In fondo al tuo cuore. Inferno per il commissario Ricciardi / Maurizio De Giovanni. Torino: Einaudi, 2014.
Il libro di Maurizio De Giovanni mi aveva incuriosito fin da quando lo avevo visto sugli scaffali della libreria dove stavo facendo scorta per l’estate.
In primo luogo mi piacciono i gialli, meglio se con protagonisti commissari tormentati e tenebrosi come Ricciardi. Inoltre, ero incuriosita dall’ambientazione, la Napoli degli anni Trenta.
Devo dire che le aspettative non sono state deluse.
La coppia formata dal commissario Ricciardi e dal brigadiere Maione è perfettamente assortita: dolente e ombroso il primo, istintivo e di gran cuore il secondo.
In questa occasione i due si trovano di fronte al caso del dottor Iovine, morto dopo essere stato spinto dalla finestra del suo ufficio.
In fondo al tuo cuore è un racconto corale in cui alla voce del narratore si alternano quelle dei protagonisti che a vario titolo popolano le pagine del romanzo. Ognuno di loro, compresi Ricciardi e Maione, deve fare i conti con ciò che ha in fondo al cuore: Ricciardi diviso tra Livia ed Enrica, Maione ingelosito dagli strani comportamenti della moglie Lucia, il defunto dottor Iovine al centro di storie personali intrecciate e complesse: quelle della prostituta Sisinella, dell’orefice Coviello, del dottor Rusco e di suo figlio, di Peppino il Lupo e della figlioletta nata con un parto che ha fatto perdere la vita alla madre.
A fare da sfondo a tutto la città di Napoli, quella dei vicoli, di Mergellina e del Vomero, tutta indistintamente immersa nella calura insopportabile di metà luglio, mentre fervono i preparativi per la festa della Madonna del Carmine.
Una Napoli passata e presente che acquista mille sfumature negli occhi e nelle parole di Ricciardi e Maione, i cui ruoli anche da questo punto di vista sono complementari e alternativi. Una Napoli che verrebbe voglia di riportare alla luce, di far resuscitare almeno un po’ per goderne ancora la magia.
Voto: 4/5
domenica 31 agosto 2014
venerdì 29 agosto 2014
I solchi del destino / Paco Roca
I solchi del destino / Paco Roca. Latina: Tunué, 2013.
Paco Roca è un autore di fumetti poliedrico e ambizioso, capace di passare da racconti di carattere intimistico e personale a storie di respiro molto più ampio, da piccole narrazioni venate di ironia ed autoironia a vicende che hanno segnato i destini di intere nazioni.
Ne I solchi del destino Paco Roca riesce nel non facile tentativo di combinare la storia personale di un uomo ormai anziano con la Storia con S maiuscola, nello specifico quella che ha visto gli spagnoli antifascisti che avevano combattuto contro il regime di Franco partecipare alla seconda guerra mondiale per sconfiggere le potenze dell’Asse.
Si tratta della storia di Miguel, ora un innocuo e taciturno vecchietto che vive in Francia sotto falso nome e che invece in gioventù fece parte della Nueve, una divisione dell’esercito che ebbe un ruolo fondamentale nella liberazione della Francia e di Parigi.
Il presente è raccontato in prima persona da Paco Roca che – grazie alle sue approfondite ricerche documentarie – si è messo sulle tracce di Miguel e l’ha infine trovato per parlare con lui di come andarono veramente le cose e di quale fu il suo ruolo nella storia della Nueve. A questo presente in bianco e nero – in cui l’ironia si intreccia con alcuni momenti di tristezza e nostalgia – si contrappone un passato di ricordi a colori, pieno di dettagli personali e generali – in cui alla durezza e ferocia della guerra fanno da contraltare il coraggio e l’idealità di uomini profondamente e sinceramente votati alla difesa della libertà personale e dei popoli.
In alcuni passaggi I solchi del destino mi ha richiamato alla memoria unastoria di Gipi, perché, pur nella differenza profonda di approccio di cui i due autori si fanno interpreti, identica è l’attenzione alle conseguenze profonde che la disumanità di qualunque guerra produce sugli animi e sulle vite delle persone.
