venerdì 30 luglio 2021

Da Assisi a Spoleto in bicicletta

Anche quest'anno, considerata l'emergenza sanitaria ancora in corso, decidiamo di restare in Italia per la nostra tradizionale vacanza in bicicletta, però rispetto allo scorso anno torniamo a programmare il viaggio per il nostro periodo più classico, ossia la seconda metà di giugno.

La scelta del percorso non è facile. Ci sono infatti pochissimi viaggi che abbiano tutte le caratteristiche che stiamo cercando: durata di circa una settimana, percorso facile facile, partenza in qualunque giorno della settimana, possibilmente mezza pensione.

Alla fine ci indirizziamo verso un viaggio che avevamo già adocchiato lo scorso anno, ossia il percorso da Assisi a Spoleto, passando nella valle umbra.

Nelle settimane precedenti alla partenza molti dubbi ci assalgono: molti ci fanno notare che l'Umbria non è affatto piatta e moltissimi paesi sono in cima a collinette più o meno scoscese. E noi - che siamo completamente fuori forma - cominciamo a essere preoccupate.

Alla fine invece il viaggio si rivela perfetto per le nostre esigenze, e se non avessimo dovuto fare i conti con un caldo micidiale sarebbe stato ancora più gradevole! 

Perugia
*************************
Perugia

Prima di iniziare il viaggio in bicicletta, decidiamo di fare una tappa a Perugia, città che né io né S. conosciamo. Arriviamo in treno da Roma e alla stazione di Perugia prendiamo il minimetrò che ci porta direttamente al centro storico, una specie di vagoncino tipo luna park molto divertente e comodo.

Il nostro b&b è in pieno centro, a piazza della Repubblica.

Sul fronte "delizie del palato" apprezziamo la cena all'osteria "Civico 25" (ottimi i ravioli ripieni di agnello e la variazione di polpette), la colazione del giorno dopo con maritozzo perugino con panna all'Antica Latteria e il pranzo/merenda con panino con porchetta al chiosco di piazza Matteotti.

Perugia
A livello storico-artistico, giriamo in lungo e in largo la città: piazza IV novembre, la cattedrale, la splendida fontana maggiore, il palazzo dei priori e la sala dei notai, poi la bellissima via delle volte, piazza cavallotti, e lì vicino teatro morlacchi e università. Ma la cosa che ci entusiasma di più è la passeggiata sull'acquedotto romano che passa attraverso un quartiere molto bello e su cui si affacciano molte deliziose casette.

Poi risaliamo verso l'università per stranieri e l'arco etrusco. Andiamo a visitare il pozzo etrusco e ci allunghiamo fino alla cappella San Severo dove ci sono gli affreschi di Raffaello, ma è chiusa per lavori. Allora torniamo verso piazza Matteotti e andiamo al belvedere e ai giardini Carducci. L'ultima tappa di questa visita della città in 24 ore è quella alla rocca Paolina, fortezza dalle volte altissime che fa parecchio impressione.

*************************

Verso Santa Maria degli Angeli
Prima tappa: Assisi - Spello - Assisi (38,50 km)

Il nostro viaggio in bicicletta inizia da Assisi (dove siamo alloggiate nella bellissima country house 3 Esse, quasi un borghetto ai piedi di Assisi da dove si vede il campanile della basilica e la rocca).

La prima tappa in realtà è un giro circolare che ci porta prima a Santa Maria degli Angeli, la gigantesca basilica dove è possibile visitare la porziuncola, la cappella del transito e il roseto, tutti luoghi legati alla vita di San Francesco.

La seconda importante tappa è Spello, dove lasciamo le bici e saliamo a piedi. La nostra meta è innanzitutto la Cappella Baglioni, dove ci sono gli affreschi di Pinturicchio. Peccato che ci sono delle riprese televisive per cui la cappella non è visitabile fino al pomeriggio inoltrato. Dopo l'inevitabile incavolatura, ci dirigiamo verso la chiesa di Santa Maria Maggiore e ci consoliamo con la Madonna con bambino, sempre del Pinturicchio. Bella anche la passeggiata lungo il belvedere. Pranzo da Vinosofia, buono ma parecchio caro.

Spello
Il ritorno è facile, ma i 40° si fanno sentire tutti. Sulla strada del ritorno ci fermiamo al tugurio di Francesco presso la basilica di Rivotorto.

*************************

Seconda tappa: Da Assisi a Torgiano (30 km)

Visto che la tappa è breve e che sarebbe un delitto andar via senza vedere Assisi, prima di prendere la bicicletta, andiamo a piedi verso il centro storico, dove visitiamo prima di tutto la grandiosa Basilica di San Francesco con i famosissimi cicli di affreschi di Giotto e giotteschi. Poi facciamo una passeggiata nel gradevole centro storico del paese.

Partiamo poi in bici verso Torgiano. Il primo tratto non è molto diverso da quello della tappa di ieri, poi curva verso l'interno attraversando campagne con distese di cereali e girasoli, e affiancando piccoli corsi d'acqua. Per fortuna il cielo è coperto (sembra quasi che debba piovere) e dunque pedaliamo per buona parte del percorso senza essere massacrate dal sole. Il sole arriva solo verso la fine e picchia. E la salita finale in arrivo a Torgiano ci uccide nonostante abbiamo fatto solo 30 km.

