La storia / Elsa Morante; introduzione di Cesare Garboli. Torino: Einaudi, 1995.
Devo ammettere di essere parecchio intimorita rispetto alla possibilità di scrivere una recensione ad un romanzo che alla sua uscita ha suscitato un amplissimo dibattito cui hanno partecipato tutti i più importanti letterati del secondo Novecento italiano, nonché al cospetto di una scrittrice come Elsa Morante che a buon diritto appartiene ai grandi della nostra letteratura.
Dopo tante letture di autori contemporanei, grazie al regalo di V., mi ritrovo immersa in una scrittura antica che mi sorprende da numerosi punti di vista: innanzitutto sotto il profilo linguistico, visto che la lingua italiana utilizzata dalla Morante appare oggi per certi versi desueta e alcune costruzioni in lei ricorrenti oggi sarebbero considerati errori sintattici e/o grammaticali. Eppure tale scrittura – fors’anche per questo suo carattere antico – è parte integrante dell’atmosfera che la Morante riesce a creare nel suo libro.
In secondo luogo, mi ha colpito l’approccio narrativo, anche questo poco conforme ai canoni della scrittura contemporanea, in particolar modo per un gusto del racconto e della digressione non necessariamente funzionali all’evoluzione della vicenda raccontata. Per i lettori contemporanei abituati a narrazioni costruite come una sceneggiatura e totalmente focalizzate sullo sviluppo della storia, l’approccio della Morante può apparire faticoso, ma anche profondamente affascinante.
Interessante anche il ruolo del narratore, che si presenta come testimone diretto dei fatti, contemporaneo e coinvolto nelle vicende dei suoi protagonisti, capace di ricostruire e gettare luce su quei passaggi che sfuggono alla conoscenza dei singoli.
E infine arriviamo alla storia.
Qual è la storia evocata nel titolo da Elsa Morante? La grande storia delle nazioni coinvolte nella seconda guerra mondiale, quella delle vicende che cambiano i destini del mondo, indifferenti alle vicende dei singoli, ovvero la piccola storia di questo sfortunato nucleo familiare, formato da Ida Ramundo, maestra elementare di origini calabresi, Nino, figlio del marito di cui è rimasta vedova, giovane esuberante che è prima camicia nera, poi partigiano, poi contrabbandiere, Useppe, il piccolo “bastardo” che Ida ha concepito dopo essere stata violentata da un soldato tedesco, e due cani presenti in sequenza nella vita di questa famiglia?
Dove si svolge la storia che interessa alla Morante? Sullo scacchiere internazionale, nei grandi spazi del mondo dove si svolgono gli avvenimenti che cambieranno le sorti dell’umanità, ovvero nei quartieri di Roma dove vivono e si muovono i suoi personaggi, San Lorenzo, il Ghetto, Pietralata, Testaccio, Ostiense e San Paolo?
La risposta sta forse nelle proporzioni: la “grande storia” fa da introduzione ad ogni capitolo riassumendo in maniera sintetica gli avvenimenti che caratterizzano ciascuno degli anni raccontati nel libro, una specie di premessa immutabile e soverchiante, ma anche relativamente contenuta; la “piccola storia” della famiglia Ramundo, pur segnata da un destino infausto – come risulta evidente fin dalle prime pagine –, trabocca di vita e di pienezza non solo e non tanto per gli accadimenti quanto nell’immaginario, nei sogni di cui tutti questi personaggi sono ricchi.
Centrale la figura di Davide Segre, un anarchico mantovano che dopo essersi rifugiato nello stanzone di Pietralata con il nome di Piotr, si unisce ai partigiani con il nome di Carlo, per tornare ad essere semplicemente Davide a guerra finita e a fare i conti con i suoi fantasmi interiori e le conseguenze psicologiche terribili lasciate dalla guerra.
Il destino di tutti è segnato fin dalle prime pagine e la Morante non fa nulla per nascondercelo. Però La storia non è un romanzo triste né deprimente, anzi – e direi nonostante tutto – esso sprigiona gioia di vivere in ogni sua pagina, in particolare quelle che vedono protagonisti Ninnuzzu e Useppe, oppure Useppe e Bella. Useppe è la lente che ci permette di vedere un mondo desolato e devastato come un mondo pieno di amore e di sorprese, tutto da scoprire e da reinventare. Useppe è capace di trasformare la casetta di San Lorenzo, dove viene rinchiuso quando la madre va a scuola, in una scatola magica, dove ombre, luci e riflessi acquistano significati nuovi e suscitano stupore; sempre Useppe è in grado di concepire la condizione quasi animale in cui lui e sua madre vivono - con molte altre famiglie e persone - nello stanzone di Pietralata durante i bombardamenti in un’occasione per sviluppare affetti e sentimenti; ancora Useppe è capace di vivere le sue scorribande al Tevere insieme al cane Bella come avventure ricche di sorprese, di scoperte, di amici e di pirati.
Sembra quasi che per la Morante bambini e animali sono gli unici esseri viventi capaci di sollevare la realtà dal suo squallore e di conferire senso più alto a una quotidianità fortemente funestata dagli eventi cui la grande Storia la condanna.
Al netto del dibattito e delle critiche di carattere ideologico che lo hanno caratterizzato subito dopo la sua uscita, si tratta di un libro bellissimo per l’umanità che lo abita e la tenerezza che caratterizza ogni suo personaggio.
Siamo tutti piccoli e insignificanti di fronte ai meandri di una storia che sempre più va avanti nonostante l’umanità, e forse anche contro l’umanità.
Voto: 4/5
domenica 11 maggio 2014
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