lunedì 31 luglio 2023

Asteroid city

Che dire? Niente da fare, non riesco più ad appassionarmi ai film di Wes Anderson. Mi sono bellamente annoiata. Eppure avevo una discreta aspettativa dopo la delusione di The French Dispatch, e la presenza di ben due sale del cinema 4 Fontane strapiene di giovani mi faceva ben sperare.

Invece niente. Anche a questo giro ho trovato il film di Anderson cervellotico e noioso, fatta salva qualche sporadica risata. Va detto che avevo intorno persone che ridevano a più riprese, quindi magari sono io, però tant'è.

Asteroid city è costruito nella forma del meta-film, anche se per essere più precisi si tratta di un film che racconta della messa in scena di un'opera teatrale. La cornice narrativa (in bianco e nero e in formato 4:3 o qualcosa del genere) racconta di uno scrittore, Conrad Earp (interpretato da Edward Norton), che nei primi anni '50 scrive un'opera teatrale su un paese immaginario, Asteroid city appunto, dove l'attrattiva principale è una enorme voragine, segno dell'asteroide caduto molto tempo addietro, e dove si sta per svolgere una convention di giovani interessati ai fenomeni astronomici (la rappresentazione teatrale è a colori, in particolare gialli e azzurri pastellati e sovraesposti, ispirata a un'estetica retro-futuristica, e in formato 16:9).

In questa cittadina arriva il fotografo di guerra Augie Steenbeck (Jason Schwartzman), vedovo da poco, con i suoi 4 figli, l'adolescente Woodrow e le tre pestifere bambine. L'evento da cui si innesca la trama dell'opera teatrale è l'arrivo di una navicella spaziale e l'incontro ravvicinato con un UFO a seguito del quale i numerosi personaggi convenuti nella cittadina reagiscono ognuno a suo modo, con risultati che vanno dal nonsense al ridicolo fino al grottesco. Mentre la rappresentazione teatrale va avanti, di tanto in tanto ci si sposta nel dietro le quinte di essa, dove avvengono altre vicende parallele e intersecantesi con quella rappresentata, fino alla morte dell'autore teatrale e allo scioglimento finale.

Mi sembra che Wes Anderson si stia sempre più avvitando su sé stesso, declinando il suo stile (sempre esteticamente e visivamente bellissimo e impeccabile) in mille varianti e proponendo una girandola di personaggi (interpretati sempre da attori famosissimi che ormai fanno poco più che camei), ma senza riuscire più a toccare il cuore emotivo dello spettatore.

Per me un peccato davvero, perché personalmente ritengo Anderson un regista di grandissimo talento.

Voto: 2,5/5


venerdì 28 luglio 2023

R.M.N. = Animali selvatici

In concorso a Cannes, Animali selvatici di Cristian Mungiu (che in originale si intitola R.M.N.) è ambientato a Recia, un paese della Transilvania, dove dopo due anni di assenza torna Matthias (Marin Grigore), che ha lasciato il suo lavoro in un macello della Germania dopo che uno dei capi reparto gli ha dato dello zingaro.

In paese Matthias trova molte situazioni delicate e complesse: suo figlio Rudi, dopo aver visto qualcosa nei boschi, non parla più, con sua moglie vivono da separati in casa, suo padre Otto sembra avere dei problemi neurologici e per questo si sottopone a una risonanza magnetica, la sua amante Csilla (Judith State) ha fatto la scalata sociale ed è la responsabile di un panificio che, grazie all'accesso ai fondi europei, è diventato un'impresa di successo.

Nel tranquillo paese di Recia, circondato però da una inquietante foresta abitata da orsi, che un ragazzo francese è venuto a censire per conto di una ONG, l'apparente pacifica convivenza di etnie e religioni diverse deflagra quando arrivano a lavorare nel panificio tre ragazzi dello Sri Lanka, che a quel punto sono i più stranieri di tutti e verso i quali converge tutta la frustrazione e l'intolleranza nemmeno troppo striscianti.

Il film di Mungiu inizia misterioso, prosegue via via più didascalico, al limite del semplicistico, e poi - quando raggiunge il suo momento clou (l'assemblea della comunità cittadina, che è anche la scena più bella e più complessa) - prende una strada meno realistica e a tratti non del tutto comprensibile. 

Se fino alla scena dell'assemblea l'impianto appare piuttosto manicheo (i razzisti sono gli "ignoranti" e gli opportunisti, i tolleranti sono i componenti della comunità che si sono evoluti, i buoni sono gli immigrati), con l'assemblea emergono tutte le contraddizioni della nostra società, che non sono proprie solo della Romania (paese-ponte tra Occidente e Oriente), ma anche dell'Unione Europea e di un mondo globalizzato nel quale un sistema capitalistico spietato produce fortissime disuguaglianze e innesca una guerra tra poveri da cui non si esce indenni.

Di fronte a questa complessità senza risposta, in cui è a quel punto difficile dire chi ha torto e chi ha ragione, Mungiu spariglia le carte e confonde le acque, portandoci verso una parte finale del film che secondo me non aggiunge nulla, anzi tutto sommato toglie forza a quanto precede.

Resta comunque un film che non ha paura di affrontare temi delicati della contemporaneità e di portare all'attenzione collettiva nodi e contraddizioni cruciali per il futuro dell'umanità.

Voto: 3/5


mercoledì 26 luglio 2023

Monster = Kaibutsu

Approfitto della rassegna "Cannes Mon Amour", organizzata da Circuito Cinema, per andare a vedere in anteprima il nuovo film di Hirokazu Kore-Eda, che ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura (di Yûji Sakamoto) a Cannes.

Della sua filmografia ho visto tanto, ma non tutto, e l'ultimo film (Le buone stelle, che comunque mi dicono non essere il suo migliore) l'ho lisciato completamente.