Un racconto di grande qualità documentaria e narrativa, che riesce non solo a dare un volto umano alle vicende storiche, ma anche ad illuminare con correttezza e misura aspetti di tali vicende che la memoria e la propaganda successiva hanno in parte occultato.
Paco Roca dimostra ancora una volta di saper scandagliare l’animo umano con delicatezza e di possedere una grande capacità di raccontare - attraverso il tratto preciso, la propria accurata ricostruzione grafica e l’espressività dei suoi personaggi - quanto le parole spesso non sono in grado di comunicare.
Uno dei grandi fumettisti europei della contemporaneità e uno dei miei preferiti, insieme a Guy Delisle e Bastien Vivès.
Voto: 4/5
Paco Roca è un autore di fumetti poliedrico e ambizioso, capace di passare da racconti di carattere intimistico e personale a storie di respiro molto più ampio, da piccole narrazioni venate di ironia ed autoironia a vicende che hanno segnato i destini di intere nazioni.
Ne I solchi del destino Paco Roca riesce nel non facile tentativo di combinare la storia personale di un uomo ormai anziano con la Storia con S maiuscola, nello specifico quella che ha visto gli spagnoli antifascisti che avevano combattuto contro il regime di Franco partecipare alla seconda guerra mondiale per sconfiggere le potenze dell’Asse.
Si tratta della storia di Miguel, ora un innocuo e taciturno vecchietto che vive in Francia sotto falso nome e che invece in gioventù fece parte della Nueve, una divisione dell’esercito che ebbe un ruolo fondamentale nella liberazione della Francia e di Parigi.
Il presente è raccontato in prima persona da Paco Roca che – grazie alle sue approfondite ricerche documentarie – si è messo sulle tracce di Miguel e l’ha infine trovato per parlare con lui di come andarono veramente le cose e di quale fu il suo ruolo nella storia della Nueve. A questo presente in bianco e nero – in cui l’ironia si intreccia con alcuni momenti di tristezza e nostalgia – si contrappone un passato di ricordi a colori, pieno di dettagli personali e generali – in cui alla durezza e ferocia della guerra fanno da contraltare il coraggio e l’idealità di uomini profondamente e sinceramente votati alla difesa della libertà personale e dei popoli.
In alcuni passaggi I solchi del destino mi ha richiamato alla memoria unastoria di Gipi, perché, pur nella differenza profonda di approccio di cui i due autori si fanno interpreti, identica è l’attenzione alle conseguenze profonde che la disumanità di qualunque guerra produce sugli animi e sulle vite delle persone.
Un racconto di grande qualità documentaria e narrativa, che riesce non solo a dare un volto umano alle vicende storiche, ma anche ad illuminare con correttezza e misura aspetti di tali vicende che la memoria e la propaganda successiva hanno in parte occultato.
Paco Roca dimostra ancora una volta di saper scandagliare l’animo umano con delicatezza e di possedere una grande capacità di raccontare - attraverso il tratto preciso, la propria accurata ricostruzione grafica e l’espressività dei suoi personaggi - quanto le parole spesso non sono in grado di comunicare.
Uno dei grandi fumettisti europei della contemporaneità e uno dei miei preferiti, insieme a Guy Delisle e Bastien Vivès.
Voto: 4/5
lunedì 4 agosto 2014
Lo straniero / Albert Camus
Lo straniero / Albert Camus; trad. di Alberto Zevi; con una nota di Silvio Perrella. Milano: Bompiani, 2013.
Ogni tanto qualcuno ci prova ad elevarmi dal mio “essere intellettuale solo per finta”, mettendomi di fronte alla mia infinita ignoranza. ;-)
Del resto, devo dire che più passano gli anni e accumulo letture (di saggi, di romanzi, di attualità, di curiosità, di fesserie e di cose importanti) e più mi sento ignorante, o meglio mi sento insicura. Mi rendo conto che, per quanto si possa conoscere e leggere, in molte circostanze è difficile saperne abbastanza per farsi un’opinione precisa delle cose e delle situazioni, soprattutto quelle che sono al di fuori della sfera relazionale ed esperienziale con cui siamo a più stretto contatto, così come per quanto si possa recuperare quanto non è entrato nel nostro bagaglio culturale nella fase della formazione non sarà probabilmente sufficiente a comporre dei quadri coerenti, perché i pezzi mancanti lasciano vuoti quasi incolmabili.