Verso Torgiano

A Torgiano, un paese piccolissimo, andiamo a visitare il Muvit, il museo del vino realizzato dalla fondazione Lungarotti, famiglia di viticoltori del luogo. Il museo è una via di mezzo tra un museo storico-artistico e uno delle tradizioni popolari. Dentro ci sono tantissime cose, anche molto diverse tra loro e collezioni veramente originali, come quella dei ferri per fare le ostie e i brigidini. All'uscita ci offrono anche un calice di vino all'osteria del museo.

La sera abbiamo la cena prenotata al ristorante dell'hotel Siro, da cui non ci aspettiamo molto e che invece si rivelerà uno dei posti più buoni dove avremo mangiato (porzioni abbondanti, ottimi primi piatti, e ancora più buoni la grigliata mista e le costolette di agnello fritte).

*************************

Bevagna
Terza tappa: Torgiano - Bevagna (30 km)

Il percorso di oggi si sviluppa quasi interamente in campagna e lungo gli argini di fiumi e corsi d'acqua. I due contachilometri hanno smesso entrambi di funzionare. Comunque per le 11.30 siamo a Bevagna (dopo che è caduta la catena della mia bici sull'unica salita, in arrivo al paese.

Bevagna è uno dei paesi più belli sul nostro percorso: Piazza Filippi, l'anfiteatro romano su cui sono state costruite le case medievali, le porte di accesso alla città, i mosaici, il fiume. Nonostante il caldo, facciamo una bella passeggiata nel pomeriggio e ancora un altro giro in serata, dopo la gradevole cena nel bel cortile all'aperto del Grottino.

*************************
Foligno
Quarta tappa: Bevagna - Foligno- Casco dell'acqua (26,25 km)


Da Bevagna a Foligno c'è davvero poca strada, cosicché abbiamo la sensazione che il percorso sia stato studiato per farci fare parecchi giri avanti e indietro per le campagne, in modo da goderci un po' la bicicletta. Comunque per le 11 siamo a Foligno, una delle poche città umbre completamente in piano (non a caso è nota agli umbri per le temperature più alte che nei paesi limitrofi, più collinari). A Foligno entriamo da Porta Todi e subito visitiamo la chiesa di Santa Maria Infraportas, con affreschi medievali molto belli e ben conservati. Da questa piazza, che si chiama piazza San Domenico perché su di essa si affaccia l'omonima chiesa, ci muoviamo verso il centro, fino alla piazza del Comune dove c'è Palazzo Trinci e il duomo. Non c'è tempo per visitare il museo di Palazzo Trinci, ma la passeggiata prosegue a scoprire le numerose chiese che presidiano i vari accessi alla città (San Niccolò, San Francesco ecc.). Verso ora di pranzo facciamo una sosta per la seconda colazione al Panificio Bar Beddini, dove mangiamo un'ottima pizza al taglio e dei bomboloni. 

Casco dell'Acqua

Una volta rifocillate, riprendiamo il percorso verso Casco dell'Acqua, un paesino piccolissimo che si sviluppa lungo le sponde del fiume Clitunno, attualmente un piccolo ruscello, un tempo fiume rinomato e importante, anche via di navigazione. Il posto dove dormiamo, la country house Casco dell'Acqua, è nuovissimo e molto curato: faccio un bagno nella piscina di acqua salata e la sera ci aspetta una cena nel fienile con focaccia fatta in casa, tagliolini zafferano e tartufo, tagliata con insalata e patate, gelato e due ottimi vini: un Trebbiano in purezza Anteprima Tonda e un sangiovese-sagrantino, Flame. Stasera è giorno di partita dell'Italia, quindi dopo qualche chiacchiera siamo in stanza per seguirla.

*************************

Fonti del Clitunno
Quinta tappa: Casco dell'Acqua - Fonti del Clitunno - Spoleto (28 km)

Ci alziamo presto e, dopo l'ottima colazione alla nostra country house, partiamo di buonora, eppure fa già caldissimo. La pista ciclabile di oggi viaggia sempre a fianco di un corso d'acqua, e però è in pieno sole. Visto che il percorso di oggi è veramente breve, decidiamo di fare una deviazione per visitare le Fonti del Clitunno con il suo laghetto sistemato nell'Ottocento e cantato nella famosa poesia di Carducci. Io ci ero già stata, e per me è stata una conferma dei ricordi piacevoli che avevo; per S. invece è stata una bella sorpresa. 

Spoleto

Riprendiamo poi il percorso e arriviamo a Spoleto verso le 12, dove lasciamo le bici in pianura per poi salire a piedi al centro storico. È il periodo del Festival dei due mondi e la scalinata che scende al duomo è allestita con le sedie e in fondo con il palco. Entriamo a vedere gli affreschi di Pinturicchio e quelli di Filippo Lippi dell'abside. Poi saliamo alla fontana del mascherone e alla rocca degli Albornoz, le cui stanze sono in parte di per sé oggetto di visita, in parte sono allestite come sale di un museo con oggetti di varie epoche storiche in mostra. Personalmente apprezzo particolarmente "la stanza pinta", una sala ricoperta di affreschi dedicati alla vita cortese, che mi fanno tornare in mente i cicli di affreschi di Castel Roncol, visitato l'anno scorso a Bolzano, sempre al termine di un viaggio in bicicletta. Terminato il nostro giro della città e fatti un po' di acquisti di prodotti tipici da regalare e da tenere per noi, raggiungiamo il nostro ultimo albergo, La Macchia, che si trova a 4 km da Spoleto in mezzo al verde. Peccato solo per la cena, non proprio entusiasmante.