Con questo nuovo film trovo un Kore-Eda secondo me in gran forma, sebbene non si tratti certamente di un film senza difetti. L'impianto scelto dal regista giapponese è quasi quello di un giallo.

Il protagonista è Minato (Soya Kurokawa), un ragazzino preadolescente che vive con la madre (il padre è morto, e scopriremo più avanti altri dettagli) e frequenta la scuola della sua città. Un giorno nella vita di questo ragazzino cominciano a succedere delle cose che mettono in allarme il mondo circostante.

La medesima storia viene raccontata prima dal punto di vista della madre, Saori (Sakura Andô), che a partire dagli indizi che ha e dalle poche parole che ascolta da suo figlio si costruisce una propria narrazione di quello che sta accadendo e si convince che Minato sia maltrattato dal maestro Hori (Eita), i cui comportamenti di fronte alla madre, nonché quelli della preside e del corpo docente, sono sufficientemente ambigui da sembrare confermare la versione di Saori.

Il secondo punto di vista è quello dello stesso Hori, di cui solo a questo punto conosciamo meglio vita e personalità. In questa seconda ricostruzione degli eventi alcune situazioni si chiariscono, altre si ribaltano, altre continuano a risultare ambigue.

È solo quando Kore-Eda ci introduce al punto di vista dello stesso Minato che via via tutti i pezzi del puzzle tornano al loro posto, e anche noi spettatori comprendiamo quale verità si cela dietro una serie di reticenze.

A fare da collante tra questi punti di vista la figura della preside della scuola, che pure ha alle spalle una storia la cui interpretazione non è necessariamente univoca.

Questo alternarsi di punti di vista è realizzato con una perizia e una raffinatezza registica che si manifesta nella scelta di inquadrature originali nonché nella fluidità con cui si passa da un punto di vista all'altro, andando avanti e indietro nel tempo, ma senza risultare didascalici e lasciando allo spettatore il compito di mettere insieme i pezzi e di partecipare attivamente alla ricostruzione narrativa.

Al termine del film, la domanda che resta sospesa è: chi è il mostro a cui fa riferimento il titolo del film? Probabilmente tutti, e nessuno. Ognuno dei protagonisti di questa storia risulta a suo modo e a tratti mostruoso, ma il regista - sempre fedele a una poetica che da anni si declina in modi diversi ma simili - punta in realtà il dito non tanto nei confronti dei singoli, quanto nei confronti della società giapponese e delle sue istituzioni, a partire dalla famiglia fino ad arrivare alla scuola. Per l'ennesima volta Kore-Eda sembra dirci che dalla famiglia giapponese (qualunque forma essa assuma) non si esce indenni, ma che non c'è speranza neanche al di fuori della famiglia, in una società dove l'ossessione per l'apparenza e il decoro schiacciano le istanze delle persone, costrette a fare i conti perennemente con il giudizio altrui, condizione da cui non si salvano nemmeno i ragazzini, tratteggiati - come sempre nei suoi film - con un'attenzione, un realismo non buonista e un'introspezione notevoli.

Il film di Kore-Eda inizia cupo e misterioso come un giallo, e finisce (sulle note della colonna sonora del compianto Ryuichi Sakamoto) luminoso e poetico, ma pur sempre misterioso, in un finale variamente interpretabile, che esteticamente mi ha ricordato la scena della corsa nei campi dei protagonisti di Close di Lukas Dhont, film con il quale Monster ha alcuni piccoli ma importanti punti di contatto, sebbene il contesto sia completamente diverso.

Voto: 4/5


lunedì 24 luglio 2023

Toubab

Babtou (Farba Dieng) è un giovane di origine senegalese, ma nato e cresciuto in Germania che esce di prigione dopo due anni. Ad attenderlo c'è l'amico di una vita, biondissimo e tedeschissimo, Dennis (Julius Nitschkoff). Nell'euforia della libertà i due finiscono in una rissa e Babtou viene di nuovo fermato dalla polizia. Questa volta però le istituzioni decidono non per la prigione, ma per il rimpatrio in Senegal, visto che Babtou pur essendo nato in Germania non è cittadino tedesco. Da qui inizia una storia rocambolesca e divertentissima per evitare il rimpatrio di Babtou, nella quale è centrale l'amicizia di Dennis e quanto quest'ultimo è disposto a fare per l'amico.

Si ride e ci si diverte grazie al ritmo sostenuto della narrazione, alle situazioni esilaranti, ai personaggi più o meno eccentrici, ai dialoghi quasi surreali, ma in tutto questo si riflette su quanto siano paradossali le leggi dello stato tedesco (che non è certamente l'unico in Europa e nel mondo occidentale) nei confronti delle persone nate nel paese da genitori provenienti da altri paesi del mondo e, più in generale, sul tema della diversità e dell'inclusione, questioni calde e centrali per le nostre società.

Ah dimenticavo, il titolo del film Toubab fa riferimento al termine con cui in Senegal ci si riferisce all'uomo bianco: si capire al termine del film perché la scelta di questo titolo.

La possibilità di recuperare questo film del 2020 di Florian Dietrich me la dà il Goethe Institut di Roma che ha organizzato nel suo giardino una rassegna cinematografica dal titolo Germania a colori - Diversità e inclusione nel cinema tedesco, in questo caso preceduta anche dalla possibilità di un aperitivo all'aperto.

Il film mi permette anche di fare la conoscenza di un piccolo - e per me ignoto - festival di cinema che in realtà esiste dal 2012 e si svolge nel cuore del quartiere di Torpignattara, ossia il Karawan Fest. Prima della proiezione, due degli organizzatori ci raccontano che il film Toubab ha vinto l'ultima edizione del festival, dopo essere stato segnalato proprio dal Goethe Institut che da tempo collabora con loro nella selezione.

