alla mente di Sayuri. I due amici - che nel frattempo sono andati in direzioni diverse e in parte contraddittorie - dovranno nuovamente allearsi per salvare Sayuri e nello stesso tempo per garantire la sopravvivenza del loro paese.
La trama fantascientifica di Oltre le nuvole è - come già si può capire da questa breve spiegazione - piuttosto articolata e a tratti anche non del tutto comprensibile nei suoi passaggi, ma resta certamente affascinante.
Però il vero fascino del film di Shinkai è l'animazione e la regia che lo caratterizzano: disegni, paesaggi, movimenti e soprattutto varietà e originalità delle inquadrature trascinano lo spettatore in uno spettacolo visivo di rara bellezza e intensità, che non ha niente da invidiare ai film non di animazione.
A questo punto non resta che recuperare anche i suoi altri film.
Voto: 3,5/5
venerdì 21 luglio 2017
Sputa tre volte / Davide Reviati
Sputa tre volte / Davide Reviati. Roma: Coconino Press, 2016.
Sputa tre volte è il lavoro che - dopo il successo già ottenuto da Morti di sonno - ha portato alla ribalta l'universo grafico e concettuale di Davide Reviati, fumettista proveniente dalla provincia di Ravenna.
Non so se chi legge ha presente l'oggetto di cui stiamo parlando, ma è bene sapere che si tratta di un volume di 562 pagine, un tomo densissimo, che a differenza di molte altre pubblicazioni del genere, non è un libro da leggere in un'oretta di pausa. E questo sia per le dimensioni sia per la concentrazione e l'attenzione che la lettura di questo volume richiede.
Sputa tre volte appartiene a uno dei generi più rappresentati nel mondo dei graphic novel, ossia il racconto di formazione semiautobiografico che si focalizza sull'età di passaggio per eccellenza alla vita adulta, ossia l'adolescenza.
Qui il protagonista è Guido, un ragazzetto piuttosto scapestrato, che non ne vuole sapere della scuola e preferisce andare in giro a cazzeggiare con gli amici di sempre, Grisù e Katango. Ma dove vive Guido, ossia nella profonda provincia romagnola, da sempre è in atto una contrapposizione tra gli abitanti del luogo, i "gagi", e gli zingari, i "sinti", disprezzati dalla popolazione e considerati responsabili di tutto quello che di negativo accade in questa piccola comunità.
Tutti, fin da bambini, introiettano questo disprezzo e questo senso di superiorità culturale, anche quando tra le vite dei "gagi" e quelle dei rom non c'è poi così tanta differenza, o quando i percorsi degli uni si incrociano più o meno volontariamente con quelli degli altri. Dietro un'apparenza che tiene gli zingari a distanza quasi fossero tutti matti o appestati, gradualmente si scopre che la realtà è molto meno ordinata e i ruoli molto meno definiti di quanto non appaia a prima vista.
E Guido lo scoprirà a poco a poco.
La narrazione di Reviati procede secondo un ordine non cronologico, muovendosi avanti e indietro nel tempo, per episodi e fasi che vedono Guido bambino, adolescente o giovane prima di spiccare il volo. La stessa alternanza e mescolanza caratterizza i racconti del reale e quelli onirici e mentali. Il lettore è dunque risucchiato in questo mondo cupo, guardato attraverso gli occhi di un bambino e poi di un adolescente, e quindi a tratti incomprensibile.
Fin qui potrebbe sembrare qualcosa di già visto e letto; in realtà l'albo di Reviati emerge grazie al suo respiro ampio, che dalla vicenda personale e tutto sommato limitata di Guido si allarga a una riflessione più ampia su storia, cultura e usi della popolazione rom. Il breve racconto a fumetti finale dedicato alla poetessa rom Papusza e l'ampia bibliografia finale sono la testimonianza definitiva del fatto che quello di Reviati è un vero romanzo in forma di fumetto.
E come tutti i romanzi che si rispettino durante la lettura delle sue pagine si alternano momenti di spaesamento, altri di noia e alcuni di vera e propria illuminazione, vignette e pagine che restano davvero negli occhi e nella mente.
Un graphic novel di cui non ci si innamora immediatamente ma che conquista lentamente, e forse per questo in maniera più durevole.
Voto: 3,5/5
Sputa tre volte è il lavoro che - dopo il successo già ottenuto da Morti di sonno - ha portato alla ribalta l'universo grafico e concettuale di Davide Reviati, fumettista proveniente dalla provincia di Ravenna.
Non so se chi legge ha presente l'oggetto di cui stiamo parlando, ma è bene sapere che si tratta di un volume di 562 pagine, un tomo densissimo, che a differenza di molte altre pubblicazioni del genere, non è un libro da leggere in un'oretta di pausa. E questo sia per le dimensioni sia per la concentrazione e l'attenzione che la lettura di questo volume richiede.
Sputa tre volte appartiene a uno dei generi più rappresentati nel mondo dei graphic novel, ossia il racconto di formazione semiautobiografico che si focalizza sull'età di passaggio per eccellenza alla vita adulta, ossia l'adolescenza.
Qui il protagonista è Guido, un ragazzetto piuttosto scapestrato, che non ne vuole sapere della scuola e preferisce andare in giro a cazzeggiare con gli amici di sempre, Grisù e Katango. Ma dove vive Guido, ossia nella profonda provincia romagnola, da sempre è in atto una contrapposizione tra gli abitanti del luogo, i "gagi", e gli zingari, i "sinti", disprezzati dalla popolazione e considerati responsabili di tutto quello che di negativo accade in questa piccola comunità.
Tutti, fin da bambini, introiettano questo disprezzo e questo senso di superiorità culturale, anche quando tra le vite dei "gagi" e quelle dei rom non c'è poi così tanta differenza, o quando i percorsi degli uni si incrociano più o meno volontariamente con quelli degli altri. Dietro un'apparenza che tiene gli zingari a distanza quasi fossero tutti matti o appestati, gradualmente si scopre che la realtà è molto meno ordinata e i ruoli molto meno definiti di quanto non appaia a prima vista.
E Guido lo scoprirà a poco a poco.
La narrazione di Reviati procede secondo un ordine non cronologico, muovendosi avanti e indietro nel tempo, per episodi e fasi che vedono Guido bambino, adolescente o giovane prima di spiccare il volo. La stessa alternanza e mescolanza caratterizza i racconti del reale e quelli onirici e mentali. Il lettore è dunque risucchiato in questo mondo cupo, guardato attraverso gli occhi di un bambino e poi di un adolescente, e quindi a tratti incomprensibile.
Fin qui potrebbe sembrare qualcosa di già visto e letto; in realtà l'albo di Reviati emerge grazie al suo respiro ampio, che dalla vicenda personale e tutto sommato limitata di Guido si allarga a una riflessione più ampia su storia, cultura e usi della popolazione rom. Il breve racconto a fumetti finale dedicato alla poetessa rom Papusza e l'ampia bibliografia finale sono la testimonianza definitiva del fatto che quello di Reviati è un vero romanzo in forma di fumetto.
E come tutti i romanzi che si rispettino durante la lettura delle sue pagine si alternano momenti di spaesamento, altri di noia e alcuni di vera e propria illuminazione, vignette e pagine che restano davvero negli occhi e nella mente.
Un graphic novel di cui non ci si innamora immediatamente ma che conquista lentamente, e forse per questo in maniera più durevole.
Voto: 3,5/5
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