Siamo a Las Vegas. Shelly Gardner (Pamela Anderson) va ormai verso i sessanta, e da circa quarant’anni si esibisce come ballerina per Le Razzle Dazzle, uno spettacolo ispirato a quelli tutti strass e piume dei locali di rivista come il Lido di Parigi.
Shelly, che non ha mai completamente dismesso il suo approccio adolescenziale alla vita, ha sacrificato tutto per Le Razzle Dazzle, persino la possibilità di coltivare un rapporto con sua figlia Hannah (Billie Lourd) che ha avuto molto giovane e ha affidato a una famiglia di Tucson.
Purtroppo però Le Razzle Dazzle ha sempre meno seguito e il manager Eddie (Dave Bautista) comunica a Shelly e alle altre ballerine che lo spettacolo sta per essere chiuso e sarà sostituito da uno spettacolo circense.
Il mondo di Shelly è dunque destinato ad andare in frantumi e la donna non solo deve prendere atto del tempo che passa e del corpo che invecchia, ma deve anche fare i conti con le scelte che ha fatto e le inevitabili conseguenze.
Il personaggio di Shelly, nella sua apparente leggerezza e/o superficialità, si rivela presto un personaggio dolente, una donna che – come l’amica Annette (una cringissima Jamie Lee Curtis) – avendo costruito la propria vita e la propria carriera sulla giovinezza e la bellezza si ritrovano a un certo punto espulse dallo showbiz e con un pugno di mosche in mano, disperate, e senza una prospettiva né economica né affettiva.
Come mi piace dire ultimamente, il cinema ha ricominciato (o cominciato) a interessarsi sempre di più dell’età che avanza, in particolare in riferimento alle donne, sulle quali l’aspettativa sociale di continuare a risultare giovani e belle è sempre più pressante. Da questo punto di vista, il film si ricollega idealmente, fatte le dovute differenze, a The substance, e per altri aspetti a The wrestler di Aronofsky (che però non ho visto).
La Shelly di Pamela Anderson è un personaggio sfaccettato e contraddittorio: un po’ bambina nell’incapacità di assumersi le proprie responsabilità e di accettare di essere un punto di riferimento emotivo per altre persone, ma anche a suo modo a tratti generosa, con una dedizione e una passione per quello che fa sincere, sebbene ingenue, ma anche incapace di rinunciare all’adrenalina e al ritorno emotivo dei riflettori e di pensare razionalmente al proprio futuro.
La decadenza di una persona si specchia nella decadenza di una città e in fondo di un’epoca, gli anni Ottanta, che proprio nella città di Las Vegas hanno forse trovato la loro massima rappresentazione.
Ma la parabola di Shelly va oltre il declino di una forma di intrattenimento o il superamento di un momento storico, e si fa tema universale e che nella sua essenza riguarda le vite di tutti noi. È esperienza comune quella di investire le proprie energie giovanili in una prospettiva professionale a cui affidiamo il senso di tutta la nostra esistenza, spesso lasciando per strada altre cose, salvo poi accorgerci che la nostra identità non può dipendere da una sola dimensione e che sta a noi e alla nostra crescita personale imparare ad accettare i cambiamenti della vita e reinventarsi, anche accettando l’idea che il trascorrere del tempo ci spinge lontano dalla ribalta, verso la platea o addirittura dietro le quinte. Ma che anche in queste posizioni ben più defilate si può ancora vivere bene, ed avere un’esistenza piena.
Shelly – e Annette – ci muovono a compassione, la loro disperazione ci scuote, ma al contempo costringe a farci i conti. Che una giovane regista (Gia Coppola ha meno di 40 anni) sia stata in grado di proporre uno sguardo così delicato e profondo (e non scontato) sul passare del tempo è al contempo sorprendente ed encomiabile.
Voto: 3,5/5
lunedì 19 maggio 2025
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