Per un festival che si definisce "itinerante sui temi dell’immigrazione, incontro di culture e integrazione con punto di vista e tono programmaticamente non drammatici" effettivamente Toubab è praticamente perfetto, una commedia che riesce a parlare di temi importanti con leggerezza ma non in maniera semplicistica.

A questo punto non resta che attendere la prossima edizione, che si svolgerà tra la fine di agosto e l'inizio di settembre, e scoprire gli altri titoli selezionati quest'anno.

Voto: 3,5/5



venerdì 21 luglio 2023

In Franconia in bicicletta

Lungo la pista ciclabile del Meno
E anche per quest'anno il nostro viaggio in bicicletta si è compiuto, nonostante le difficoltà di una scelta che si fa sempre più complicata. La mia amica S. non vuole cedere alla bicicletta elettrica, ma - visto che l'età avanza e i viaggi relativamente alla nostra portata li abbiamo già fatti quasi tutti - l'esplorazione alla ricerca del viaggio adatto è lunga e faticosa.

In questo caso, a sciogliere i nostri dubbi è stata la felice circostanza della presenza a Würzburg della nostra amica tedesca L. che da tempo ci chiedeva di andarla a trovare. Così, avendo appurato che esiste un viaggio in bicicletta "per famiglie" (sono quelli più facili) da Bamberg a Würzburg ci siamo fiondati su questa possibilità, e alla fine tutto sommato ne è venuta fuori una vacanza gradevole.

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Stazione di Monaco
Le tappe


Il viaggio si svolge prevalentemente lungo il fiume Meno o lungo i suoi canali di contenimento, dunque è praticamente tutto in piano. Se a questo si aggiunge il chilometraggio delle tappe si capirà facilmente che si tratta di un viaggio praticamente alla portata di tutti.

Ecco le tappe:

Bamberg - Hassfurt 37,5 km

Hassfurt - Schweinfurt 23 km

Schweinfurt - Volkach 29 km

Volkach - Kitzingen 29 km

Kitzingen - Würzburg 38 km

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Bamberg
Come arrivarci


Noi abbiamo scelto per quest'anno di evitare l'aereo, e abbiamo preso un comodo treno OBB (la compagnia austriaca) da Bologna per Monaco e poi da Monaco un treno veloce per Bamberg. Al ritorno, abbiamo preso un treno veloce da Würzburg per Monaco e ci siamo fermate una notte in città prima di ripartire il giorno dopo di nuovo in treno alla volta di Bologna.

Se i viaggi in treno vi piacciono e non vi pesano troppo, considerando che gli aeroporti più vicini sono Monaco o Francoforte, questa soluzione può fare per voi.

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Bamberg: dentro la cattedrale
Le cose meritevoli e/o memorabili


Bamberg, la cittadina da cui parte il nostro giro, è molto carina, soprattutto la zona più antica, che si sviluppa al di là del canale del Regnitz. Qui è possibile visitare la Rathaus, la cattedrale, il roseto con un bel panorama sulla città, Michaelsberg (che però quando siamo andate noi non era visitabile), camminare per le stradine e lungo i canali (c'è una zona chiamata la piccola Venezia).

Da Bamberg fino a Schweinfurt non ci sono cose imperdibili, anche se la pista ciclabile è gradevole e spesso punteggiata da calvari ed edicole votive, oltre che da chiesette come la Pilgrimage Church Maria Limbach.

Schweinfurt è invece una cittadina di medie dimensioni (oltre 50.000 abitanti) piuttosto interessante (nonostante l'opinione non proprio positiva dei tedeschi).

Innanzitutto ci sono ben due musei: la kunsthalle, museo di arte contemporanea realizzato in una vecchia piscina, e il museo George Schäfer, edificio contemporaneo che ha preso il nome dal suo architetto, dove è possibile ammirare un'ampia collezione permanente, oltre che la bellissima struttura architettonica dell'edificio che apre scorci sempre sorprendenti. Quando siamo noi lì c'è anche la mostra su Caspar David Friedrich, decisamente apprezzabile. In generale poi il centro di Schweinfurt è vitale e gradevole, a cominciare dalla piazza della Rathaus con il grande orologio fino ad arrivare al quartiere Zurch.

Museo George Schäfer
Nella terza tappa che ci porta a Volkach pedaliamo per tutto il tempo accanto a distese di vigneti, mentre abbiamo il fiume Meno prima sulla sinistra, e poi - dopo averlo attraversato a Wipfeld con una delle chiatte che fanno questo servizio - alla nostra destra. Nella cittadina di Volkach tutto ruota intorno ai produttori del vino e alle degustazioni. La zona vinicola della Franconia prosegue anche nella tappa successiva fino a Kitzingen. Attraversiamo una serie di paesini in cui il numero dei produttori di vino è esorbitante rispetto alle dimensioni del paese stesso. Tra questi Sommerach (dove c'è anche una chiesa barocca), Dettelbach (con le sue mura e le sue torri), e ancora Mainstockeim.

Verso Würzburg
Per l'ultima tappa ci raggiunge la nostra amica L. che ci accompagna nel percorso fino a casa sua a Würzburg. In questa tappa ci fermiamo nel bel paesino di Ochsenfurt e in quello di Sommerhausen, cittadina circondata da mura con torrette tutto intorno (Sommerhausen fa il paio con Winterhausen, paesini dirimpettai, l'uno a sud e l'altro a nord come fanno capire i nomi).

