lunedì 24 febbraio 2025

The substance

Il film di Coralie Fargeat da quando è uscito mi ha alternativamente attirato e respinto in ugual misura. Arrivati a febbraio avevo quasi messo una pietra sopra alla possibilità di vedere il film al cinema (che per me significa alla fine rinunciare totalmente a vedere il film). E invece – grazie al Cinema delle provincie – riesco non solo a vedere The substance sul grande schermo ma persino in lingua originale sottotitolata.

The substance vede protagonista Elizabeth Sparkle (Demi Moore), una star che ha avuto molto successo in gioventù e continua a condurre un programma di fitness in televisione a 50 anni. L’emittente televisiva attraverso la figura del produttore Harvey, interpretato da un insopportabile Dennis Quaid (primo di una serie di uomini rappresentati come degli imbecilli) decide però che è arrivato il momento di mettere in cantina Elizabeth per lasciare spazio a una ragazza giovane, una starlette emergente.

Elizabeth non riesce ad accettare la fine della sua popolarità, che vive anche come la conferma della fine della sua gioventù, e non è a suo agio con un corpo che inevitabilmente sta invecchiando.

Quando, dopo un incidente in macchina, si trova di fronte alla possibilità di utilizzare un metodo che le permetterà di “dare vita” a un’altra sé più giovane, decide di coglierla e da questa operazione “nasce” Sue (Margaret Qualley), giovane, bella e dal fisico perfetto, che immediatamente viene scritturata dalla medesima emittente che ha licenziato Elizabeth.

L’utilizzo di questa sostanza prevede che le due donne si alternino ogni 7 giorni, attraverso un processo che consente a Elizabeth di continuare ad alimentare la vita di Sue. Ben presto però Sue comincia a contraddire questa regola e a forzare le condizioni producendo una serie di conseguenze inaspettate, tragiche e grottesche al contempo.

Il tema è interessantissimo e assolutamente di attualità, pur essendo al contempo esistenziale: il rapporto di una donna – soprattutto una donna di spettacolo – con il passare degli anni e la prospettiva della perdita della bellezza e della perfezione del proprio corpo, rapporto non banale di per sé stesso, ma esacerbato da una società che ha fatto della bellezza e della performance dei valori assoluti. Lo sguardo degli uomini è presente in maniera significativa nel film, e certamente è alla base del fatto che Elizabeth non accetti di non essere più giovane e bella, ma per Fargeat sono le donne stesse ad alimentare in qualche modo questo circolo vizioso.

Cosa siamo dunque disposte ad accettare per avere una seconda chance di giovinezza, anche quando questa giovinezza ci toglie quello che potremmo ancora avere in età matura?

E dentro questa domanda ce ne sono molte altre, a partire dal rapporto tra le generazioni e tra i generi fino ad arrivare al cambiamento della televisione e dell’aspettativa collettiva che nel tempo ha esacerbato l’attenzione verso il corpo e l’ostentazione della sua perfezione.

A partire da tutte queste premesse di grandissimo interesse la Fargeat costruisce un film esagerato, nel quale tutto è decisamente sopra le righe, dalla narrazione alle immagini, calcando la mano sul raccapriccio e l’orrore dello spettatore fino a uno splatter che evolve nel trash, e infine nel ridicolo.

Nell’ultima mezz’ora del film – dal mio punto di vista quasi totalmente inutile a livello narrativo e di contenuti – non si può fare a meno di ridere, e - se già la nausea ci aveva accompagnato durante tutta la visione - in quest’ultima parte sembra che la regista si accanisca sul povero spettatore per spingerlo al quasi conato di vomito. E lo dico io che ho passato parte del film coprendomi gli occhi. Ma - si sa - io sono particolarmente sensibile a queste cose.

Voto: 3/5


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