Il documentario di Laura Poitras, vincitore del Leone d'oro a Venezia, racconta la vita della fotografa Nan Goldin, toccando i numerosi momenti significativi della sua esistenza dagli anni dell’infanzia nella sua famiglia disfunzionale fino agli anni più recenti caratterizzati dall’attivismo contro la famiglia Sackler, prima responsabile della crisi degli oppioidi negli Stati Uniti.
Ne viene fuori un ritratto complesso e multiforme, come multiformi – oltre che molto forti - sono state le esperienze di vita di Nan Goldin. Il primo evento a segnarla in maniera indelebile fu il suicidio dell’amata sorella maggiore Barbara nel 1965, che si colloca in un contesto familiare difficile dal quale ben presto la stessa Nan si allontana. Determinante è poi l’incontro con David Armstrong, amico di una vita, e poi il trasferimento a New York dove si immerge completamente nella vita artistica dell’East Village, documentandola con il suo lavoro The ballad of sexual dependency, che è certamente il suo più famoso.
Sono anni di eccessi e di esplorazione dei margini, che però sono anche ricchi di ispirazione e caratterizzati dalla costruzione di importanti relazioni, tra cui alcune distruttive, come quella con Brian che arriva a malmenarla fino quasi a ucciderla. Sono gli anni in cui anche la dipendenza dalle droghe si fa più grave, in un contesto nel quale via via molti dei suoi amici muoiono per overdose o AIDS, ma anche gli anni della sua consacrazione artistica.
Negli ultimi anni la Goldin, vittima di una dipendenza da oppiodi a causa dell’OxyContin, un antidolorifico distribuito in America dalla Purdue Pharma della famiglia Sackler che ha determinato una vera e propria epidemia di tossicodipendenza e un numero altissimo di morti per overdose, è stata tra le fondatrici del gruppo P.A.I.N. (Prescription Addiction Intervention Now), svolgendo azioni dimostrative contro la famiglia Sackler per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla loro responsabilità.
Il film della Poitras riesce a tenere insieme e far emergere la forte correlazione tra le esperienze di vita della Goldin e la sua produzione artistica, alternando il racconto delle prime a spezzoni dei suoi famosi slideshow. Il fil rouge che sembra trasparire da questa vita così articolata è una sorta di desiderio e di tensione costante della Goldin a portare alla luce il sommerso e l’invisibile: questo vale per la storia della sua famiglia e della sorella Barbara (di cui Nan ha cercato le tracce nella documentazione degli istituti psichiatrici dove è stata rinchiusa: il titolo del film “All the beauty and the blodshed” è tratto dalla relazione di un medico che commenta l’esito del test di Rorschach su Barbara), per le molteplici storie delle persone incontrate negli anni newyorkesi, e ancora in questi ultimi anni per l’attivismo politico contro i Sachler. Senza ipocrisie né perbenismi Goldin guarda in faccia la realtà e la porta all’attenzione degli altri per farla “sentire” emotivamente, anche prima e al di là di una comprensione razionale.
Il video finale nel quale Nan riprende la madre e il padre anziani che ballano in casa è commovente perché in un certo senso ricompone un quadro familiare disgregato attraverso una comprensione a posteriori dell’inadeguatezza di questi genitori, vittime loro stessi delle imposizioni sociali. La lettura del biglietto trovato in tasca a Barbara dopo il suicidio – una citazione da Cuore di tenebra di Joseph Conrad – è il colpo di grazia finale in un film ad altissima intensità emotiva: «Droll thing life is—that mysterious arrangement of merciless logic for a futile purpose. The most you can hope from it is some knowledge of yourself - that comes too late - a crop of unextinguishable regrets.»
Voto: 4/5
martedì 28 febbraio 2023
All the beauty and the bloodshed = Tutta la bellezza e il dolore
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Mah... qui siamo in disaccordo abbastanza netto. Per me è un film molto più importante che bello: il tema è nobile, così come la figura della protagonista, ma il film qualitativamente è poverissimo: per metà è fatto di diapositive che scorrono! (e il resto di interviste e immagini di repertorio). Avrebbe potuto dirigerlo chiunque...
RispondiEliminap.s. io comunque mi chiamo Sauro e vivo a Poggibonsi (Siena). In effetti mi rendo conto solo ora che non mi ero mai presentato col mio vero nome... ti chiedo scusa! <3
Innanzitutto ciao Sauro! Finalmente ti posso salutare con il tuo vero nome <3
EliminaIn merito al film, è vero quello che dici: è più importante il contenuto che la forma, ma a me la forma è piaciuta. Le diapositive che scorrono sono la forma dell'arte di Nan Goldin che la regista è in grado di mettere in comunicazione con la vita della Goldin, tenendo insieme pezzi molto lontani e diversi tra loro. Per me non è così banale come sembra. Comunque sarà perché a me il film ha emozionato e quindi sono stata più clemente sulle qualità cinematografiche.
Insomma, ultimamente siamo più in disaccordo che in accordo! ;-)