Würzburg è sicuramente la città più grande e vitale del percorso contemplato da questa vacanza. Il pomeriggio in cui arriviamo facciamo un giro in centro e la sera una passeggiata sul ponte antico e per le strade della città. Il giorno dopo facciamo insieme a L. la visita guidata in inglese alla Residenza e ammiriamo gli affreschi di Tiepolo e gli stucchi di Bossi. Ci sono anche lì e in tutta la città opere di Balthasar Neumann, un architetto che ha lasciato il segno in questa zona (e non solo!) della Germania. Completiamo il giro della residenza con la visita alla cappella barocca e la passeggiata nel grande giardino. L. ci porta poi al ex chiostro del Lusemgartlein dove c'è la lapide di un poeta tedesco medievale per me sconosciuto Walther Von der Vogelveide, e nella chiesa accanto ci fermiamo ad ascoltare le prove di un coro di giovani.

La Residenza di Würzburg
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Dormire e mangiare

Devo ammettere che non sono un'appassionata della Germania dal punto di vista dell'ospitalità e del cibo, però sono anche una persona che dovunque vada si sforza di cogliere il meglio che il posto le possa offrire. Fatta questa premessa, non sono mancati in questo viaggio tedesco i luoghi belli dove abbiamo dormito (tenendo conto che, essendo un viaggio organizzato, non abbiamo scelto gli alberghi) e quelli buoni dove mangiare (che invece abbiamo scelto noi o la nostra amica L.).

Tra gli alloggi ci è piaciuto parecchio per location e servizi il Palais Schrottenberg a Bamberg. Siamo state molto bene anche al B&B hotel di Schweinfurt, sebbene si tratti di una catena e dunque nel complesso risulti un po' anonimo.

Volkach
Bello anche il Bayerischer Hof, nel pieno centro di Kitzingen, dove tra l'altro facciamo un'ottima cena: zuppa di asparagi, asparagi con salsa olandese e medaglioni di maiale, bratwurst con patate e Silvaner. Tutto ottimo.

Tra i posti dove abbiamo mangiato la nostra personale classifica vede al primo posto il Gasthof Bären a Randersacker, il posto dove ci porta L. Un bel giardino interno e una cucina molto più curata della media, con una qualità dei prodotti decisamente elevata. Tutto molto buono!

A seguire metterei il ristorante dell'hotel Ross a Schweinfurt, che ci è stato consigliato dalla proprietaria della Die kleine kaffeerösterei, un altro posto molto carino dove andare in città.

Schweinfurt 
Un gradino più sotto e più o meno a pari merito metterei la birreria Schlenkerla di Bamberg, il Biergarten Zur Benediktiner di Hassfurt e il ristorante del Weingasthof Rose di Volkach, tutti e tre posti di cucina tradizionale tedesca più o meno semplice e/o pesante. Abbiamo mangiato bene, ma direi che non è cucina che si possa mangiare tutti i giorni.

Segnalo poi che a Monaco, nell'unica sera in cui ci siamo state, abbiamo mangiato in un posto turco non lontano dalla stazione, Sultanahmet Koftecisi, dove abbiamo mangiato bene.

In generale, mi è sembrato che in Germania mangiare fuori sia diventato parecchio più caro che in passato. Certo, i piatti sono di fatto piatti unici, però anche boh.

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Lungo la pista ciclabile
Qualche curiosità e commento finale


Le cose che ho notato o che mi hanno colpito durante il viaggio:

- un uso esagerato delle camicie a quadri da parte degli uomini tedeschi, soprattutto quelli oltre i cinquant'anni

- la presenza di un numero di ebike esagerato anche in un territorio completamente piatto: in passato durante i nostri viaggi in bicicletta si vedevano tantissimi pensionati e vecchietti con bici normali sui nostri stessi percorsi, e di solito ci davano una pista

Winterhausen vista da Sommerhausen
- i tedeschi tendono a rimproverare gli altri per qualunque cosa che secondo loro non rispetta le regole (che spesso sono regole parzialmente discutibili), e devo dire che alla seconda/terza circostanza mi sono cominciate a girare le scatole

- la Germania è molto meno efficiente di quanto non pensiamo; persino la nostra amica tedesca lo conferma. E però continua a vivere di rendita e fuori dal paese mantiene l'immagine di un paese perfetto, cosa che evidentemente non è.

Ciò detto, non voglio dire che il viaggio non mi sia piaciuto, anzi. Mi sono divertita, non mi sono stancata troppo, ho goduto della compagnia delle amiche, ho anche mangiato bene qua e là (ottime le colazioni!), e ho visto anche bei paesaggi e fatto belle foto. Che volere di più da una vacanza?

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Per una selezione più ampia di foto si veda qui sul mio profilo Behance.

mercoledì 19 luglio 2023

Pornografia / Witold Gombrowicz

Pornografia
/ Witold Gombrowicz; postfazione di Francesco M. Cataluccio; trad. di Vera Verdiani. Milano: il Saggiatore, 2018.

Da molto tempo avevo idea di leggere qualcosa di Witold Gombrowicz, autore polacco morto nel 1969 intorno al quale è nato un vero e proprio culto.

La mia conoscenza di Gombrowicz è cominciata con Pornografia, romanzo narrato in prima persona dal protagonista omonimo dello scrittore, Witold.

Siamo negli anni della guerra, che però nel libro - pur essendo presente - rimane sullo sfondo, se non fosse per il personaggio di Siemian, uno dei capi della Resistenza polacca. Witold racconta del viaggio compiuto insieme all'amico Federico presso la casa di Ippolito e sua moglie, che vivono in campagna.

Durante queste giornate di noia e passeggiate, Witold e Federico sviluppano l'insana ossessione di far innamorare Enrichetta - la figlia dei loro ospiti, già fidanzata con un avvocato - e Carlo, garzone della famiglia e suo amico d'infanzia.

In realtà tra i due non sembra esserci attrazione, ma Witold e Federico impongono il loro sguardo sulle cose e mettono in atto una complessa strategia di manipolazione della realtà che si spinge via via sempre più in là.