*************************

E così anche per quest'anno il nostro viaggio in bicicletta è finito. Abbiamo sofferto un po' il caldo, ma anche dimostrato a noi stesse che, nonostante la totale assenza di allenamento, possiamo ancora fare a meno delle biciclette a pedalata assistita ;-) Certo, l'anno prossimo chissà!

Qui un altro po' di foto per gli estimatori!

martedì 27 luglio 2021

Celestia / Manuele Fior

Celestia / Manuele Fior. Quartu Sant’Elena: Oblomov, 2020.

Manuele Fior è un narratore per immagini sopraffino: lo ha ormai dimostrato da parecchio tempo e, man mano che la sua professionalità si consolida nel riconoscimento collettivo, sceglie di battere strade sempre più originali che si muovono nell'area del distopico e del fantascientifico.

Se dunque in Cinquemila chilometri al secondo (tra l'altro citato visivamente in una delle pagine di questo albo) l'ispirazione era fortemente realistica e la narrazione più tradizionale, con i lavori successivi Fior è andato sempre più allontanandosi da questa impostazione per sperimentare narrazioni più sfidanti e visionarie.

Lo avevamo già osservato in particolare con L'intervista.

Ora con questo albo in due volumi, raccolti in un cofanetto, quell'ispirazione si consolida e si amplia, tra l'altro dichiarando esplicitamente il proprio legame con L'intervista, grazie alla presenza di un personaggio trasversale, Dora.

Se nel precedente albo Dora era la protagonista assoluta, in Celestia la donna diventa co-protagonista insieme a Pierrot. I due giovani vivono a Celestia, un'isola che è una rilettura visionaria di Venezia e che, dopo l'invasione, è abitata da un lato dagli invasori e saccheggiatori arrivati dalla terraferma, dall'altro da un manipolo di uomini che vorrebbe liberare la città, anche sfruttando le capacità telepatiche di alcuni di loro, tra cui proprio Dora. Nel mezzo tra questi due mondi in contrapposizione c'è una umanità derelitta e sofferente, riportata a uno stato "primitivo" e costretta a ricorrere a forme di baratto per soddisfare i propri bisogni. 

Pierrot, l'altro protagonista dell'albo, pur essendo il figlio del capo dei resistenti, non è interessato alla lotta, ma piuttosto alla poesia e alla serendipità. Quando incontra Dora che è scappata dal quartier generale dei resistenti, i due si uniscono in un'avventura che li porta alla scoperta non solo degli angoli più remoti di Celestia, ma soprattutto della terraferma, dove incontrano bambini sapienti, adulti confinati in castelli labirintici, vecchie protettive.

Alla fine di questa narrazione dai molti rivoli, che accanto ai personaggi principali vede molti comprimari interessanti e ben tratteggiati, si rimane un po’ con l’amaro in bocca perché forse ci si aspetta ancora altro, e invece Fior – com’è tipico delle sue trame – si ferma sempre prima di rispondere a tutte le domande e di sciogliere tutti gli intrecci.

Se dal punto di visto narrativo lo stile di Fior può piacere oppure no – dipende fondamentalmente dal nostro gusto soggettivo, visto che non è un fatto di qualità della narrazione – sul piano grafico non credo si possa trovare qualcuno in disaccordo nel riconoscere la bellezza e l’efficacia delle tavole a livello di disegni, di impressionismo ed espressionismo, nonché di scelte cromatiche, in particolare nella contrapposizione dell’oscurità bluastra o rossastra, ma pur sempre misteriosa, di Celestia, ai colori saturi e alla luce accecante della terraferma.

Manuele Fior si conferma autore a tutto tondo che sempre di più riesce a coniugare la sua vena artistica e grafica con un universo concettuale e narrativo coerente e di impatto.

Voto: 3,5/5

domenica 25 luglio 2021

Quel che resta del giorno / Kazuo Ishiguro

Quel che resta del giorno / Kazuo Ishiguro; trad. di Maria Antonietta Saracino. Torino: Einaudi, 2016.

Dopo l'entusiasmante lettura di Non lasciarmi, ho pensato di riprovare l'esperienza con un altro romanzo iconico di Kazuo Ishiguro, anche questo diventato la base per la sceneggiatura di un famoso film con protagonista Anthony Hopkins e Emma Thompson.

Quel che resta del giorno ha in comune con Non lasciarmi un'atmosfera rassegnata e malinconica, che comincio a pensare sia la cifra caratterizzante dello scrittore nippo-britannico.

Anche in questo caso la storia è raccontata in prima persona, quasi sotto forma di diario, e la voce narrante è quella di Stevens, maggiordomo nella residenza di Darlington Hall da molti decenni, prima al servizio di Lord Darlington e in tempi più recenti dell'americano Mr Farraday. È proprio su iniziativa di quest'ultimo che, verso la fine dell'estate del 1956, Stevens fa un viaggio in macchina nella campagna inglese, diretto verso il paese dove abita da diversi anni Miss Kenton, la governante che aveva a lungo prestato servizio presso la residenza e con cui Stevens ha mantenuto una corrispondenza.