La premessa dunque è che so di non sapere e che probabilmente non avrei mai letto nulla di Camus se non mi fosse stato regalato questo libro. Diciamo che ho dalla mia – e speriamo ancora a lungo - la curiosità che mi spinge a interessarmi di tutto, a buttarmi a capofitto nelle cose, anche e soprattutto quelle che non conosco.
E così di fronte a Lo straniero sono rimasta interdetta, e lì per lì ho pensato di non avere gli strumenti per capire la scrittura di Camus. Poi però mi sono anche resa conto che probabilmente la mia sensazione non è molto lontana da quello che l’autore pensava di trasmettere e di ottenere dal suo lettore.
Meursault, il protagonista del romanzo, è decisamente un personaggio spiazzante. Un uomo senza sentimenti né preferenze. Estraneo, straniero al mondo e al suo agitarsi. Il suo rapporto con la vita (naturale e sociale) che lo circonda è fatto non di passioni, semmai di sensazioni, e il messaggio principale che Meurseult sembra trasmettere è l’assenza di senso, o meglio l’insensatezza di qualunque progettualità, la quale inevitabilmente va a scontrarsi con la fatalità del caso.
Meurseult non si interroga sul destino ultimo, non lotta contro l’insensatezza. L’accetta nella quasi totale indifferenza. Gli episodi che occupano la prima parte del romanzo, la morte della madre, il rapporto con Maria, l’amicizia con Raimondo, fino all’omicidio dell’arabo sulla spiaggia, non sono oggetto di alcun tipo di riflessione morale o metafisica da parte del protagonista, così come – nella seconda parte – il carcere e il processo che lo porterà alla condanna a morte sono vissuti da Meurseult come dall’interno di una bolla che non comunica con il mondo esterno. Per tutto il romanzo attendiamo lo scatto d’ira che il protagonista riserva, nelle ultime pagine, al prete che va a visitarlo in cella, ma tale reazione è solo l’occasione per liberarsi definitivamente di qualunque possibile e ingannevole speranza.
E scusate, ma di fronte a Camus, su cui pagine e pagine sono state scritte, e rispetto al quale molti critici di rango non hanno disdegnato complesse letture filosofiche, mi sentirei di bestemmiare se mettessi un voto. Semmai mi congedo con l'impegno di provarci una seconda volta con La peste.
Ogni tanto qualcuno ci prova ad elevarmi dal mio “essere intellettuale solo per finta”, mettendomi di fronte alla mia infinita ignoranza. ;-)
Del resto, devo dire che più passano gli anni e accumulo letture (di saggi, di romanzi, di attualità, di curiosità, di fesserie e di cose importanti) e più mi sento ignorante, o meglio mi sento insicura. Mi rendo conto che, per quanto si possa conoscere e leggere, in molte circostanze è difficile saperne abbastanza per farsi un’opinione precisa delle cose e delle situazioni, soprattutto quelle che sono al di fuori della sfera relazionale ed esperienziale con cui siamo a più stretto contatto, così come per quanto si possa recuperare quanto non è entrato nel nostro bagaglio culturale nella fase della formazione non sarà probabilmente sufficiente a comporre dei quadri coerenti, perché i pezzi mancanti lasciano vuoti quasi incolmabili.
La premessa dunque è che so di non sapere e che probabilmente non avrei mai letto nulla di Camus se non mi fosse stato regalato questo libro. Diciamo che ho dalla mia – e speriamo ancora a lungo - la curiosità che mi spinge a interessarmi di tutto, a buttarmi a capofitto nelle cose, anche e soprattutto quelle che non conosco.
E così di fronte a Lo straniero sono rimasta interdetta, e lì per lì ho pensato di non avere gli strumenti per capire la scrittura di Camus. Poi però mi sono anche resa conto che probabilmente la mia sensazione non è molto lontana da quello che l’autore pensava di trasmettere e di ottenere dal suo lettore.