Se in sottofondo opera sempre la visione sarcastica di Gombrowicz sulla società polacca con le sue idiosincrasie e la noia funziona da fattore scatenante della folle trama dei due protagonisti, al centro del racconto c'è sicuramente una specie di ossessione per la giovinezza e un desiderio di chi giovane non è più di poter rivivere emozioni e modi di sentire propri di quell'età della vita. In questo desiderio di riappropriarsi della giovinezza per interposta persona passa una tensione erotica che non riguarda solo i giovani cui le trame di Witold e Federico sono rivolte, ma anche gli stessi protagonisti e gli altri comprimari.

La pornografia che compare nel titolo di questo romanzo è soprattutto nelle intenzioni e nello sguardo dei due protagonisti, e appare quasi come una forma di voyeurismo creativo che trasforma Witold e Federico in registi della vita altrui, quasi a dare un nuovo senso anche alla propria.

Quella di Gombrowicz non è una lettura semplice o immediatamente accattivante, né di svago o riconciliante. È invece una lettura perturbante e complessa, che per essere compresa a pieno richiede una interpretazione e qualcuno (vedi la postfazione di Cataluccio) che unisca i punti e crei le connessioni per illuminare un racconto di per sé minimale, quasi tutto sviluppato nella mente dei protagonisti e suggerito alla mente dei lettori, e dargli un senso più ampio e articolato.

Alla fine della lettura da un lato ero tentata di immergermi immediatamente in un altro romanzo dell'autore polacco - mi tentano sia Cosmo che Ferdyduke - dall'altro mi chiedevo se avrei avuto ancora il coraggio di immergermi nelle sue opere.

Vedremo come andrà a finire.

Voto: 3,5/5

lunedì 17 luglio 2023

Quel che resta del sogno / Yumi Sudō

Quel che resta del sogno / Yumi Sudō; trad. di Federica Lippi. Granarolo dell'Emilia: Dynit Manga, 2021.

Il manga di Yumi Sudō racconta la storia di due donne, Kiyoko e Mitsu, una storia che inizia nel Giappone post-bellico per arrivare ai giorni nostri. In realtà la narrazione procede a ritroso. Kiyoko ha infatti ormai 85 anni, una figlia, una nipote e una pronipote, e la sua memoria comincia a dare segni di cedimento, così come le sue facoltà cognitive. Un giorno riceve inaspettatamente la visita di Mitsu che non vede da molto tempo. Da questo incontro inizia un lungo flashback, che non necessariamente procede in ordine cronologico e che ci permette di ricostruire la storia – in parte dolorosa – di queste due donne, incontratesi e innamoratesi ai tempi della scuola, in un momento storico nel quale il loro amore non era accettato dalla società e non poteva essere vissuto fino in fondo.

Le due donne – invero molto diverse nel carattere ma anche cresciute attraverso la loro relazione – faranno scelte molto differenti, che – a parte brevi momenti di avvicinamento e limitate possibilità di poter vivere il loro amore – le condurranno lontane l’una dall’altra: Kiyoko verso il matrimonio e una vita familiare molto tradizionale, Mitsu verso una carriera lavorativa con sempre maggiori successi, ma una vita affettiva molto solitaria.

La storia di Kiyoko e Mitsu diventa anche l’occasione per riflettere su una società giapponese (ma ovviamente la cosa non riguarda solo il Giappone) che, con la sua rigidità e i suoi pregiudizi, ha condannato molte persone all’infelicità.

Yumi Sudō racconta questa storia con delicatezza e misura, facendo emergere le specificità individuali delle due protagoniste e senza calcare la mano sugli aspetti più dolorosi, ottenendo il non disprezzabile risultato di rendercela vicina ed empaticamente valida indipendentemente dalla condizione e dalle scelte individuali.

Voto: 3/5

venerdì 14 luglio 2023

Il dubbio / Matsumoto Seichō

Il dubbio / Matsumoto Seichō; trad. di Gala Maria Follaco. Milano: Adelphi, 2022.

Come sa chi legge questo blog, da qualche anno mi sono appassionata alla lettura dei romanzi di Matsumoto Seichō. Credo di aver già letto quasi tutti quelli che sono stati tradotti in italiano, ma dando un’occhiata alla sua sterminata bibliografia posso stare tranquilla sul fatto che non mi mancheranno sue opere da leggere per il futuro.

Il dubbio, il romanzo pubblicato da Adelphi nel 2022, ha le caratteristiche tipiche dei suoi gialli, che forse sarebbe più corretto definire “polizieschi”, un caso di omicidio che è oggetto di indagini supplementari dalle quali emergeranno verità non immediatamente intellegibili e che spesso rovesciano il punto di vista iniziale.

In questo caso al centro del caso c’è la morte di un facoltoso vedovo, Shirakawa Fukutaro, sposato con una donna molto più giovane di lui, Onizuka Kumako, con un passato da entraineuse nei bar di Tokyo. I due tornavano in macchina da un breve viaggio e sulla strada del ritorno, sotto una pioggia battente, sono finiti in mare. Nella caduta Fukutaro è morto, mentre sua moglie si è salvata.

La stampa e la comunità locale sono entrambe schierate a favore dell’ipotesi dell’omicidio: la forestiera Kumako avrebbe architettato tutto per accaparrarsi l’assicurazione sulla vita del marito da poco sottoscritta, ma la donna dal carcere continua a professarsi innocente. Nuovi elementi emergeranno man mano che l’indagine prosegue, soprattutto dopo che il caso è rilevato da un difensore d’ufficio giovane e primariamente civilista, che si dimostra particolarmente acuto nelle sue intuizioni.

