Un gruppo di giovani de La Ciotat, una cittadina nel sud della Francia con un importante passato industriale testimoniato dai resti del grande cantiere navale, partecipa a un laboratorio estivo di scrittura creativa guidato da Olivia (Marina Foïs), una famosa scrittrice. I ragazzi – tutti francesi ma di diverse origini etniche – si confrontano sul soggetto del romanzo che dovranno scrivere e rispetto al quale hanno solo due vincoli: deve trattarsi di un thriller e deve essere ambientato nella loro città.
Di questo gruppo fa parte Antoine (Matthieu Lucci), un giovane introverso e un po’ scontroso, che crea qualche conflitto nel gruppo non facendo mistero delle sue idee razziste e del suo disinteresse per le lotte operaie che hanno caratterizzato il passato della città. La personalità complessa di questo ragazzo suscita l’interesse di Olivia, la quale sta scrivendo un romanzo e vede nella conoscenza di questo ragazzo l’occasione per approfondire la caratterizzazione del protagonista. A sua volta Antoine è attratto da questa donna e nello stesso tempo ha un atteggiamento fortemente oppositivo e aggressivo nei suoi confronti.
Mentre la scrittura collettiva del romanzo va avanti tra idee, interviste e proposte, il film segue Antoine nelle sue indolenti giornate estive, tra tuffi al mare, esercizi per gli addominali, videogiochi, serate con il cugino e gli amici di quest’ultimo che mostrano chiare simpatie per l’estrema destra e per gli slogan dei suoi leader.
L’avvicinamento quasi inevitabile tra Olivia e Antoine farà emergere le fragilità e le contraddizioni di entrambi in una escalation dagli esiti potenzialmente drammatici.
In questo ultimo film di Laurent Cantet ci sono molti temi, forse fin troppi: c’è la questione dei giovani e della loro identità, c’è il tema del conflitto etnico esacerbato dal terrorismo jihadista, c’è il rapporto con un passato che non si comprende e in cui non ci si riconosce più, c’è il tema della provincia e dei suoi orizzonti ristretti, c’è quello della noia e della ricerca di senso, c’è il rapporto tra scrittura e vita.
L’atelier, dunque, dà molto da pensare allo spettatore e sicuramente innesca confronti e riflessioni, il che è sempre un fatto positivo per un film. A me però non ha convinto molto la rappresentazione degli adolescenti che il film propone, in particolare in riferimento ad Antoine, che è il personaggio su cui la narrazione si concentra. Antoine mi è sembrato la rappresentazione stereotipata di un adolescente fatta da un adulto (un chiaro segnale di questo è il fatto che la sceneggiatura individua Facebook come la piattaforma su cui questi ragazzi mettono in mostra se stessi, mentre chiunque abbia a che fare con adolescenti e giovani oggi sa che essi snobbano Facebook, ormai considerata una cosa da “vecchi”).
In ogni caso, dico questo non perché la rappresentazione di Antoine non sia vera o non sia credibile, ma perché in qualche modo suggerisce allo spettatore l’esistenza di un rapporto di causa-effetto tra i modi di vivere oggi di questi adolescenti e alcune derive che li caratterizzano: uno su tutti, la connessione tra l’uso di videogiochi a tematica violenta e l’attrazione verso il machismo e la violenza nella vita reale.
Ovviamente non dico che non sia possibile e che non esista questo rischio, ma credo che le cause vadano cercate molto più in profondità perché gli strumenti che utilizziamo certamente condizionano i comportamenti – tanto più quelli di un adolescente – ma restano strumenti il cui esito e il cui uso dipende molto dal livello di maturità, dall’autonomia di pensiero, dallo spirito critico del singolo. Che poi è forse anche quello che Cantet vuole comunicarci, ossia che non è tanto un problema di social network ma di modelli cui questi giovani possano guardare per evitare il rischio dell'apatia.
Voto: 3/5
martedì 12 giugno 2018
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