Meursault, il protagonista del romanzo, è decisamente un personaggio spiazzante. Un uomo senza sentimenti né preferenze. Estraneo, straniero al mondo e al suo agitarsi. Il suo rapporto con la vita (naturale e sociale) che lo circonda è fatto non di passioni, semmai di sensazioni, e il messaggio principale che Meurseult sembra trasmettere è l’assenza di senso, o meglio l’insensatezza di qualunque progettualità, la quale inevitabilmente va a scontrarsi con la fatalità del caso.
Meurseult non si interroga sul destino ultimo, non lotta contro l’insensatezza. L’accetta nella quasi totale indifferenza. Gli episodi che occupano la prima parte del romanzo, la morte della madre, il rapporto con Maria, l’amicizia con Raimondo, fino all’omicidio dell’arabo sulla spiaggia, non sono oggetto di alcun tipo di riflessione morale o metafisica da parte del protagonista, così come – nella seconda parte – il carcere e il processo che lo porterà alla condanna a morte sono vissuti da Meurseult come dall’interno di una bolla che non comunica con il mondo esterno. Per tutto il romanzo attendiamo lo scatto d’ira che il protagonista riserva, nelle ultime pagine, al prete che va a visitarlo in cella, ma tale reazione è solo l’occasione per liberarsi definitivamente di qualunque possibile e ingannevole speranza.
E scusate, ma di fronte a Camus, su cui pagine e pagine sono state scritte, e rispetto al quale molti critici di rango non hanno disdegnato complesse letture filosofiche, mi sentirei di bestemmiare se mettessi un voto. Semmai mi congedo con l'impegno di provarci una seconda volta con La peste.
venerdì 1 agosto 2014
L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio / Murakami Haruki
L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio / Murakami Haruki; trad. di Antonietta Pastore. Torino: Einaudi, 2014.
Si tratta del primo libro di Murakami Haruki che leggo. Devo dire che gli scrittori giapponesi, dopo qualche esperienza non proprio positiva, non mi attirano molto. In questo caso però mi sono fidata del consiglio del mio amico olandese M., che aveva potuto leggere quest'ultimo romanzo di Murakami prima che ne uscisse l’edizione italiana.
Alla fine del libro devo sostanzialmente confermare la percezione che già in passato avevo avuto degli autori giapponesi. La lettura mi prende moltissimo creandomi elevate aspettative; il filo narrativo mi incuriosisce spingendomi pagina dopo pagina alla ricerca dello scioglimento dei nodi e dei colpi di scena. Ma alla fine non arriva alcun colpo di scena, non accade nulla di incredibile o del tutto inaspettato, se non la vita che fluisce e il personale percorso emotivo che mette ciascuno di fronte a se stesso.
Così accade per Tazaki Tsukuru, un uomo ormai maturo che vive a Tokio, progetta stazioni ferroviarie e non ha ancora un rapporto di coppia stabile e soddisfacente. Tazaki si porta dentro la ferita dell’abbandono da parte dei suoi amici di liceo che lo hanno allontanato dal gruppo senza dargli alcuna spiegazione, evento a seguito del quale il protagonista ha attraversato un periodo molto triste della sua vita e ha seriamente pensato che non valesse più la pena di viverla.
A distanza di vent’anni da quell’evento, Tazaki continua a sognare i suoi amici (in particolare le due donne del gruppo) e sente che la sua vita non ha colore, ossia non è illuminata da emozioni ed entusiasmi. L’incontro con una donna più grande di lui, con la quale avvia una relazione, lo spinge a cercare nel proprio passato le risposte che non ha mai ricevuto; cosicché Tazaki decide di incontrare ad uno ad uno i suoi amici per capire cosa è accaduto tanti anni prima.
Il racconto di Murakami Haruki si muove abilmente tra passato e presente e incrocia sapientemente racconti e personaggi del passato (lontano e vicino) di Tazaki con situazioni e figure che popolano il suo presente. A volte la realtà si interseca con i sogni, ovvero il racconto si interrompe per lasciare spazio a un'altra parentesi narrativa. Alcuni dei personaggi attraversano le pagine del romanzo e poi scompaiono senza che il loro ruolo sia esplicitamente identificato o sia funzionale alla comprensione dell’intreccio.