Il viaggio in macchina non è solo l'occasione per riposarsi e incontrare gente nuova, bensì anche per ripensare al passato e contestualizzare il proprio lavoro e la propria abnegazione all'interno degli eventi svoltisi a Darlington Hall alla luce di quanto accaduto dopo.

Stevens è un maggiordomo infaticabile e con un livello altissimo di abnegazione e di fedeltà nei confronti del proprio datore di lavoro, alla cui vita aderisce con tutto sé stesso, a spese della propria vita privata e dei propri sentimenti.

A posteriori, dopo il passaggio di proprietà della residenza al gentiluomo americano e complice la distanza dalla quotidianità, Stevens si troverà a dover riconsiderare molte delle sue convinzioni e delle sue interpretazioni sia rispetto ai successi di Lord Darlington sia rispetto al rapporto con Miss Kenton.

Sarà dunque inevitabile la sensazione di aver perseguito una perfezione lavorativa che non solo non è stata esercitata a vantaggio - seppure indiretto - di azioni politiche meritevoli, ma che lo ha anche allontanato dalla possibilità di vivere con intensità e serenità sentimenti quali il dolore per la malattia e la morte del padre ovvero l'amore verso Miss Kenton.

Così, a poco a poco dai comportamenti e dalle parole di Stevens, pur senza mai rinunciare al basso profilo che ha sempre scelto come linea comportamentale, comincia a emergere il rammarico per le occasioni perse e per una vita "sprecata" all'inseguimento di una dignità che ha comportato il sacrificio della propria individualità e umanità.

Il libro di Kazuo Ishiguro è un libro compassato fino ai limiti dell'ingessato, esattamente come il suo protagonista e narratore, e proprio per questo ci trasporta in un mondo e in una società molto diversi da quelli a cui siamo abituati, un mondo nel quale gli ideali andavano perseguiti a spese della propria felicità e in cui solo il lavoro conferiva senso alla quotidianità.

Potrebbe sembrare una riflessione che non ci appartiene; eppure, la consapevolezza che viviamo in una società tutta orientata al soddisfacimento dei bisogni e al piacere effimero, ma nella quale il confine tra vita personale e lavoro è stato quasi azzerato, mi fa pensare che l'essere umano continui a essere incapace di stili di vita equilibrati e di scelte di effettivo e profondo benessere.

C'è tanto su cui riflettere, ognuno rispetto al proprio percorso di vita.

Voto: 3/5

mercoledì 21 luglio 2021

Romeo e Giulietta. Gigi Proietti Globe Theatre Silvano Toti, 8 luglio 2021

Approfitto della presenza a Roma di mio nipote F., che grazie alla sua innata curiosità è aperto alle proposte più diverse, per prendere i biglietti per lo spettacolo Romeo e Giulietta al Globe Theatre, da poco riaperto e da non molto dedicato - oltre che a Silvano Toti - alla memoria del suo animatore Gigi Proietti.

E questo spettacolo è proprio una delle ultime regie di Proietti, che la sua allora assistente alla regia, Loredana Scaramella, decide di portare sul palco anche per omaggiare il grande Gigi. Non a caso prima dell'inizio dello spettacolo, proprio la Scaramella introduce la proiezione di un breve video che mostra un po' di immagini rubate nel dietro le quinte dello spettacolo durante la preparazione di esso alla presenza dello stesso Proietti. L'applauso lungo e sentito scatta spontaneo.

Dopo una breve pausa, lo spettacolo inizia con la scena dell'incontro tra due gruppi di giovani, vestiti in abiti contemporanei e appartenenti a due bande contrapposte, che si scontrano e si sfidano, mentre il giovane Romeo, unico figlio di una delle due famiglie rivali, vaga per i boschi, perso nei suoi pensieri di amore per Rosalina.

Il Romeo e Giulietta di Proietti inizia contemporaneo con magliette e pantaloni strappati e accenni di rap; poi dopo la partecipazione alla festa in maschera che segna l'incontro tra i due protagonisti e l'inizio della loro storia d'amore si fa un salto nel passato sia a livello di abiti sia a livello di linguaggio, quasi fosse un sogno dopo il quale tutti si risvegliano amaramente con la morte di Romeo e Giulietta che riporta tutti al presente e alla realtà.

L'allestimento è semplice ma godibile, e l'opera di Shakespeare è davvero immortale e capace di conquistare spettatori di ogni età e formazione. Mio nipote apprezza, così come le due ragazzine sedute nella fila accanto alla nostra (sebbene facciano un po' di casino).

Soffriamo solo per il caldo umido che ci attanaglia nei palchi del Globe (e che le quattro gocce di pioggia che cadono a metà dello spettacolo fanno aumentare), per le sedie di legno dalla seduta scomodissima e che in prima fila sono troppo alte per appoggiare i piedi, e per la rumorosità di un pubblico che non sembra abituato al religioso silenzio del teatro.

Però, nonostante l'orario (lo spettacolo finisce a mezzanotte e mezza quasi), siamo contenti di essere venuti e ce ne torniamo a casa piacevolmente stanchi e soddisfatti.

