mercoledì 24 luglio 2024

All we imagine as light

Il film della regista indiana Payal Kapadia ha vinto a Cannes il Grand Prix Speciale della Giuria, il premio più importante dopo la Palma d'oro, e ne ho letto benissimo qua e là. Non me lo sono dunque lasciata sfuggire in questa anteprima proposta nell'ambito della rassegna Da Cannes a Roma.

Semplificando molto si può dire che il film è una storia di emancipazione femminile all'interno di una società caratterizzata da grandi disparità e rigidità sociali.

Al centro della storia tre donne: Prabha (Kani Kusruti), infermiera in un ospedale di Mumbai, Anu (Divya Prabha), apprendista infermeria nello stesso ospedale nonché coinquilina di Prabha, e infine Parvaty (Chaya Khadd), la cuoca dell'ospedale.

In realtà nel film esiste una quarta protagonista, che non è una persona bensì la città di Mumbai, una città enorme e ad altissima densità (oltre 12.000.000 di abitanti per una densità di oltre 31.000 abitanti al Km2, numeri che fanno impallidire persino noi che viviamo il caos quotidiano romano), caratterizzata da tantissime contraddizioni e grandi differenze interne, in cui convivono modernità e arretratezza, e dove converge un numero impressionante di persone da tutte le parti dell'India per lavorare, producendo una dinamica quotidiana che appare quasi insostenibile.

Che la città sia una protagonista centrale della narrazione ce lo dicono le prime immagini del film che ci mostra le strade di Mumbai, immerse in una luce prevalentemente notturna e virata al blu, e ci fa ascoltare, senza mostrarci i volti dei parlanti, varie storie di persone che in questa città ci sono andati a vivere e hanno dovuto farci i conti.

È in questo caleidoscopio in cui si concentrano le speranze e le paure di moltissime persone, dove le provenienze, le religioni, i dialetti si mescolano al punto tale che la gente fa fatica a capirsi, che si muovono le tre protagoniste. 

Prabha è una donna con una grande etica del lavoro, un marito che ha sposato per un matrimonio combinato e che, subito dopo il matrimonio, è emigrato in Germania e ha un collega dottore nello stesso ospedale che mostra un debole per lei: in questa situazione la donna non si concede nessun cedimento né mostra alcuna emozione, sebbene evidentemente soffra perché il marito non si fa sentire da più di un anno, cosicché di fronte all'arrivo inaspettato di una cuociriso ultramoderna fabbricata in Germania va in crisi.

Anu è più giovane, quasi una sorella minore per Prabha, studia per diventare infermiera e nel frattempo ha una storia con un giovane ragazzo musulmano, storia impossibile per una ragazza indu, tanto più che nel frattempo la madre le manda sul cellulare le foto di possibili ragazzi con cui combinare il matrimonio.

Parvaty vive in un appartamento che a suo tempo era stato assegnato al marito che lavorava in una fabbrica là vicino e che ora la multinazionale edilizia vuole sfrattare, costringendola a tornare nel suo paese di origine, nella regione del Konkan, sul mare.

Sarà proprio con il viaggio nel paese di origine di Parvaty - che quest'ultima farà insieme a Prabha e ad Anu e durante la permanenza in questo piccolo villaggio così distante da ogni punto di vista, non solo geografico, dalla metropoli tentacolare - che ciascuna delle tre donne - anche grazie alla solidarietà reciproca - sceglierà di dare una svolta alla propria esistenza per costruire forse un futuro nuovo.

Non mi sento di dire che questo film possa piacere a tutti: è un film indiano, e si sente forte una specificità narrativa che in parte sentiamo distante, anche solo per il fatto che il progresso della storia avviene lentamente e nel mezzo si aprono altri squarci e filoni che funzionano talvolta per sommatoria e sovrapposizione, producendo un effetto di sovraccarico quasi metaforico della città di Mumbai. E non a caso lo scioglimento e in un certo senso la semplificazione narrativa arriverà nel mondo semplice del paesino sul mare di Parvaty.

C'è tanto della società e della cultura indiana nel film della Kapadia, e questa distanza a volte si sente fortissima (e costituisce anche un fattore di interesse straordinario, almeno per me), però incredibilmente e allo stesso tempo, fin dall'attacco del film - con le storie di coloro che da varie province dell'India sono andati a vivere e a lavorare a Mumbai - e fatta la tara delle differenze culturali e sociali, a me sembra quasi di riconoscere qualcosa di familiare, temi che vanno al di là dell'India e in cui ci si può rispecchiare, arrivando a comprendere queste donne nonostante siano - nel loro abbigliamento, nel loro modo di muoversi, di parlare e anche di pensare - lontanissime da noi.

Bellissimo il personaggio di Prabha, una donna che rappresenta quella generazione di donne indiane che viene da un'India passata e fa fatica ad affrancarsene, e dirompente il personaggio di Anu, che rappresenta invece una generazione che mette in discussione lo status quo e vuole affermare sé stessa ed essere libera di scegliere.

Se si ha la pazienza di lasciarsi trasportare dalle atmosfere di As we imagine as light, il film della Kapadia si trasformerà in un vero e proprio viaggio emotivo e conoscitivo.

Voto: 4/5


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