mercoledì 23 dicembre 2015
Small feet. Blackmarket, Unplugged in Monti, 15 dicembre 2015
Ultimo concerto prima della pausa natalizia e della fine dell’anno.
Al Blackmarket questa sera c’è la band svedese Small Feet, per me sconosciuta prima che gli organizzatori di Unplugged in Monti li portassero a Roma. Ascolto un po’ di loro canzoni e decido che voglio andare ad ascoltarli.
Questa volta arrivo per tempo e riesco anche ad appropriarmi di uno dei bellissimi poster del concerto (riservati ai primi 30 arrivati), che da quest’anno sono realizzati da fraiznic (aka Cinzia Franceschini).
Bevo una birretta e mi posiziono in uno dei posti davanti, ma questa volta non sui cuscini per terra, ché ormai c’ho un’età anch’io. Ho portato – come sempre - il mio equipaggiamento fotografico: peccato che mi accorgo solo in quel momento che ho lasciato a casa la batteria carica! Per fortuna quella che ho dietro sopravvive per un paio di ore e mi consente di fare un po’ di fotografie.
Sul piccolo palco del Blackmarket (“Small feet in a small room” come dice il cantante) sono in due: il cantante e leader della band, Simon Stålhamre, che suona anche la chitarra, e un batterista e polistrumentista, che non sono riuscita a capire se è uno dei membri ufficiali della band, oppure un musicista esterno che ha accompagnato Simon in questo tour. Sono svedesi della Scania (che nostalgia!) e si vede, anche se Simon parla inglese benissimo.
L’atmosfera è gradevole e rilassata. Gli Small Feet sembrano molto a loro agio e Simon è un intrattenitore nato: parla molto con il pubblico, fa battute su Berlusconi e ci fa ridere tra una canzone e l’altra.
I due musicisti ci propongono l’intero album, From Far Enough Away Everything Sounds Like The Ocean, che su un impianto principale fatto di chitarra e batteria si arricchisce di una tastiera elettronica e dell’armonica da bocca. Non saprei dire che cosa mi ricorda la musica degli Small Feet, perché – all’interno del solco ben riconoscibile della musica indie-pop e country – riecheggiano sonorità più classiche, per certi versi di ascendenza quasi cinematografica (si sentano gli echi del western in All and everyone), per altri maggiormente legate alla tradizione svedese degli anni Sessanta e Settanta (qualche eco in Gold). Altrove invece la loro musica sembra richiamare le atmosfere rarefatte del Nord Europa. Alla fine però il risultato è secondo me del tutto originale e di grande gradevolezza e intensità.
Ed effettivamente il pubblico dei giovani quarantenni romani (ma stavolta ci sono anche diversi cinquantenni e oltre, anche stranieri) sembra apprezzare moltissimo, interagisce e chiede a gran voce che lo spettacolo vada avanti fino a quando Simon confessa candidamente che “they’re running out of songs”. Cosicché il concerto si conclude con una cover di una canzone di Bonnie Prince Billy, al cui nome il pubblico applaude; il che evidentemente vuol dire che stiamo dentro un sistema musicale omogeneo.
Alla fine del concerto mi faccio firmare il poster e compro il loro CD, che non avevo comprato prima perché personalmente trovo che – quando possibile - il gesto di comprarlo direttamente dalle mani di chi quel CD se l’è sudato sia molto più bello e significativo. Mentre vado via arriva un ragazzo che in un inglese un po’ stentato dice a Simon che sono bravissimi e che sono certamente meglio dei Sigur Ros (sic!); vuole farsi autografare il CD, così regalo la mia penna a Simon visto che nessuno dei due sembra averne.
Anche stasera ringrazio i ragazzi di Unplugged in Monti che mi hanno regalato (non esattamente, ma quasi) una serata di musica bella e di atmosfera piacevole e mi hanno fatto conoscere una nuova band di cui secondo me sentiremo ancora parlare (al piede di questo post potete ascoltare un loro intero concerto in una stazione radio di Seattle).
Voto: 3,5/5
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