Voto: 3/5

lunedì 19 luglio 2021

Mother = Madre

Poiché di nuove uscite il cinema in questo periodo ne offre davvero poche e anche le arene non hanno programmi appassionanti, io e F. decidiamo di andare a vedere Mother (=Madre), il film di Bong Joon-ho del 2009, molto prima che il regista coreano si facesse conoscere in tutto il mondo con Parasite, poi vincitore anche dell'Oscar.

Come si è detto, Mother è un thriller classico, di ispirazione hitchcockiana, primariamente focalizzato intorno alla figura di questa madre senza nome (magnificamente interpretata da Hye-ja Kim) che si trova a fare i conti con l'accusa di omicidio mossa nei confronti di suo figlio Do-joon (Bin Won), un ragazzo ritardato ma apparentemente inoffensivo.

Una giovane donna è stata trovata uccisa vicino a una casa abbandonata, e tutti gli indizi sembrano puntare verso Do-joon. Sua madre però è fermamente convinta della sua innocenza e, dopo aver provato a ingaggiare un avvocato per difenderlo e aver ricevuto solo una proposta di patteggiamento, decide di indagare senza paura in prima persona.

Dalle sue indagini viene fuori non solo che la ragazza uccisa aveva comportamenti parecchio libertini, forse per procurare soldi alla nonna alcolizzata, ma anche che in città molti hanno da nascondere qualcosa e dietro la facciata di una comunità tranquilla si nascondono ipocrisie e piccole e grandi perversioni.

Il racconto oscilla tra un realismo asciutto e cupo e un tono tragico-grottesco, che se da un lato porta a galla l'universalità dei temi trattati, dall'altro rende difficile l'identificazione e l'empatia con personaggi molto aderenti alla società sudcoreana.

Oltre al tema del rapporto madre-figlio, fatto di amore smisurato ma anche di reciproci e feroci condizionamenti, nelle pieghe del racconto emergono molti altri temi cari a Bong Joon-ho, tra cui le forti disuguaglianze sociali ed economiche della società sudcoreana, i metodi fascisti della polizia (già visti in Memorie di un assassino), la corruzione diffusa, le conseguenze dell'emarginazione sociale, la meschinità umana.

Nessuno dei personaggi che attraversano questa storia si può dire completamente innocente, ognuno ha i suoi piccoli segreti da nascondere ed è impegnato nel preservare sé stesso e il proprio sistema di valori piuttosto che nel ricercare la verità.

Quello della madre è in fondo una specie di percorso di consapevolezza, una parabola tragica di fronte alla quale la protagonista sceglie la strada della rimozione e della liberazione di sé stessa. La scena del ballo finale nel pulman chiude il cerchio narrativo che si era aperto con la scena di danza della stessa nel campo di grano con cui il film inizia. E in entrambi i casi questa danza avviene su musiche con sonorità occidentali che sembrano richiamare alla mente alcune canzoni degli anni Cinquanta.

Già in questo film, ben prima di Parasite, Bong Joon-ho dimostra di aver imparato molto bene la lezione del cinema occidentale, ma di essere capace di utilizzare alcune strategie narrative, di girato e di montaggio che sono proprie del mondo culturale e cinematografico cui appartiene.

Personalmente trovo che ogni film di Bong Joon-ho sia una immersione in una società complessa e stratificata come quella sudcoreana e un'esperienza molto appagante da molteplici punti di vista.

Voto: 4/5


lunedì 12 luglio 2021

La casa tonda / Louise Erdrich

La casa tonda
/ Louise Erdrich; trad. di Vincenzo Mantovani. Milano: Feltrinelli, 2012.

Questi romanzi di formazione, racconti di coming of age, mi attirano sempre. In questo caso leggendo la trama mi erano venuti in mente due romanzi che mi erano piaciuti molto, Il buio oltre la siepe e La sottile linea scura. Anche in questo caso siamo infatti nel cuore degli Stati Uniti d’America, il protagonista è una ragazzino tredicenne, Joe, che in un’estate vede cambiare la propria vita, anche qui si parla di una minoranza discriminata (i nativi americani) e di un caso giudiziario (lo stupro della madre di Joe, probabilmente da parte di un bianco).

Le premesse ci sarebbero tutte per una lettura appassionante, tanto più che l’autrice, Louise Erdrich, sembra conoscere molto bene la cultura indiana e infarcisce il racconto non solo di riferimenti ad essa, ma anche di componenti narrative che in essa affondano le radici (per esempio, le storie surreali che il vecchio Mooshum racconta mentre dorme).

Non si può dire che il romanzo non abbia meriti, ma – sarà anche perché non l’ho letto con la continuità che sarebbe stata necessaria – la sensazione di rimanere un po’ estranei al racconto è forte, così come quella di una narrazione un po’ discontinua e di un intreccio non proprio riuscitissimo in termini di credibilità.

Insomma, il libro avrà pure vinto uno dei più prestigiosi premi americani nel settore letterario (il National Book Award), ma a me non ha convinto, forse perché non ha saputo sfruttare al meglio i suoi elementi di originalità che probabilmente gli avrebbero permesso di staccarsi dai suoi illustri predecessori.

Personalmente non ne ritengo fondamentalmente la lettura.

