Siamo a Baltimora negli anni Cinquanta, in pieno clima da guerra fredda e in una società americana in cui i diritti civili sono ancora lontani dall’essere riconosciuti, mentre domina un soffocante modello familiare amplificato dal mondo della pubblicità e alimentato dal consumismo ed emerge l’ideologia - altrettanto soffocante - dell’uomo di successo e del think positive.
In questo mondo rievocato con toni da amarcord e rappresentato con un accentuato gusto vintage (e non a caso senza effetti speciali), si innesta la favola di Elisa (Sally Hawkins), un’orfana muta che vive in un appartamento sopra una sala cinematografica ormai quasi deserta e lavora come donna delle pulizie in un laboratorio scientifico. Elisa ha per vicino e amico Giles (Richard Jenkins), un disegnatore e pittore gay che ha perso il lavoro e si è ritrovato improvvisamente vecchio, solo e frustrato, e Zelda (Octavia Spencer), un’afroamericana che fa anche lei le pulizie al laboratorio e casa i conti con un marito con cui comunica poco e male.
Un giorno al laboratorio viene portata una strana creatura, una specie di uomo-pesce, che gli scienziati vogliono utilizzare per ottenere un vantaggio competitivo nella corsa allo spazio rispetto ai russi. A capo di questo progetto è Richard Strickland (Michael Shannon), l’incarnazione – ma allo stesso tempo in un certo senso anche una vittima – della società americana di quegli anni.
Al primo sguardo Elisa e l’uomo-pesce si riconosceranno e altrettanto presto si innamoreranno.
Il film di Guillermo Del Toro è una favola fantasy e come tale si presenta fin dalle prime battute; questa favola però, nel raccontare una storia semplice e forse anche semplicistica – come è tipico delle favole – non rinuncia a mettere sul piatto tanti temi, che forse si possono riassumere nella critica a una modernità che porta via la bellezza del passato (vedi le onnipresenti immagini dei film, soprattutto musical americani degli anni Trenta e Quaranta, e la tristezza per un cinema semideserto di fronte al quale la strana creatura si incanta) e annuncia il mondo ipercompetitivo che sta arrivando, un mondo ideologicamente appiattito sul consumismo e sul successo e incapace di accogliere e promuovere la forza e le potenzialità della diversità.
Il linguaggio è un mix di suggestioni e di generi: a me l’inizio del film ha immediatamente riportato alle atmosfere de Il favoloso mondo di Amelie, mentre l’amore per il cinema che trasuda da questo film mi ha fatto pensare a The artist. La creatura mostruosa mi ha invece addirittura richiamato alla mente Avatar! Sono ovviamente associazioni mentali del tutto personali e forse anche un po’ anodine, mentre senza ombra di dubbio il film – oltre a far vedere spezzoni di film e a incrociarne le parole con quelle dei personaggi – cita, anche visivamente, molte pellicole che io nella mia ignoranza sulla cinematografia del passato non ho ovviamente riconosciuto. Alla fine dei conti però il film è soprattutto una storia d’amore in cui il romanticismo è nei piccoli dettagli, nel tema musicale di fondo, nelle frasi che Elisa legge sul retro dei fogli che giorno dopo giorno strappa dal suo calendario (la più bella tra tutte per me:”La vita è il naufragio di tutti i tuoi piani”), e soprattutto nella poesia con cui l’amico Giles, che è anche il narratore della storia, la riassume: “Incapace di percepire la tua forma, ti ritrovo ovunque intorno a me. La tua presenza mi riempie gli occhi con il tuo amore, e commuove il mio cuore, perché sei ovunque”.
E l’acqua che avvolge tutto è metafora di un diluvio che distrugge e, al contempo, salva ciò che c'è da salvare consegnandolo all’eternità.
Voto: 4/5
martedì 27 febbraio 2018
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