giovedì 24 maggio 2018

Mektoub, My Love - Canto Uno

Abdellatif Kechiche ci ha ormai abituati a film che durano non meno di due ore e mezzo. Anzi, col passare degli anni, sembra che la sua poetica abbia bisogno di sempre più tempo per osservare e far emergere i contenuti direttamente dall'osservazione.

Con il suo ultimo lavoro cinematografico, ispirato al romanzo La Blessure la vraie di François Bégaudeau (sempre da questo autore era tratta anche la sceneggiatura del film La classe di Laurent Cantet), Kechiche non riesce a stare nella durata di un solo film e progetta un'opera in più parti (inizialmente si diceva una trilogia, ora pare invece che i film previsti siano due).

Mektoub, My Love - Canto Uno racconta un'estate del 1994 a Sète, un piccolo paese di pescatori sulla costa mediterranea della Francia. Qui torna Amin (Shain Boumedine), che ha interrotto gli studi di medicina per dedicarsi alle sue vere passioni, la sceneggiatura e la fotografia. E infatti quello che Amin fa in questa estate è osservare e rielaborare, senza partecipare veramente.

In questi paesaggi bruciati dal sole i personaggi sono spesso ripresi in controluce con abbondante uso di lens flare, che - come ha detto qualcuno - fa parecchio effetto "pubblicità del cornetto Algida". A me il film in generale ha fatto un po' effetto Sapore di mare in salsa francese e anni Novanta e con un approccio che vuol essere più intellettualistico. L'omaggio ad Aldo Maccione richiama inoltre la figura del seduttore italico tipica di tutto un genere cinematografico italiano degli anni Settanta.

Amin si fa spettatore - fin dall'attacco del film (dove si trova a spiare un amplesso) - della girandola di incontri, relazioni, passioni che vedono protagonisti in particolare la sua più cara amica, Ophélie (da cui parrebbe attratto o addirittura innamorato ma senza speranza), suo cugino Tony, un seduttore seriale che ha una storia apparentemente segreta con la stessa Ophélie, la quale è a sua volta fidanzata con Clément che è all'estero in missione militare, Charlotte e Céline, due ragazze di Nizza in vacanza a Sète, alla ricerca di divertimento e forse anche dell'amore. Intorno a questi personaggi molti altri animano quest'estate assolata durante la quale Amin aspetta il proprio incontro con il Mektoub, il destino.

Il film si sviluppa per sequenze più o meno lunghe che si svolgono in parte in interni (in discoteca, nella fattoria della famiglia di Ophélie, nella casa di Amin, nel ristorante delle famiglie di Tony e Amin), in parte all'esterno, prevalentemente in spiaggia e in acqua. Qui si consumano seduzioni, amori estivi, chiacchiere da spiaggia, pettegolezzi, balli scatenati che coinvolgono in primis i giovani, i quali manifestano la tipica voracità giovanile in fatto di relazioni, ma anche i meno giovani, che spesso veicolano nostalgie per la spensieratezza giovanile, dimenticandone però le delusioni e le difficoltà.

In tutto ciò, Amin osserva quanto accade intorno a lui, forse incapace di cogliere le occasioni che gli si presentano, o ancora indeciso e irrisolto sui suoi effettivi desideri, al punto da svolgere più spesso il ruolo di amico e confidente che quello di amante.

Personalmente mi ha infastidito l'insistenza di Kechiche sui corpi femminili, e in particolari sui "culi" delle donne, perché l'ho trovato uno sguardo non solo molto maschile (e non potrebbe essere diversamente visto che il protagonista è un uomo e anzi - per l'esattezza - il suo sguardo), ma parecchio maschilista per il modo in cui le donne sono guardate e rappresentate, sebbene diverse tra loro - le stesse Ophélie, Charlotte e Celine - dimostrino nel corso del film di essere molto più di questo e di saper scegliere se e come stare al gioco.

È evidente che questo ultimo film di Kechiche è destinato a dividere pubblico e critica: in giro per il web c'è chi grida al capolavoro e chi non nasconde la delusione. Io non sono uscita del tutto convinta, pur riconoscendo la maestria del regista.

In particolare, mi pare che il cinema di Kechiche tenda a diventare nel tempo sempre più autoreferenziale fino ad avvitarsi su se stesso: in questo film si sprecano le citazioni (o quanto meno la ripetizione di stilemi tipici) dei suoi film precedenti, tra cui il modo in cui i protagonisti mangiano gli spaghetti al sugo, ovvero le danze scatenate che scuotono procaci corpi femminili, o ancora gli sguardi all'interno della comunità franco-tunisina.

A questo proposito nel film non c'è solo un racconto di formazione individuale, ma anche un punto di vista politico, quello con cui Kechiche guarda a una società francese che sta ancora al di qua della guerra di civiltà e che sembra non conoscere il conflitto etnico e religioso che ha assunto toni esasperati nella Francia degli ultimi anni. Qui i giovani e i meno giovani si identificano non per la loro origine etnica o culturale ma per i loro comportamenti.

Si esce con tanta voglia e nostalgia d'estate e di giovinezza. O forse anche no.

Voto: 3/5


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