Di seta e di sangue / Qiu Xiaolong; trad. di Fabio Zucchella. Venezia: Marsilio, 2011.
Era un po' di tempo che avevo questo romanzo nella mia libreria ed è stato il bisogno di rilassarmi con un giallo che mi ha finalmente spinto a metterlo in cima alla mia lista di letture. Iniziato un po' in sordina, l'ho poi letteralmente divorato durante la mia permanenza estiva in Puglia.
Qiu Xiaolong è un autore cinese di gialli (o forse sarebbe meglio dire polizieschi) ambientati a Shanghai e che hanno come protagonista l'ispettore capo Chen, un buffo personaggio che non è solo un poliziotto, ma anche un appassionato di letteratura e un poeta. Da certi punti di vista Chen mi è sembrato la versione cinese di Adamsberg, anche lui un poliziotto anomalo con la testa apparentemente persa tra le nuvole o comunque su pensieri non necessariamente collegati al caso da risolvere, ma che in questo modo riesce a trovare la giusta chiave di lettura. E sarà forse proprio per questo che l'ho amato.
Come già mi era capitato con i romanzi di Fred Vargas aventi come protagonista Adamsberg, non ho seguito l'ordine cronologico nella lettura e ho cominciato da uno a caso dei romanzi della serie, in cui dunque compaiono personaggi che evidentemente sono stati introdotti in titoli precedenti, come il poliziotto Yu, aiutante di Chen, e Nuvola Bianca, una giovane donna dal passato un po' equivoco che aiuta l'ispettore in modi originali. A questo punto mi toccherà recuperare i precedenti per approfondire personaggi e caratteri. E questo non può farmi che piacere, visto che ultimamente mi sentivo un po' orfana di Adamsberg e di Charitos, personaggi che risentono della stanchezza e della decrescente vena dei loro autori.
A questa prima lettura invece Xiaolong mi è parso un autore promettente e i suoi libri un filone ricchissimo tutto da esplorare. La bellezza e l'interesse di questi romanzi sta anche e soprattutto - come in altri gialli particolarmente riusciti - nella capacità di utilizzare le storie per raccontare anche un luogo, in questo caso Shanghai, una città in rapidissima e profonda trasformazione (che tra l'altro ho anche visitato), e un'intera società, quella cinese, con tutte le specificità che derivano dalla sua cultura e dalla sua storia.
Nello specifico, in questo romanzo, Di seta e di sangue, l'ispettore capo Chen deve fare i conti con un serial killer, il primo nella storia della Cina, che uccide giovani ragazze lasciandone poi i corpi in punti significativi e frequentati della città. Questi corpi - per il resto completamente nudi - sono vestiti di un qipao rosso (un tipico abito mandarino abbandonato nel periodo della rivoluzione culturale) in parte strappato sui fianchi.
Chen, che sembra disinteressarsi del caso per completare una tesina sull'amore romantico in Cina per il suo corso di letteratura, ben presto e seguendo percorsi piuttosto originali dipana la matassa che permette di comprendere la verità su questo caso e che ha a che fare con la frattura insanabile rappresentata in Cina dalla Rivoluzione Culturale voluta da Mao Zedong.
Xiaolong non manca inoltre di mostrarci le contraddizioni della Cina contemporanea protagonista di un'ascesa economica vertiginosa e di una svolta capitalistica in buona parte nutrita di corruzione e disuguaglianze sociali; nello stesso tempo l'autore ci permette di immergerci nella cultura tradizionale cinese, citando classici della letteratura e della religione, nonché introducendoci alle meraviglie (a volte terrificanti per noi occidentali) della cucina cinese.
Un viaggio affascinante che non vedo l'ora di ripetere al più presto.
Voto: 4/5
venerdì 28 settembre 2018
martedì 25 settembre 2018
Sun June. Unplugged in Monti, Black Market, 18 settembre 2018
E ricomincia anche la stagione dei concerti nella piccola saletta del Black Market, organizzati dai ragazzi di Unplugged in Monti. Quando annunciano i Sun June, come spesso mi accade con le loro proposte, il nome del gruppo non mi dice assolutamente niente e, come sempre faccio in questi casi, ascolto un paio di canzoni su YouTube per capire se possa essere il mio genere.
