lunedì 22 luglio 2024

L'histoire de Souleymane

Quest'anno la rassegna Da Cannes a Roma, tradizionalmente organizzata dall'Anec Lazio tutte le estati, pare un po' sottotono. Il programma esce all'ultimissimo minuto, al punto che a malapena c'è il tempo di farsi un'idea di cosa andare a vedere, e in generale il numero dei film proposti e anche la selezione risultano un po' inferiori alle aspettative.

Per di più ho poche serate libere nella settimana di programmazione, e dunque alla fine decido di fare una minimaratona, vedendo di seguito i due film che maggiormente mi incuriosiscono.

Uno di questi film è L'histoire de Souleymane che definirò un po' semplicisticamente la risposta francese a Io capitano di Matteo Garrone. In questo caso il protagonista, Souleymane (il bravissimo Abou Sangaré, che ha vinto il premio per la migliore interpretazione maschile nella sezione Un certain regard, sezione nella quale il film ha vinto il premio della giuria), ha già fatto il suo viaggio dall'Africa (in questo caso dalla Guinea) fino all'Italia ed è arrivato in Francia, dove sbarca il lunario consegnando cibo, con un account subaffittato, in attesa che la sua domanda d'asilo venga accolta e dunque di avere i documenti per poter lavorare.

Il film inizia dalla fine (ma lo scopriremo di fatto solo dopo), ossia dal momento in cui il giovane è seduto in una sala d'attesa e viene chiamato in un ufficio. Da qui il regista Boris Lojkine ci riporta indietro di due giorni e attacca la sua telecamera addosso al protagonista, portando lo spettatore dentro la sua vita.

Scopriamo così che Souleymane deve sostenere l'intervista a seguito della quale verrà deciso se potrà ottenere l'asilo in Francia oppure no: come molti altri immigrati, il giovane si è rivolto a persone che a pagamento gli procurano dei documenti a sostegno di una storia che lui dovrà imparare a memoria e sostenere in maniera credibile durante l'intervista.

Per pagare l'uomo che gli procura storia e documentazione, il giovane si è comprato una bicicletta e, dietro pagamento di una percentuale, ha ottenuto l'account di un altro uomo per consegnare cibo a domicilio, in una corsa contro il tempo che deve fare i conti con la pericolosità delle strade, gli inconvenienti e la maleducazione dei gestori dei locali e dei clienti. Al termine del lavoro ogni giorno Souleymane deve correre a prendere l'ultimo autobus che lo porterà al centro di accoglienza dove dorme quasi tutte le notti, e - per assicurarsi un posto - ogni mattina deve alzarsi prestissimo per prenotare autobus e posto letto.

Nel frattempo, cogliamo alcune informazioni della sua vita personale: una madre in Guinea che ha problemi di malattia mentale, una fidanzata - sempre in Guinea - che ha ricevuto una proposta di matrimonio da un ingegnere. E tutto questo in una vita in cui la lotta per la sopravvivenza tra persone in condizioni simili alle sue e la sopraffazione sono la normalità. Souleymane arriverà alfine all'intervista con la sua camicia bianca e i suoi documenti, pronto a raccontare la sua storia.

L'histoire de Souleymane è un film che ti si appiccica addosso nei primi istanti e non ti molla più per tutta la sua durata, in un crescendo di ansia, di rabbia, di frustrazione, ma anche di empatia e affetto per il suo protagonista, che non penso possano lasciare indifferenti.

Torno dunque al parallelismo che avevo proposto inizialmente con il film di Garrone, che - come sa chi l'ha visto - terminava con l'arrivo quasi trionfale di Seydou in Italia, dopo inenarrabili sofferenze. In un certo senso, L'histoire de Souleymane è la risposta al commento con cui chiudevo la recensione: "della vita che lo aspetta e delle ulteriori e inevitabili sofferenze future non sappiamo nulla". Guardando Souleymane sappiamo cosa attende queste persone quando arrivano in quell'Europa che in alcuni casi - come in questo - nemmeno hanno scelto e che non era la loro destinazione.

Anche in questo caso - come in molti altri - si potrebbe parlare di un film necessario, ma devo dire che ormai io esco da queste visioni arrabbiata e frustrata, perché non solo mi sento impotente, ma mi trovo dalla parte del privilegio e dello sfruttamento. E, per quanto ognuno di noi prenda le sue personali contromisure per fare i conti con la sua coscienza, è inevitabile provare un senso di ingiustizia fortissimo nei confronti delle nostre società incapaci di far fronte a un problema globale e creato in qualche modo da noi stessi.

Voto: 3,5/5

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