Voto: 2,5/5

lunedì 5 luglio 2021

Le parole possono tutto / Silvia Vecchini; Sualzo

Le parole possono tutto / Silvia Vecchini; Sualzo. Milano: Il Castoro, 2021.

Qualche settimana fa mi è arrivato in regalo questo bel graphic novel de Il Castoro con un disegno autografo degli autori a me dedicato, e entro pochi giorni dalla ricezione mi sono fiondata a leggere questo nuovo lavoro di Silvia Vecchini e Sualzo.

I due sono per me ormai vecchie conoscenze: li ho scoperti con quell'albo emozionante che era Fiato sospeso, e poi ho continuato a seguirli con altri lavori come La zona rossa, Forse l'amore e 21 giorni alla fine del mondo.

La delicatezza delle loro storie e il modo attento e mai banale ch'essi hanno di parlare di bambini e adolescenti, e di quei momenti importanti che segnano l'abbandono dell'infanzia e l'ingresso nella vita adulta, me li rendono cari e mi predispongono positivamente alla lettura.

In questo caso la protagonista è Sara, un'adolescente che deve fare i conti con una brutta cicatrice che ha sul volto, dovuta a un incidente in macchina verificatosi alcuni anni prima, e con la separazione dei genitori, ch'ella più o meno ingenuamente attribuisce proprio a quell'evento. A tutto questo si è aggiunto anche il litigio con la sua migliore amica a causa di un fraintendimento legato all'interesse per un ragazzo.

Sara si sente inadeguata e triste, e si sfoga andando in giro in skateboard e disegnando graffiti sui muri. Proprio per uno di questi sarà costretta a fare un certo numero di ore di lavori socialmente utili, e sceglierà di andare in un centro per anziani dove incontrerà il signor T., uno strambo vecchietto che la conquisterà con le sue storie quasi magiche e le farà scoprire l'interesse per l'alfabeto ebraico.

Il racconto è infatti scandito proprio dalle lettere di questo alfabeto, ciascuna delle quali viene riprodotta all'inizio di ciascun capitolo e riecheggiata da un disegno che ne ricorda la forma e ne richiama il significato, brevemente spiegato sotto la lettera stessa.

Questo incontro con il signor T. sarà determinante per far scoprire a Sara il potere delle parole e la loro capacità di dare forma alla realtà, un potere straordinario di cui la giovane comprende presto il potenziale: le parole possono infatti togliere ambiguità ai silenzi e sciogliere nodi altrimenti destinati a ingigantirsi, ma sono anche macigni da cui difficilmente si torna indietro.

In questo ultimo lavoro di Vecchini e Sualzo c'è sicuramente un po' di misticismo e di magia, ma questi riferimenti sono alla fine tutti orientati a una riflessione molto concreta su temi universali come la famiglia, l'amicizia, l'amore, la relazione tra le generazioni. Com'è tipico dei loro albi, la sceneggiatura della Vecchini è mirabilmente sostenuta e armonizzata con i disegni di Sualzo, la loro espressività e la scelta dell'impaginato e dei colori.

Voto: 3/5

giovedì 1 luglio 2021

Sulle ali di una farfalla: Favignana a maggio

Cala Rossa, Favignana

Dopo che l'anno scorso, causa pandemia, il viaggio a lungo programmato e sognato per il mio compleanno era inevitabilmente saltato, quest'anno sono intenzionata a non perdere l'occasione di regalarmi una vacanza di fine maggio.

La situazione pandemica a livello nazionale è ancora incerta quando io e S. decidiamo di prenotare. Il nostro è soprattutto un auspicio che per la fine di maggio la situazione sarà tale da consentirci la vacanza. Ovviamente prenotiamo tutte cose che possiamo cancellare senza penali, ma speriamo di non doverlo fare.

Col passare delle settimane effettivamente la situazione migliora, ma la Sicilia - che è la nostra meta - rimane arancione fino a pochi giorni prima della nostra partenza, creando in noi un effetto suspence non proprio piacevole.

Alla fine si parte domenica 23 maggio dall'aeroporto Marconi di Bologna con un volo diretto che ci porta a Trapani, dove dormiremo la prima notte in attesa del traghetto che l'indomani ci porterà a Favignana. Dall'alto riconosciamo la nostra meta, un'isola che ha la forma di una farfalla: le due distese laterali come ali, e al centro la collina che l'attraversa nella parte stretta come fosse il corpo della farfalla.

Il giorno prima della nostra partenza c'è il momento thrilling in cui scopriamo che esiste un'ordinanza della Regione Sicilia ancora in vigore che prevede l'effettuazione di un tampone prima dell'ingresso in regione. Ma è sabato pomeriggio e ovviamente non facciamo in tempo, e così per tutto il viaggio ci chiediamo come fare. Arrivate all'aeroporto, ci dicono che è possibile fare lì un tampone rapido e così ci mettiamo la coscienza a posto. La vacanza può finalmente cominciare. 

*****************

Lungomare di Trapani
Trapani

A Trapani dormiamo al B&B Granveliero (in posizione strategica) e ceniamo la sera in uno storico ristorante della città, Antichi sapori, dove mangiamo molto bene (scopriremo solo a fine vacanza che è il posto dove avremo mangiato meglio). Ci pentiremo successivamente di aver puntato - oltre che sugli antipasti (molto buoni) - sui secondi, anziché assaggiare la specialità locale, ossia il cous cous, e altri primi piatti (bellissimi da vedere!). Bella anche la passeggiata lungo le mura sul mare al tramonto e per le stradine del centro.

