Un po’ insperatamente riesco ad andare a vedere questo spettacolo teatrale che mi era stato caldamente suggerito da diverse parti. Come al solito, arrivo al Teatro Piccolo Eliseo senza sapere assolutamente nulla e convinta –nella mia infinita ignoranza – di assistere alla messa in scena di un testo scritto alla fine dell’Ottocento. Del resto, il nome antico dell’autore, Annibale Ruccello, e l’ambientazione della storia nel 1870 mi danno motivo per crederlo.
Invece quando sono lì e dopo che ho già assistito al primo atto, F. mi dice che Annibale Ruccello è un giovane drammaturgo napoletano morto a soli 30 anni in un incidente stradale nel 1986. A quel punto una visione che già consideravo interessante mi conquista definitivamente.
Ferdinando è una pièce teatrale in due atti che il talentuoso, ma sfortunato autore napoletano scrive nel 1985. Siamo – come dicevo – nel 1871, nella campagna napoletana, in una vecchia dimora dove vivono donna Clotilde, una nobildonna decaduta, petulante e pettegola, borbonica fin nel midollo, e Gesualda, una parente povera e di umili origini che le fa sostanzialmente da cameriera. Donna Clotilde è a letto, presuntamente malata, Gesualda la assiste, ma tra le due è uno scambio verbale al fulmicotone in napoletano stretto, l’unica lingua che donna Clotilde riconosce come tale. Tra le due donne si intromette di tanto in tanto don Catello, il parroco del luogo che Clotilde bistratta in tutti i modi e con cui Gesualda ha una tresca “amorosa”. Il primo atto – frizzante e divertente – si conclude con l’arrivo del giovane Ferdinando, il figlio di un parente alla lontana che è rimasto solo dopo la morte dei genitori.
Nel secondo atto in casa è tutto cambiato. Ferdinando ha mandato sottosopra tutti gli equilibri con la sua aria innocente e il suo fare mellifluo. Donna Clotilde non solo non sta più perennemente a letto, ma vive una rinnovata giovinezza, don Catello è affascinato dal giovane e tenta di sedurlo in ogni modo, Gesualda ha perso l’amore di don Catello, l’esclusività del rapporto con Clotilde e non può avvicinarsi a Ferdinando senza provocare le ire di Clotilde. Progressivamente gli animi si scaldano e i rapporti si incrinano, mentre a poco a poco si capisce che il comportamento di Ferdinando è tutt’altro che ingenuo e sincero.
A questo punto tutti i fili della trama giungono alla loro tragica conclusione: le gelosie incrociate dei protagonisti e il doppio gioco del giovane innescano una catena di avvenimenti e svelano infine l’inganno.
Dentro questa storia – dal sapore e dall’impianto antichi – si nasconde, secondo me, una interessante metafora del rapporto tra i tempi passati e quelli nuovi. Donna Clotilde è una fiera conservatrice, difende a spada tratta la bontà degli equilibri del regno borbonico, e nel dispotismo tirannico e malevolo che esercita sul mondo circostante svela le meschinerie proprie e altrui, e l’ingiustizia che caratterizza questo mondo. Il suo fastidio se non addirittura odio per il nuovo stato italiano e la nuova lingua appare l’ultimo tentativo di conservazione di un mondo che – forse per fortuna - non c’è più. Lo svelamento finale dimostrerà però che il “mondo nuovo” non solo non rappresenta il superamento delle ingiustizie e delle meschinità del passato, ma da quelle trae linfa per farsi ancora più avido e senza scrupoli, perdendo perfino l’ironia sagace di cui donna Clotilde si fa interprete.
Dunque, un’amara riflessione sul passare del tempo e il cambiare delle epoche la cui speranza di progresso è destinata a essere continuamente fiaccata dal riemergere dei tratti deteriori della natura umana, che dimenticano anche la ricchezza e l’eredità del passato.
Questo Annibale Ruccello si è rivelato una bellissima scoperta tutta da approfondire.
Interessante la regia di Nadia Baldi, brava Gea Martire nel ruolo di donna Clotilde, particolari alcune scelte recitative e interpretative forse intese a rappresentare la meccanicità – e con questo l’universalità - di certe dinamiche.
Peccato solo perché al teatro c’è sempre meno gente.
Voto: 4/5
mercoledì 8 novembre 2017
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