È proprio lei: quella Elena, la donna più bella del mondo, contesa tra Menelao, suo marito, e Paride, causa della guerra di Troia cantata da Omero, donna consegnata al mito da numerosi poeti e letterati.
Però - mentre in sottofondo si sentono le sue parole - da dietro una tenda compare una donna avanti negli anni, con un vestito sdrucito, i capelli scompigliati, l'aria sfatta, la sigaretta in una mano e il bicchiere di whisky nell'altra.
Una specie di diva da cafè chantant ormai decaduta. Sola nella sua casa, circondata soltanto dalle sue dispettose ancelle, Elena parla a un interlocutore invisibile, forse lo spirito di un suo vecchio amante.
Il suo eloquio è denso, potente, nutrito dell'epicità che appartiene alla sua vita. Ma la forma di questo eloquio confligge con una realtà in cui dei fasti del passato non è rimasto quasi nulla.
Questa donna assurta a mito si confronta con il tempo che passa e che livella tutto, con la morte che cancella grandezze e miserie, e così non importa che tu sia stata una delle donne più belle del mondo, cantata da tutti i poeti, ti ritrovi comunque vecchia, dolente, sola e circondata dai fantasmi del passato.
Elena va così struggentemente alla ricerca - come dice Elisabetta Pozzi in una bella intervista su questo spettacolo - di quello che rimane, e forse ciò che rimane sono piccole cose, dettagli insignificanti, cose che niente hanno a che fare con la bellezza, la gloria, le imprese.
Quella di Ghiannis Ritsos, poeta greco che - colpevolmente e come sempre a causa della mia ignoranza - non conoscevo, è una riflessione sulla caducità di tutte le cose, sull'essenza di quello che siamo e sul senso delle nostre vite che, per quanto grandiose, sono piccole e insignificanti di fronte all'eternità.
Eppure questa donna ne viene comunque fuori in tutta la sua grandezza dando un senso anche alla decadenza. E alla sua grandezza contribuisce l'interpretazione - come sempre immensa, piena di sfumature, di colori, di variazioni - di Elisabetta Pozzi, un'attrice che ho ammirato più volte e ogni volta mi sorprende per la sua semplicità e al contempo straordinarietà.
Bello l'allestimento del regista Andrea Chiodi, che - anche grazie alle musiche di Daniele D'Angelo - contribuisce a creare uno strano senso di spaesamento tra un'ambientazione "moderna" e un testo "antico", che però si fondono magicamente nella persona e nella voce di Elisabetta Pozzi.
Allo spettacolo fa seguito la proiezione del corto del regista mantovano Claudio Pelizzer, Isabella, dedicato all'incontro - storicamente non confermato - tra Isabella d'Este (la stessa e sempre intensa Elisabetta Pozzi), la marchesa di Mantova, ma soprattutto donna di cultura e mecenate di primo piano del Rinascimento italiano, e Isabella Boschetti, amante del figlio di Isabella e futuro duca di Mantova, Federico II Gonzaga.
Anche qui in qualche modo si parla di una donna che vede finire il suo tempo e che è costretta a cedere il passo a un futuro cui vorrebbe consegnare i valori per cui ha vissuto, primo fra tutti la bellezza, ma rispetto al quale sa di non avere nessuna possibilità effettiva di controllo.
Un intenso ritratto di un momento cruciale della vita di questa donna, che assurge a simbolo di un mondo e acquista caratteri di universalità.
Voto: 4/5
venerdì 9 marzo 2018
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento
Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!