*****************

Favignana

Il giorno dopo, al molo da cui parte il nostro traghetto Siremar, incontriamo Marta, una ragazza portoghese che lavora in Germania come infermiera e sta facendo il giro della Sicilia da sola in vacanza. Facciamo insieme la breve traversata e poi andiamo insieme al noleggio SDB Motors, dove noi abbiamo prenotato uno scooter per la settimana e lei prenderà una bici elettrica per girare l'isola in giornata.

Piazza Madrice, Favignana
Noi ci installiamo nel nostro appartamentino nel complesso denominato "L'ora dei forni", una struttura gestita da Anna, la quale ci ha consegnato per tempo una breve dispensa in cui è raccontata la storia di questa casa da quando negli anni Settanta i suoi la costruirono e ne fecero una discoteca e un luogo di incontro. La casa nel suo insieme è davvero molto bella, e ogni appartamento - compreso il nostro - ha a disposizione un terrazzino e un tavolo all'aperto dove mangiare (il nostro è sotto un bellissimo pergolato pieno di fiori).

Da qui in poi inizia la nostra settimana di relax, di passeggiate e di mare in un'isola che credo non avremmo potuto scegliere momento migliore per visitare. Un po' per il momento dell'anno, un po' perché la gente ancora è un po' timorosa ad andare in giro, quando arriviamo di turisti ce ne sono davvero pochissimi, e anche l'isola è un po' sonnacchiosa, molti ristoranti e locali sono ancora chiusi, alcuni stanno facendo dei lavori, altri non si capisce se hanno chiuso definitivamente o non è ancora stagione.

Per noi è sinceramente una goduria.
Dalle parti del porto, Favignana

Nei giorni che seguono giriamo l'isola con il nostro scooterino piuttosto scassato in lungo e in largo. Probabilmente non c'è stradina e sterrato che non abbiamo percorso almeno una volta!

Di tanto in tanto ci fermiamo presso una cala per un bagno (in acqua gelida, ma dai colori strepitosi), oppure per prendere un po' di sole, o anche solo per stare un po' a guardare il mare, che qui ci circonda in tutte le direzioni. Tra l'altro, la posizione dell'isola è straordinaria rispetto al vento, perché a seconda che sia scirocco o maestrale basta cambiare lato dell'isola ed ecco che magicamente il mare è calmissimo, oppure agitato, a seconda di quello che si preferisce.

Vi risparmierò la descrizione di giornate tutte meravigliosamente uguali, mentre invece - a vantaggio di chi pensa di organizzare un viaggio a Favignana - racconterò brevemente cosa ci è piaciuto di più.

Cala Rossa, Favignana
*****************

Le spiagge

Innanzitutto il mare. A Favignana non ci sono grandi spiagge di sabbia, l'unica che si possa assimilare a questa categoria è quella di Lido Burrone, che infatti dopo la relativa calma della settimana, già nel weekend cominciava ad essere piuttosto affollato di gente (non oso immaginare ad agosto!).

In alcuni casi ci sono piccolissime strisce di sabbia incorniciate da banchi di posidonia accumulata, che alla fine noi abbiamo adottato come luogo migliore sul quale sdraiarsi. Di questa tipologia sono alcune spiaggette lungo il litorale denominato Calamoni, e anche Cala Marasolo (una delle nostre baie preferite, dove c'è anche il Kiosko, un bar che fa ottimi - ma non economici - panini di mare).

Per il resto prevale la scogliera che però può essere molto diversa da baia a baia. La bellissima Cala Rossa sta nell'area dell'isola dove si sviluppano le tufare, cave di tufo talvolta diventate giardini oppure ricoperte dalla vegetazione. A Cala Rossa la baia è incorniciata da pilastri di tufo di diverse altezze che giungono fino al livello del mare.

Le cave di tufo al Bue Marino, Favignana
Il Bue Marino è una vera e propria cava di tufo ormai abbandonata, dove ci sono ancora gallerie e discese a mare da cui calare il materiale estratto verso le imbarcazioni. Qui si guarda il mare verso la costa occidentale siciliana, mentre alle spalle si ha la scogliera di tufo scavata che fa un po' effetto Petra. Al Bue Marino ci passiamo rapidamente il primo giorno e ci torniamo l'ultimo, quando per un bel po' di tempo ci siamo soltanto noi e gli onnipresenti gabbiani.

Non lontano dal Bue Marino si trova Cala Azzurra, un'altra baia dal mare di un colore turchese indescrivibile, dove l'unico problema può essere rappresentato dalla presenza di troppa gente.

Cala Azzurra, Favignana

Attraversato il tunnel che passa sotto la collina, dall'altra parte dell'isola sono degni di una menzione sia Cala Rotonda, dove trascorriamo una mattina di grande relax, sia Cala grande, la spiaggia con alle spalle una struttura turistica apparentemente non finita o comunque abbandonata (che assurdità!) e davanti il faro all'estremità dell'isola, che si chiama Faro di Punta Sottile. Se si prosegue ancora oltre il faro, inizia una parte un po' più selvaggia e scogliosa che termina nella zona dei Faraglioni, che in realtà sembrano cumuli di lava ricoperti di fiori.

