venerdì 14 febbraio 2025

Marta Del Grandi (+ Adult matters). Monk, 1 febbraio 2025

Di Marta Del Grandi ho sentito parlare la prima volta in occasione di un concerto al Monk tenutosi di mattina a cui il mio amico E. mi aveva caldamente suggerito di partecipare.

In quella circostanza non ce l’avevo fatta, e tra l’altra al primo ascolto il disco Selva, l’ultimo della cantante, non mi aveva colpito particolarmente.

A questo giro però – anche approfittando dell’iniziativa dei concerti che si tengono presto (alle 19) – decido di non lasciarmi sfuggire l’occasione di vedere se questa compositrice, musicista e cantante è così brava come dice il mio amico e come leggo dappertutto.

Quando arriviamo al Monk è tutto chiuso, ma il tempo di bere un bicchiere di birra e le porte della sala concerti si aprono. Io mi sistemo, come sempre, in prima fila con la mia macchina fotografica.

L’opening è affidato al progetto musicale del viterbese Luigi Bussotti che si chiama Adult matters: il giovane musicista è emozionatissimo, ma il pubblico lo accoglie con grande attenzione e calore, e le canzoni che ci suona e canta con la sua chitarra – seppure ancora un po’ acerbe – dimostrano qualità e determinazione, quelle che certamente gli hanno consentito di essere prossimo alla pubblicazione del suo primo album.

Dopo una breve pausa, ecco arrivare sul palco la star della serata, Marta Del Grandi, nata ad Abbiategrasso (in provincia di Milano), vissuta a lungo all’estero e ora tornata a Milano.

Ha all’attimo due album, Until we fossilize e Selva: in entrambi i casi la maggior parte delle canzoni sono in inglese, sebbene la canzone che dà il titolo all’ultimo album (che comunque risale a due anni fa) sia in italiano, e lei stessa proponendocela sul palco ci dice che è quella della svolta in italiano e che doveva andare a Sanremo.

Accanto a lei sul palco Vito Gatto (violino, tastiere e synth) e Alessandro Cau (batteria), mentre dietro le quinte opera Matthew Fortunati (il fonico che è anche addetto al basso virtuale).

Appena comincia a cantare la sala del Monk si impregna di musica e si ha nettamente la sensazione di trovarsi di fronte a una musicista che è nata per stare su un palco a cantare e suonare.

La sua presenza scenica è composta ma molto caratterizzata, e il suo modo di cantare (e suonare) è pieno e maturo, con sonorità che – al di là della lingua in cui canta – riportano a mondi musicali internazionali, pur non dimenticando le sonorità italiane. Il fatto che Marta Del Grandi citi Fiona Apple e Big Thief tra i suoi riferimenti sinceramente non mi stupisce, ma anche chi ci ritrova delle sonorità alla Daniela Pes direi che non sbaglia.

E però alla fine la musica di Marta Del Grandi è tutta e solo sua, negli arrangiamenti, nei testi, nelle sonorità, ed è – non c’è dubbio – grande musica, che merita di essere scoperta da un pubblico ben più ampio.

Durante il concerto, la musicista milanese ci offre anche i duetti con due amiche cantanti romane, Vera Di Lecce e Valentina Polinori, che chiama sul palco, e con cui esegue non solo canzoni proprie, ma anche loro canzoni, conferendo a esse la forza della sua maturità musicale.

La setlist vede canzoni dell’album Selva mescolate ad altre del primo album Until we fossilize, e si conclude con l’esecuzione di Lullaby Firefly (canzone che come ci dice raramente esegue ai concerti) e poi della cover di Hotel Supramonte di Fabrizio De Andrè.

Dopo il ritorno sul palco e un’ultima canzone, Marta Del Grandi e i suoi musicisti ci salutano ancora e usciamo nella serata invernale romana che è ancora tutta davanti a noi.

Voto: 4/5

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