Il morso della reclusa / Fred Vargas; trad. di Margherita Botto. Torino: Einaudi, 2018.
Per me è sempre una festa quando in libreria esce un nuovo libro della Vargas, o meglio un nuovo libro della Vargas con protagonista il commissario Adamsberg. E così, quando dopo qualche anno di silenzio, è arrivato Il morso della reclusa non solo l'ho immediatamente comprato, ma anche quasi immediatamente letto.
Purtroppo, come già avevo avuto modo di osservare dopo l'ultimo romanzo, Tempi glaciali, le vette dei primi romanzi della serie dedicata ad Adamsberg, tra cui i miei preferiti restano Parti in fretta e non tornare e Sotto i venti di Nettuno, sono lontani.
Quello che mi manca particolarmente in questi ultimi romanzi è lo sguardo partecipante nella vita personale di Adamsberg, nella quale sembra che - una volta in qualche modo tornati al loro posto tutti i tasselli, tra cui il figlio Zerk e la donna che ha amato in passato, Camille - non accada più nulla di rilevante, cosa francamente poco credibile, se non addirittura impossibile. Il panorama umano che Vargas mette al centro di questi ultimi romanzi è dunque rappresentato principalmente dai componenti della squadra di Adamsberg, le persone con cui lavora, dal comandante Danglard al tenente Violette Retancourt, dal conterraneo Louis Veyrenc al tenente Froissy, per arrivare a Mordent e infine al gatto Palla che ha ormai preso stabilmente posto sulla fotocopiatrice dell'ufficio (e a cui si va ad aggiungere in questo romanzo una famiglia di merli che si è sistemata nel cortile del commissariato).
Incontrare questi personaggi è per me ogni volta come incontrare vecchi amici, ed è quindi sempre un piacere; però, anche da questo punto di vista devo osservare una certa qual ripetizione - a dire la verità un po' stanca - dei caratteri ormai quasi stereotipati di ognuno di loro. Nel caso specifico in particolare ho trovato molto deludente l'approfondimento del rapporto tra Adamsberg e Danglard che , in questo romanzo, vive un momento di confronto e di svolta, ma senza che sia veramente chiaro al lettore in che termini e per quali motivi veri.
A livello di intreccio narrativo, poi, ho trovato molto riuscito l'inserimento di un caso minore - che si risolve nella prima parte del romanzo, ma che dà movimento alla narrazione -, mentre lo sviluppo del caso principale - gli omicidi di un certo numero di uomini con il veleno del ragno reclusa - mi è sembrato francamente un po' forzato in diversi passaggi. I collegamenti mentali che conducono Adamsberg alla soluzione del caso sono a volte veri e propri "voli pindarici" che - certo - sono tipici del carattere del commissario, ma in questo caso sono particolarmente astrusi e per certi versi poco credibili.
Il fatto è che a Fred Vargas non si perdona niente, perché in passato ci ha abituati talmente bene che ora ci aspettiamo da lei che continui a sorprenderci ed emozionarci, cosa decisamente non facile e non scontata.
Nondimeno, quando chiudiamo l'ultima pagina del libro vorremmo comunque aver letto le pagine precedenti più lentamente per poter rimanere più a lungo in compagnia di Adamsberg e della scrittura della Vargas, che resta per me - comunque sia - una delle più piacevoli in qualunque momento io la affronti.
Voto: 3/5
lunedì 19 febbraio 2018
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