In questo caso ho capito subito che il sound dei Sun June è nelle mie corde e dunque, insieme a F., ci siamo immediatamente prenotate per il concerto, oltre a comprare e condividere l'ascolto dell'album Years, che è l'album di esordio del gruppo.
Al Black Market i Sun June non sono in formazione completa (sarebbero in cinque), ma i pezzi forti ci sono, ossia la cantante Laura Colwell e il chitarrista Stephen Salisbury. Oltre a loro c'è anche un altro bravo chitarrista, il cui apporto alla serata è molto significativo.
Si capisce che i Sun June, rappresentati nella loro interazione con il pubblico da Laura Colwell, sono ancora agli esordi, in quanto mostrano quella timidezza e quasi imbarazzo, misto forse a paura e nervosismo per essere su un palco, di chi non ha alle spalle anni di concerti.
Per tutta la durata del concerto Laura Colwell - con il suo volto acqua e sapone e gli occhi grandi - sembra quasi scusarsi con il pubblico per qualunque cosa, ma in realtà la sua voce appare cristallina e perfetta in tutte le canzoni del loro piccolo repertorio. Indubbiamente gli arrangiamenti, fatti con qualche base di ritmo registrato e le due chitarre più una piccola tastiera, non possono competere con gli arrangiamenti del gruppo al completo e rendono le canzoni un pochino diverse da quelle ascoltate sull'album. Resta però il fascino di un sound discreto, lo-fi, e delle atmosfere casalinghe e sognanti che questi ragazzi di Austin ci trasmettono.
A un certo punto Laura dice qualcosa a proposito di Terrence Malick e del fatto che lui in America non è molto famoso, e sinceramente non capisco perché. Poi leggo su Internet che al lancio della band è stato detto che i due componenti principali lavoravano insieme nella sala montaggio del regista, e che lì sono cominciate le loro sperimentazioni musicali.
La serata scivola via leggera e affettuosa, e il pubblico risponde con silenzio e attenzione alle melodie dei Sun June. Al termine del concerto l'applauso sembrerebbe richiedere l'esecuzione di qualche altro brano, e Laura Colwell parrebbe anche propensa ad accontentarci, ma dopo un breve conciliabolo con il chitarrista capiamo che purtroppo dovremo fare a meno del bis.
Del resto questi ragazzi al loro primo album - e adesso impegnati a scrivere altre canzoni per future incisioni - ci hanno offerto un saggio ampio della loro musica e non si sono minimamente risparmiati.
Potrebbe essere un gruppo di cui sentiremo parlare.
Voto: 3,5/5
In questo caso ho capito subito che il sound dei Sun June è nelle mie corde e dunque, insieme a F., ci siamo immediatamente prenotate per il concerto, oltre a comprare e condividere l'ascolto dell'album Years, che è l'album di esordio del gruppo.
Al Black Market i Sun June non sono in formazione completa (sarebbero in cinque), ma i pezzi forti ci sono, ossia la cantante Laura Colwell e il chitarrista Stephen Salisbury. Oltre a loro c'è anche un altro bravo chitarrista, il cui apporto alla serata è molto significativo.
Si capisce che i Sun June, rappresentati nella loro interazione con il pubblico da Laura Colwell, sono ancora agli esordi, in quanto mostrano quella timidezza e quasi imbarazzo, misto forse a paura e nervosismo per essere su un palco, di chi non ha alle spalle anni di concerti.
Per tutta la durata del concerto Laura Colwell - con il suo volto acqua e sapone e gli occhi grandi - sembra quasi scusarsi con il pubblico per qualunque cosa, ma in realtà la sua voce appare cristallina e perfetta in tutte le canzoni del loro piccolo repertorio. Indubbiamente gli arrangiamenti, fatti con qualche base di ritmo registrato e le due chitarre più una piccola tastiera, non possono competere con gli arrangiamenti del gruppo al completo e rendono le canzoni un pochino diverse da quelle ascoltate sull'album. Resta però il fascino di un sound discreto, lo-fi, e delle atmosfere casalinghe e sognanti che questi ragazzi di Austin ci trasmettono.