Come sempre accade nei romanzi di Matsumoto Seichō, l’intento dello scrittore non è solo quello di costruire un intreccio narrativo ben congegnato, ma anche quello di utilizzare la vicenda narrata per rivelare alcuni aspetti critici della società giapponese e suscitare nel lettore delle riflessioni. In questo caso, si pone l’accento sui pregiudizi della provincia giapponese e sulla sua mancanza di apertura mentale nei confronti di quanto proviene dall’esterno, che poi sono caratteristiche che appartengono agli ambienti piccoli e chiusi in tutto il mondo, ma che forse in Giappone assumono sfumature particolari e specifiche.

Come al solito per i suoi libri, il romanzo di Matsumoto Seichō si legge tutto d’un fiato e sempre con grande interesse. Non sarà certamente l’ultimo che leggerò.

Voto: 3,5/5

mercoledì 12 luglio 2023

Passages

Per l'anteprima del nuovo film di Ira Sachs al cinema Giulio Cesare alla presenza del regista c'è davvero tantissima gente. Io sono stata incuriosita dalla locandina, che per caso mi è passata sotto gli occhi sui social, e dalla presenza nel cast di Franz Rogowski e di Adèle Exarchopoulos.

Non avevo invece visto film precedenti del regista americano, che invece ho scoperto avere un seguito piuttosto importante.

Passages parla fondamentalmente di un triangolo amoroso. Nel Q&A col regista al termine del film, Sachs richiama le sue ispirazioni, in particolare Pasolini, Truffaut, Visconti (e cita persino lo sconosciuto per me Frank Ripploh di Taxi zum Klo), ricordando tra l'altro che per certi versi il cinema sembra diventato oggi molto più ingessato e puritano rispetto al passato.

Al centro della narrazione di Sachs e del suo co-sceneggiatore Mauricio Zacharias c'è Tomas (Franz Rogowski), un regista di origine tedesca che vive a Parigi insieme a suo marito Martin (Ben Whishaw). Al termine delle riprese del suo ultimo film, durante la festa che ne segue, Tomas incontra Agathe (Adèle Exarchopoulos), una giovane donna del cast, con cui nasce un'immediata attrazione, fors'anche in conseguenza di un momento di stanchezza del rapporto di lunga data con Martin.

Tomas e Agathe iniziano una relazione, di cui abbastanza presto Tomas mette a conoscenza Martin, provocando una iniziale rottura e un successivo riavvicinamento. Mentre Martin oscilla tra il rimanere con Tomas e l'andare verso una nuova relazione con uno scrittore nero (Erwan Kepoa Falé), anche Tomas fatica a trovare un equilibrio tra la forza della sua relazione di lunga durata e la spinta del desiderio verso Agathe.

Il film di Sachs parla di tante cose, da un lato antiche come il mondo, dall'altro fortemente contemporanee. Parla delle difficoltà di una relazione monogama e dell'inevitabile calo del desiderio che la caratterizza - e che talvolta porta con sé accensioni di desiderio verso altre persone. Parla anche di un uomo, Tomas, egocentrico e volitivo (non a caso fa il regista), e che - con lo spirito libero e aperto che lo caratterizza - cerca strade non necessariamente scontate e già battute, ma soluzioni nuove possibili, ma si dimostra in parte egoista e incapace di vera attenzione ai sentimenti altrui, tanto da uscirne sconfitto e solo. Passages parla dunque anche di temi che si sono imposti recentemente all'attenzione collettiva (sebbene dal mio punto di vista siano anche quelli insiti nella natura umana, e semplicemente misconosciuti fin qui dalla società), ossia la possibilità del poliamore e le sue inevitabili e non necessariamente superabili difficoltà, i suoi disequilibri e la fatica di fare i conti con la nostra insicurezza affettiva, la gelosia, la paura della perdita; ma anche i percorsi dell'amore e del desiderio che vanno al di là del genere e dell'orientamento sessuale, perché hanno a che fare con gli incontri imprevedibili tra gli esseri umani.

Sachs tiene più volte a sottolineare che il film non è un manifesto sentimentale per rappresentare una generazione, bensì solo un tentativo di indagare l'animo umano e la sua complessità, soprattutto quando si ha a che fare con i sentimenti, l'amore, la passione. Alla fine Passages risulta dirompente perché la coppia stabile al centro del racconto è una coppia omosessuale e il "tradimento" di Tomas è con una donna, sebbene lo stesso protagonista non rinunci mai alla sua "identità" (vedi la scena dell'incontro con i genitori di Agathe). In un mondo in cui abbiamo bisogno di categorie stabili e in cui anche le minoranze si sentono rassicurate dal muoversi all'interno di un universo dai confini sicuri e insuperabili (ma inevitabilmente limitanti e ghettizzanti) Sachs sembra disinteressato alle categorie e alle identità, per concentrarsi invece sulle persone. E questo è incredibilmente, e ancora, qualcosa di fortemente originale.

Interpreti perfetti: Rogowski tenero e urticante al contempo (e mi risulta sempre più incredibile che riesca a fare l'attore con il fortissimo difetto di pronuncia che ha), Beh Whishaw delicato e misurato, Adèle Exarchopoulos carnale e dolente.

Da vedere.

Voto: 4/5


lunedì 10 luglio 2023

Padovaland / Miguel Vila

Padovaland / Miguel Vila. Bologna: Canicola, 2020.

Di Miguel Vila avevo letto poco più di un anno fa Fiordilatte ed ero stata piacevolmente colpita da questo fumettista padovano, tanto che subito dopo aver terminato la lettura mi ero procurata il suo primo graphic novel, Padovaland.

Padovaland è il nome di un parco acquatico di divertimenti che si trova appunto a Padova e che nelle prime pagine dell'albo è fedelmente riprodotto da Vila attraverso una serie di vedute aeree che via via si allargano e si spostano sul territorio circostante, fatto di campagna fortemente urbanizzata e capannoni industriali.

