Xavier Racine (Fabrice Luchini) è il Presidente della Corte d'Assise di Saint-Omer, separato da poco, con un'esistenza grigia (ad eccezione della sciarpa rossa che porta sempre al collo) e abitudini immodificabili, ligio al dovere e alle regole, ma poco incline ai rapporti umani. È noto nell'ambiente giudiziario come "il giudice a due cifre" perché gli imputati non escono mai con meno di 10 anni di condanna dai processi che lui presiede.
In questo caso Racine è chiamato a presiedere il giudizio contro un padre che si presume abbia ucciso la figlia di sette mesi colpendola con i suoi anfibi. Sembrerebbe un caso come un altro, di quelli che - come dice Racine a un certo punto - mettono in evidenza come la giustizia non ambisca a scoprire la verità (perché la verità la sanno solo i genitori che erano presenti alla morte della bambina), ma a far applicare le leggi. L'elemento che spariglia le carte è però la presenza tra i giurati di Ditte Lorensen-Coteret (Sidse Babett Knudsen), l'anestesista che qualche tempo prima si è presa cura di Xavier quando questi era ricoverato in seguito a un incidente.
Ditte è una donna molto bella, e soprattutto è l'opposto di Xavier: sorridente, luminosa, empatica, incline alla relazione con gli altri. Xavier ne è affascinato fin dall'incontro in ospedale, e l'irrompere di Ditte nella fredda aula del tribunale apre una crepa nella prevedibilità e ripetitività dei suoi comportamenti. Una specie di scongelamento che a poco a poco increspa l'apparenza irreprensibile del giudice, in qualche modo anticipata da quella caduta accidentale (causata dall'influenza) che gli sporca il cappotto. E quel sorriso che compare sul volto di Racine alla fine del film è la pennellata perfetta che completa il bozzetto di quest'uomo.
La corte è un film che racconta un solo uomo, il giudice Racine appunto, ma lo fa attraverso gli innumerevoli volti delle persone che popolano l'aula del tribunale: i giurati popolari, gli imputati e i testimoni, che portano ciascuno la propria espressività e specificità, magistralmente trasformata in disegni e acquerelli da un uomo seduto nel pubblico.
In fondo quello di Christian Vincent è un film di ritratti, non ritratti fatti di dettagli, bensì schizzi che colgono l'aspetto caratterizzante di ognuno, senza nessuna presunzione di una conoscenza approfondita. Su tutti il ritratto di Racine, certamente quello più articolato e complesso, ma anch'esso pur sempre uno schizzo che lascia molti interrogativi e dubbi. D'altronde, esattamente come nell'aula di tribunale che Racine presiede, così come al cinema e forse finanche nella vita quando incrociamo per un tempo breve un'altra persona senza poterne approfondire davvero la conoscenza, non ha senso ambire alla verità, bensì dobbiamo sforzarci di cogliere il significato a volte lieve, ma non per questo meno denso di conseguenze, degli incontri, anche di quelli più fuggevoli.
Un film piccolo, sommesso, sottovoce, un acquerello delicato e pieno di sfumature, che non pretende di insegnarci niente, bensì solo di farci apprezzare l'irriducibilità della complessità che ciascuno di noi rappresenta.
Voto: 3,5/5
martedì 19 aprile 2016
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L'attrice ha interpretato Borgen, Il potere, una serie televisiva che ha avuto molto successo anche in Italia: ricordavo bene ... per una volta! :)
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