lunedì 10 febbraio 2025

A complete unknown

Quello che sto per scrivere immagino che farà strabuzzare gli occhi a molti. Di Bob Dylan non so praticamente nulla: ovviamente so che è un’icona della musica e non solo, ma conosco solo pochissime canzoni e non ho mai approfondito la sua storia individuale.

Cosicché arrivo al cinema – al termine di una giornata faticosissima in cui il mio unico desiderio è stare al buio e non sentire parlare altri se non gli attori sullo schermo – in una condizione di totale verginità rispetto a quello che sto per vedere.

Scopro così solo durante la visione che il film di James Mangold è tratto dal libro di Elijah Wald Dylan goes electric! del 2015, che approfondisce la prima fase della carriera di Bob Dylan, quella che va dal 1961 al 1965, fino alla cosiddetta “svolta elettrica”.

Siamo in un’America in grande fermento: Bob (Timothée Chalamet) arriva diciannovenne a New York con la sua chitarra per incontrare il suo mito, Woody Guthrie, che è semiparalizzato in ospedale, e per suonare le canzoni che scrive. Nel suo incontro con Guthrie conosce anche Pete Seeger (Edward Norton), e Woody e Pete riconosceranno in questo giovane misterioso un grande talento compositivo e musicale. Seeger diventerà anche suo mentore e padre putativo musicale, e lo accompagnerà durante i suoi primi passi nell’ambiente musicale newyorkese.

Scritturato dalla Columbia Records e inizialmente all’ombra di Joan Baez (Monica Barbaro), all’epoca già famosa, ben presto Dylan conquista non soltanto la scena newyorkese, all’interno della quale diventa il cantore e il paladino dei diritti civili, ma raggiunge un successo che va ben oltre i confini americani.

Mentre fa i conti con questo successo di cui mal sopporta gli effetti collaterali, la sua vita sentimentale oscilla tra Sylvie (Elle Fanning) e Joan, e la sua inquietudine lo rende sempre più insofferente nei confronti delle classificazioni in cui il mondo musicale e la società vorrebbero ingabbiarlo.

Da qui il passo che lo porterà a rinnegare il folk impegnato che lo ha reso famoso e appunto la “svolta elettrica” che lo condurrà su territori musicali nuovi sia sul piano delle sonorità che su quello dei testi.

La famosa (per chi conosce Dylan) partecipazione al Newport Folk Festival è il momento della rottura definitiva con la scena folk e l’inizio di questa nuova fase, di fronte a un pubblico spaccato a metà.

Non potendo fare nessun tipo di esegesi del film rispetto alla vicenda e alla musica dylaniana, mi limiterò a considerazioni che riguardano solo l’aspetto cinematografico.

Il film si regge in buona parte sulla performance attoriale e musicale (il che è molto meno scontato) di Timothée Chalamet che fa un grande lavoro a livello fisico e vocale per uscire da sé stesso e farsi dimenticare dal pubblico a vantaggio del personaggio che interpreta. Molto brava – soprattutto a livello musicale – Monica Barbaro nei panni di Joan Baez, e se la cava più che bene anche Edward Norton.

Mi è anche piaciuta la scelta di scegliere e utilizzare le canzoni di Dylan come parte integrante della narrazione per far progredire la storia raccontata, che fa del film un biopic anomalo, quasi un musical senza coreografie.

Se devo invece soffermarmi su quello che mi è arrivato del film, personalmente me lo sono goduto nella massima libertà come la storia di un giovanissimo talento irrequieto, il cui rapporto con la musica è talmente totalizzante che lo porta a voler esplorare continuamente nuovi mondi musicali e a sfuggire non solo a quello che gli altri vogliono da lui, ma persino a sé stesso. La stessa irrequietezza è probabilmente quella che lo porta a non trovare una vera stabilità sentimentale, presto stufo della vita con Sylvie, ma insofferente anche nei confronti della personalità di Joan. Se poi sia la realtà storica o meno a me importa poco.

Dal mio punto di vista un ottimo godimento cinematografico e musicale.

Voto: 3,5/5


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