Protagonisti di questo racconto sono alcuni giovani, tra cui Irene, che lavora in un centro commerciale ed è oggetto delle dicerie e delle malignità delle sue colleghe, Fabio, il fratello di Irene che ha un interesse non ricambiato per Catia e si consola guardando i suoi selfie pubblicati sui social, Andrea che va ancora a scuola ed è trattato come uno zerbino dalla sua fidanzata, Giulia che è appassionata di fotografia, ma non riesce a laurearsi perché il suo relatore non è mai contento del suo lavoro, Catia che riceve attenzioni indesiderate e spesso interessate o superficiali, Nicola che fa il piacione e si finge meridionale per essere più affascinante ed esotico.

Ne viene fuori il quadro di un piccolo mondo fatto di infelicità e meschinità piccole e grandi, in cui i personaggi risultano soffocati e continuamente frustrati da una routine in cui anche lo svago fatto di aperitivi, feste, socialità fisica e virtuale finisce per aumentare il senso di impotenza e spaesamento.

Miguel Vila conferma (per me che ho letto prima Fiordilatte) la sua grandissima capacità di raccontare, con straordinaria libertà di segno e di pensiero e una sorta di ironia triste, il mondo della provincia veneta, mettendo a nudo il nesso profondo esistente tra lo squallore ambientale e quello esistenziale, e trasformandolo in immagini capaci di essere al contempo realistiche (soprattutto in riferimento all'ambiente) e grottesche (in riferimento invece alle persone).

Per quanto mi riguarda uno degli autori italiani di fumetto da osservare con maggiore attenzione per capire in che direzioni si svilupperà il suo racconto.

Voto: 3,5/5

venerdì 7 luglio 2023

Falcon Lake

Di questo film ho sentito parlare per la prima volta in un commento a questo blog che mi aveva incuriosito non poco. Così mi scriveva Lory: "Sono al Torino Film Festival e il film Falcon Lake tratto dal fumetto di Bastien Vivès in concorso, rischia persino di vincere. Bello, delicato e poetico per la regia di Charlotte Le Bon al suo esordio registico". Eravamo a dicembre 2022 e ora finalmente il film è in sala, certo in un periodo non particolarmente propizio della stagione cinematografica e tra l'altro distribuito in pochissime sale, però io non me lo lascio scappare.

Il film di Charlotte Le Bon (attrice nota, e qui per la prima volta alla regia) è piuttosto fedele al graphic novel di Bastien Vivès. Cambiano i nomi dei protagonisti e la location, ma nella sostanza la storia è la stessa. Bastien (lo straordinario Joseph Engel) ha 13 anni e insieme ai suoi genitori e al fratellino più piccolo sta andando in vacanza nella casa di campagna (invero in mezzo ai boschi, vicino a un lago) di un'amica di famiglia. Quest'ultima ha una figlia sedicenne, Chloé (una altrettanto brava Sara Montpetit), con la quale ben presto Bastien inizia una interlocuzione ambigua e stratificata: Bastien si affaccia all'adolescenza, ma ancora non è del tutto estraneo al mondo dell'infanzia, Chloé è nel pieno dell'adolescenza e si incammina a grandi passi verso l'età adulta, ma lo fa con le incertezze, le estremizzazioni, la confusione tipica di quella fase della vita. In particolare, Chloé sembra ossessionata dall'idea della morte, e a più riprese tira fuori la storia - non si sa se vera - di un ragazzo che è annegato nel lago e che ora lo infesta sotto forma di fantasma.

Nella reintepretazione della Le Bon, la storia dei due protagonisti e dell'incontro tra due età della vita entrambe proiettate in avanti e al contempo risucchiate all'indietro, nonché caratterizzate da paure profonde e dall'emergere potente del desiderio, viene riletta all'interno di una confezione dal chiaro sapore gotico, ai limiti dell'horror, in cui i fantasmi - veri o presunti - sono fortemente protagonisti e che un finale enigmatico e non esplicito contribuisce ad amplificare potentemente nello spettatore.

Si tratta dunque di un teen movie a tutti gli effetti: non a caso gli adulti sono in buona parte assenti e il loro chiacchiericcio è volutamente noioso e di sottofondo, rispetto alle vicende più o meno significative che vedono protagonisti Bastien e Chloé.

Alla fine, indipendentemente dall'interpretazione della narrazione che si vuole dare alla luce del finale, la cosa più originale del film consiste nel saper tradurre i fantasmi interiori di Bastien e Chloé - con cui tutti alla loro età devono fare in qualche modo i conti, affacciandosi alla complessità della vita e abbandonando un proprio sé molto più rassicurante - in un'atmosfera esteriore cupamente inquietante che permea i giorni di questa estate e che in qualche modo segnerà una svolta nella loro esistenza. La spensieratezza e la cupezza, il coraggio e la paura, la sfrontatezza e l'infinita timidezza si inseguono e flirtano costantemente, mescolandosi in una condizione esistenziale i cui contorni sono evanescenti come quelli del lago avvolto nella nebbia.

In definitiva, un'esperienza visiva e narrativa molto originale e interessante, all'interno della quale bisogna riconoscere alla regista la capacità di aggiungere densità a una storia già molto ben raccontata da Vivès, e ai due giovani protagonisti una credibilità straordinaria che, in un nanosecondo, ci catapulta indietro alla nostra pre-adolescenza e adolescenza ovvero ci porta davanti agli occhi tutti gli adolescenti e i pre-adolescenti che conosciamo e popolano le nostre vite.

Voto: 3,5/5


mercoledì 5 luglio 2023

Serge / Yasmina Reza

Serge / Yasmina Reza; trad. di Daniela Salomoni. Milano: Adelphi, 2022.