D’altra parte è un po’ quello che accade nella vita. Gli incontri che facciamo, le cose che ci succedono, i sentimenti che proviamo, il modo in cui ci sentiamo non sempre hanno significati espliciti; talvolta sta a noi cercare i segnali nella vita quotidiana e interrogarci su noi stessi, evitando di scegliere la strada dell’indifferenza e dell’apatia che in molti casi è solo una strategia per non soffrire, ma che ci impedisce anche di essere felici.
Nel libro di Murakami Haruki ci sono molti temi importanti: l’amicizia, l’amore, il rapporto con le radici, il mistero della vita e della morte, il senso dell’esistenza, la capacità di affrontare la verità. Il tutto trattato con quella sensibilità giapponese, del tutto composta, che rivela il senso delle cose non attraverso azioni dirompenti, bensì nella graduale ricomposizione dei frammenti della propria esistenza.
Voto: 3,5/5
Si tratta del primo libro di Murakami Haruki che leggo. Devo dire che gli scrittori giapponesi, dopo qualche esperienza non proprio positiva, non mi attirano molto. In questo caso però mi sono fidata del consiglio del mio amico olandese M., che aveva potuto leggere quest'ultimo romanzo di Murakami prima che ne uscisse l’edizione italiana.
Alla fine del libro devo sostanzialmente confermare la percezione che già in passato avevo avuto degli autori giapponesi. La lettura mi prende moltissimo creandomi elevate aspettative; il filo narrativo mi incuriosisce spingendomi pagina dopo pagina alla ricerca dello scioglimento dei nodi e dei colpi di scena. Ma alla fine non arriva alcun colpo di scena, non accade nulla di incredibile o del tutto inaspettato, se non la vita che fluisce e il personale percorso emotivo che mette ciascuno di fronte a se stesso.
Così accade per Tazaki Tsukuru, un uomo ormai maturo che vive a Tokio, progetta stazioni ferroviarie e non ha ancora un rapporto di coppia stabile e soddisfacente. Tazaki si porta dentro la ferita dell’abbandono da parte dei suoi amici di liceo che lo hanno allontanato dal gruppo senza dargli alcuna spiegazione, evento a seguito del quale il protagonista ha attraversato un periodo molto triste della sua vita e ha seriamente pensato che non valesse più la pena di viverla.
A distanza di vent’anni da quell’evento, Tazaki continua a sognare i suoi amici (in particolare le due donne del gruppo) e sente che la sua vita non ha colore, ossia non è illuminata da emozioni ed entusiasmi. L’incontro con una donna più grande di lui, con la quale avvia una relazione, lo spinge a cercare nel proprio passato le risposte che non ha mai ricevuto; cosicché Tazaki decide di incontrare ad uno ad uno i suoi amici per capire cosa è accaduto tanti anni prima.
Il racconto di Murakami Haruki si muove abilmente tra passato e presente e incrocia sapientemente racconti e personaggi del passato (lontano e vicino) di Tazaki con situazioni e figure che popolano il suo presente. A volte la realtà si interseca con i sogni, ovvero il racconto si interrompe per lasciare spazio a un'altra parentesi narrativa. Alcuni dei personaggi attraversano le pagine del romanzo e poi scompaiono senza che il loro ruolo sia esplicitamente identificato o sia funzionale alla comprensione dell’intreccio.
D’altra parte è un po’ quello che accade nella vita. Gli incontri che facciamo, le cose che ci succedono, i sentimenti che proviamo, il modo in cui ci sentiamo non sempre hanno significati espliciti; talvolta sta a noi cercare i segnali nella vita quotidiana e interrogarci su noi stessi, evitando di scegliere la strada dell’indifferenza e dell’apatia che in molti casi è solo una strategia per non soffrire, ma che ci impedisce anche di essere felici.
Nel libro di Murakami Haruki ci sono molti temi importanti: l’amicizia, l’amore, il rapporto con le radici, il mistero della vita e della morte, il senso dell’esistenza, la capacità di affrontare la verità. Il tutto trattato con quella sensibilità giapponese, del tutto composta, che rivela il senso delle cose non attraverso azioni dirompenti, bensì nella graduale ricomposizione dei frammenti della propria esistenza.
Voto: 3,5/5
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