Quello che accomuna tutte le spiagge e le cale è il colore incredibile del mare, e il fatto che l'acqua è gelida (non sappiamo se la situazione migliora con l'andare avanti dell'estate).

Con tutto questo ben di dio, c'è di che occupare le giornate, e anche la nostra settimana scorre veloce.  

*****************

Le escursioni

Il faro di Punta Sottile e Marettimo 
visti da Santa Caterina
Troviamo però il tempo di fare altre due cose che sono d'obbligo per chi va a Favignana: fare la passeggiata sulla collina fino al Castello di Santa Caterina, o a quel che rimane di essa, posta sul cucuzzolo. I resti del castello versano in uno stato di abbandono totale al punto tale che fa impressione anche pensare che non sia transennato e che invece i turisti non solo ci possano arrivare, ma possano anche addentrarsi e salire fino alla terrazza. Luogo affascinante e con una vista sull'isola davvero spettacolare: dalla parte del paese di Favignana abbiamo riconosciuto tutti i posti dove eravamo già state e lo sguardo ha potuto spaziare fino alla costa siciliana. Dall'altro lato abbiamo potuto ammirare l'altra metà dell'isola con il faro di Punta Sottile e in lontananza Marettimo.

Gli interni dello Stabilimento Florio
Altra "gita" è stata quella alla ex Stabilimento per la lavorazione del tonno Florio, che in questo periodo è hub vaccinale per l'isola di Favignana. Ci hanno detto che non ci sono al momento visite guidate, ma la tonnara è aperta. Effettivamente quando ci andiamo è aperta e vediamo anche i medici che fanno i vaccini. Ci inoltriamo dunque nella vasta area ch'essa occupa, in capannoni e stanze abbandonate da tempo, dove sono rimasti macchinari arrugginiti e proprio per questo affascinanti e tutto è coperto dal guano degli uccelli. 

Noi non trascuriamo alcun anfratto e io mi scateno con le foto (alla fine le più belle della vacanza!). Dopo aver fatto quasi tutto il nostro giro approdiamo a un'area della ex tonnara che ha un aspetto molto più pulito e sistemato, quella che è stata oggetto di restauro. Mentre passeggiamo in questa zona ci si avvicina un operaio che ci chiede cosa ci facciamo lì e che dobbiamo uscire perché la tonnara al momento non è aperta al pubblico. Noi, molto accomodanti (tanto ormai abbiamo girato lo stabilimento in lungo e in largo), ci scusiamo e andiamo via!

 Infine una breve incursione merita anche il faro di Punta Marsala, anche questo abbandonato e affascinante come tutti i luoghi abbandonati.

*****************

Il cibo

Villaggio dei pescatori a Marasolo
Riguardo alla nostra esperienza enogastronomica, non so se perché eravamo partite con aspettative troppo alte ovvero perché i ristoranti erano ancora in via di riapertura, non possiamo dire di portarci dietro ricordi memorabili.

Ottimo il cibo di strada, per esempio il cartoccio di pesce della Pescheria Florio, il pane cunzato del panificio Costanza, i fritti di U' Coppu (in particolare panelle e cazzilli), le cassatelle fritte del bar del corso, il panino con la battuta di gambero rosso del già citato Kiosko a Marasolo.

Per quanto riguarda i ristoranti, non ci entusiasma la tanto acclamata Osteria del SottoSale (buona, ma senza picchi) e nemmeno l'agriturismo L'Alencio, il cui cibo è discreto, ma la vista e il tramonto su Marettimo che si gode dalla terrazza eccezionali.

La vista dall'agriturismo L'Alencio
Avremmo voluto provare il bar/ristorante di Porto Cavallo ma è chiuso, e anche la rosticceria Scialae ma è chiusa pure quella.

Ciò detto, non baratteremmo mai la pace, la tranquillità, il mare meraviglioso di cui abbiamo potuto godere in questa fine di maggio con l'apertura di tutti i locali, che avrebbe sicuramente voluto dire molti più turisti.

*****************

Le saline di Trapani

Il nostro ultimo giorno di vacanza lo trascorriamo ancora a Trapani; la sera, arrivando con il traghetto, non riusciamo a prenotare alcun ristorante (è sabato) e così mangiamo due arancine di Angelino, una frittura di pesce di Maree e una granita da Colicchia.

Le saline Culcasi, Trapani
Ma la chicca arriva il giorno dopo. Abbiamo ancora mezza giornata da spendere ed è il mio compleanno. Cosicché noleggiamo delle bici a pedalata assistita e ce ne andiamo verso le saline di Trapani. Dopo una bella passeggiata (anche se le piste ciclabili lasciano molto a desiderare) ci fermiamo alle Saline Culcasi, dove facciamo una bella passeggiata, vediamo il museo del sale, compriamo un po' di sale e infine ci fermiamo a pranzo al bel ristorante, dove gustiamo un ottimo antipasto misto della casa e delle buonissime cassatelle di ricotta. Torno a casa felice. E pure un po' abbronzata.

 
*****************

Per qualche foto in più della vacanza a Favignana si veda qui.