Yasmina Reza ha una capacità davvero unica di decostruire e analizzare le relazioni umane e i modi di essere dei singoli, guardandoli da un punto di vista originale e così mettendone in evidenza i tratti che, pur essendo sotto i nostri occhi, spesso ci sfuggono, forse perché non vogliamo riconoscerli innanzitutto in noi stessi. Infatti, la caratteristica più significativa dei testi della Reza è proprio quella di farci guardare allo specchio nelle nostre meschinità e idiosincrasie.

In questo caso l'oggetto di analisi è la famiglia, anzi per l'esattezza una famiglia ebrea, i Popper, della quale seguiamo attraverso la voce di Jean, il figlio intermedio, le vicende di Serge, il fratello maggiore, e Nana, la sorella minore.

I tre si ritrovano, insieme a mariti/compagni e nipoti, per il funerale della madre Marta, sopravvissuta al marito Edgar, sionista convinto, mentre lei era totalmente impermeabile a qualunque dettato religioso e che proprio per questo era continuamente accusata dal marito di non aver ben educato i suoi figli.

Jean vive all'ombra del fratello Serge, che tende sempre a difendere e giustificare. La sua è una vita piuttosto solitaria, a parte i contatti con la sua ex e il figlio di lei, Luc.

Serge è snob e tracontante, divorziato e tendenzialmente fedifrago, testardo e capriccioso, nonché politicamente scorretto. All'estremo opposto si colloca Nana, sposata con un uomo di origine sudamericana di bassa estrazione e impegnato nel sociale, e ha due figli, uno dei quali ha velleità da grande chef.

È evidente che queste tre persone, pur fratelli, hanno un altissimo potenziale di conflittualità, che infatti viene immediatamente fuori in occasione del viaggio ad Auschwitz che i tre fanno insieme a Josephine, figlia di Serge, che ha espresso il desiderio di visitare i luoghi che sono stati così determinati nella storia dei propri antenati.

Proprio in un luogo che dovrebbe essere fatto apposta per coltivare il rispetto e la memoria si consuma il conflitto tra Serge e Nana, in cui Jean pur cercando di mantenersi equidistante tradisce la comunanza con il fratello del punto di vista sulla famiglia della sorella, in particolare su suo marito.

Come sempre nei suoi libri, la Reza con la sua prosa tagliente non si ferma davanti a nulla, facendoci ridere, sorridere e riflettere su qualunque cosa appartenga a quell'insieme complesso e contraddittorio che sono i sentimenti umani.

E in Serge la scrittrice francese appare particolarmente ispirata.

Voto: 3,5/5

domenica 2 luglio 2023

Easy Breezy / Yi Yang

Easy breezy / Yi Yang. Milano: Bao Publishing, 2021.

In una lista dei graphic novel migliori pubblicati nel 2022 avevo visto Deep vacation, albo della fumettista cinese, ormai trapiantata in Italia, Yi Yang. Ero quasi tentata di comprarlo, ma poi ho letto che in questo lavoro l'autrice riprende alcuni dei protagonisti del precedente, Easy Breezy.

E a quel punto ho pensato bene di procedere in ordine e di comprare e leggere questo lavoro.

Protagonista della storia è uno strano trio, anzi per l'esattezza un quartetto. Li Yu è un teppistello che marina la scuola e bullizza il suo compagno Yang Kuaikuai, il secchione della classe, isolato da tutti. Un giorno, mentre Li Yu è con lo zio Ya, i due si accorgono che davanti a loro è stato parcheggiato un furgoncino il cui proprietario ha lasciato le chiavi nel cruscotto e decidono di rubarlo. Mentre stanno per scappare via, Li Yu si rende conto che Yang Kuaikuai li ha visti, e dunque per non lasciare indietro testimoni lo porta con sé.

Ben presto i tre alquanto improvvisati ladruncoli si accorgeranno che nel furgoncino dorme Yun Duo, una bambina di cinque anni, che è stata sequestrata dal proprietario del furgoncino e che famiglia e polizia stanno cercando. A questo punto inizia un inseguimento davvero rocambolesco e senza respiro, che vede il quartetto braccato dal sequestratore e disorientato sul da farsi. Mentre lo zio Ya si conferma un bonaccione senza troppo cervello e la piccola Yun Duo non si rende totalmente conto di quello che sta avvenendo, i due ragazzi - pur all'interno di una condizione di conflittualità di sottofondo permanente - nei fatti si alleano e mettono a fattor comune le caratteristiche di ciascuno per mettersi in salvo e sconfiggere il vero cattivo.

Il graphic novel ha la caratteristica di rendere perfettamente a livello visivo ed emotivo l'inseguimento a rotta di collo, non lasciando al lettore un attimo di respiro in questa galoppata che - in men che non si dica - lo conduce all'ultima pagina. Lo stile di Yi Yang è tendenzialmente più basato sulle immagini che sulle parole (queste ultime invero molto limitate), e gioca moltissimo con le "inquadrature cinematografiche", in alcuni casi davvero originali.

Al termine della lettura non ho potuto fare a meno di fare un collegamento mentale con il film Shoplifters (Un affare di famiglia in italiano) del regista giapponese Hirokazu Kore-Eda, ma dentro di me pensavo di essere in parte fuori strada. Poi quando ho letto in una intervista all'autrice che il film e il regista sono un elemento di forte ispirazione per lei sono stata confermata nelle mie ipotesi.

Per me la lettura di questo albo, e in generale di quelli pubblicati da Bao Publishing in questa collana, è l'occasione di scoprire il mondo del fumetto cinese, i manhua, da non confondere con i ben più noti manga giapponesi. E devo dire che finora è una scoperta davvero interessante.

Voto: 3,5/5