A un certo punto Laura dice qualcosa a proposito di Terrence Malick e del fatto che lui in America non è molto famoso, e sinceramente non capisco perché. Poi leggo su Internet che al lancio della band è stato detto che i due componenti principali lavoravano insieme nella sala montaggio del regista, e che lì sono cominciate le loro sperimentazioni musicali.
La serata scivola via leggera e affettuosa, e il pubblico risponde con silenzio e attenzione alle melodie dei Sun June. Al termine del concerto l'applauso sembrerebbe richiedere l'esecuzione di qualche altro brano, e Laura Colwell parrebbe anche propensa ad accontentarci, ma dopo un breve conciliabolo con il chitarrista capiamo che purtroppo dovremo fare a meno del bis.
Del resto questi ragazzi al loro primo album - e adesso impegnati a scrivere altre canzoni per future incisioni - ci hanno offerto un saggio ampio della loro musica e non si sono minimamente risparmiati.
Potrebbe essere un gruppo di cui sentiremo parlare.
Voto: 3,5/5
venerdì 21 settembre 2018
Silverwood lake / Simona Binni
Silverwood lake / Simona Binni. Latina: Tunué, 2016.
Il graphic novel di Simona Binni - che al Festival del fumetto di Roma mi ha fatto il regalo di un disegno e di una dedica - racconta la storia di Diego, un giovane che deve fare i conti con il rapporto con il padre, che anni prima ha abbandonato la famiglia e ora è ricomparso anziano e bisognoso di aiuto.
In difficoltà nel prendere una decisione, Diego viene mandato da un'amica a stare un periodo a Silverwood Lake, una specie di area camping dove sono accolti tutti coloro che non hanno più un posto nel mondo o che dal mondo vogliono allontanarsi. In questo luogo, che inizialmente gli sembra estraneo e ostile, Diego sarà rapidamente risucchiato nelle vite dei suoi abitanti. Questi incontri gli faranno capire innanzitutto che nessuna storia ci è veramente estranea, in secondo luogo che dietro le scelte apparentemente incomprensibili delle persone ci sono spesso storie difficili.
A poco a poco Diego farà pace con la scelta del padre, che tanto dolore gli ha procurato, e accetterà di riammetterlo nella sua vita.
Quella di Simona Binni è una storia delicata, da cui traspare un grande amore per l'umanità e le sue debolezze, nonché la necessità di superare qualunque giudizio sulle scelte delle persone.
Armoniosi anche i disegni e la scelta dei colori tutti virati sui toni che vanno dal marrone al viola.
Un piccolo lavoro che si fa apprezzare nella sua semplicità.
Voto: 3/5
Il graphic novel di Simona Binni - che al Festival del fumetto di Roma mi ha fatto il regalo di un disegno e di una dedica - racconta la storia di Diego, un giovane che deve fare i conti con il rapporto con il padre, che anni prima ha abbandonato la famiglia e ora è ricomparso anziano e bisognoso di aiuto.
In difficoltà nel prendere una decisione, Diego viene mandato da un'amica a stare un periodo a Silverwood Lake, una specie di area camping dove sono accolti tutti coloro che non hanno più un posto nel mondo o che dal mondo vogliono allontanarsi. In questo luogo, che inizialmente gli sembra estraneo e ostile, Diego sarà rapidamente risucchiato nelle vite dei suoi abitanti. Questi incontri gli faranno capire innanzitutto che nessuna storia ci è veramente estranea, in secondo luogo che dietro le scelte apparentemente incomprensibili delle persone ci sono spesso storie difficili.
A poco a poco Diego farà pace con la scelta del padre, che tanto dolore gli ha procurato, e accetterà di riammetterlo nella sua vita.
Quella di Simona Binni è una storia delicata, da cui traspare un grande amore per l'umanità e le sue debolezze, nonché la necessità di superare qualunque giudizio sulle scelte delle persone.
Armoniosi anche i disegni e la scelta dei colori tutti virati sui toni che vanno dal marrone al viola.
Un piccolo lavoro che si fa apprezzare nella sua semplicità.
Voto: 3/5
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