House si chiama anche questo lavoro teatrale realizzato da Gitai in collaborazione con La Colline, théâtre national di Parigi, diretto dal libanese Wajdi Mouawad.
Lo spettacolo torna sul tema della casa in costruzione a Gerusalemme Ovest per ripercorrerne la storia attraverso le voci di chi ci ha abitato e/o interagito con i suoi abitanti, ed è significativo che le lingue in cui è recitato siano numerose, francese, arabo, inglese, ebraico, yiddish, tedesco.
Il racconto diventa dunque quasi un lavoro di scavo archeologico che passa non solo attraverso le testimonianze di palestinesi e israeliani, ma anche attraverso le fotografie d'epoca, alcuni brevi video e le musiche suonate e cantate dal vivo.
La casa di cui parla questo spettacolo diventa inevitabilmente simbolo e metafora di un intero paese dove nel tempo si sono succedute e sovrapposte storie diverse, e rispetto al quale popoli e gruppi religiosi diversi accampano diritti e a volte pretese.
In tempi come questi, House da un lato aiuta a conferire un volto umano e a ricondurre a vicende di persone singole quanto ascoltiamo e leggiamo sui mezzi di comunicazione (notizie che hanno spesso on un approccio disumano e disumanizzato), dall'altro sbatte in faccia allo spettatore la difficoltà di trovare una quadra rendendo plausibili e comprensibile umanamente le ragioni di tutti. Che è comunque qualcosa di importante.
Personalmente, di fronte a due ore e mezza di spettacolo, riempite sostanzialmente di una sequenza di monologhi intervallati da momenti musicali o "quasi coreografati", mentre sul palco ingombro di ponteggi gli operai vanno avanti a lavorare pietre e tirare su muri, faccio un po' fatica a dire che lo sforzo di restare attenti (soprattutto nella prima parte, piuttosto monocorde) valga la pena e ci regali qualcosa di veramente nuovo e aggiuntivo.
Sicuramente ci porta in una dimensione più umana del conflitto israelo-palestinese, ma - per quanto mi riguarda - continuo a capire solo in parte, mi sfuggono elementi conoscitivi, e forse mi manca la capacità reale di immedesimarmi in una situazione così particolare.
In definitiva, pur avendo apprezzato la recitazione di alcuni attori (c'è anche la famosa Irène Jacob, interprete per Kiekslowski, Antonioni e Wenders) e alcuni passaggi dello spettacolo (bellissimo l'intermezzo musicale in cui tutti gli attori con dei bastoni in mano cominciano a battere sui ponteggi a ritmi diversi creando una specie di arrangiamento/melodia), non posso dire di essere rimasta folgorata da questa esperienza.
Voto: 3/5
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