A dire la verità eravamo arrivate al Barberini convinte di vedere Vizio di forma, il nuovo film di Paul Thomas Anderson, in lingua originale. E invece ogni tanto si sbaglia pure Trovacinema e così – indecise se rimetterci in motorino oppure prendere dei popcorn e sederci in poltrona – abbiamo scelto la seconda opzione.
Del resto, come giustamente faceva notare C., si trattava di scegliere tra la “fattaggine” psichedelica di Anderson e la probabilissima melensaggine del film su Hawking, in pratica due cose che non sono esattamente al top del nostro gradimento. E quindi abbiamo scelto la comodità.
Il film ha confermato perfettamente le nostre aspettative, e per quanto mi riguarda l’ho trovato esattamente come l’avevo immaginato.
Due attori protagonisti molto bravi, Eddie Redmayne nei panni di Stephen Hawking, e Felicity Jones nei panni della moglie Jane.
Una storia vera molto bella ed edificante, quella appunto di Hawking che mentre faceva il dottorato in fisica all’Università di Cambridge scoprì di essere affetto da SLA (sclerosi laterale amiotrofica) e di avere solo due anni di vita. Da qui in poi ci viene raccontata non solo e non tanto la storia di Hawking come studioso e autore di numerosi testi di riferimento sul tempo e sulle origini dell’universo, ma anche e soprattutto la sua vicenda umana: l’amore con cui Jane gli sta accanto prima come moglie e madre dei suoi tre figli e poi come amica, l’intelligenza, l’ironia e la dolcezza di quest’uomo la cui caparbietà e voglia di vivere gli hanno permesso di tener testa alla sua malattia e lo vedono ancora oggi protagonista di battaglie scientifiche.
L’insieme è costruito in maniera molto convenzionale, come vuole un vero melò di alto profilo e di grande effetto, che infatti – anche grazie a una colonna sonora alquanto straziante – strappa più volte le lacrime.
Un classico film che sarebbe stato perfetto per una serata casalinga davanti alla televisione e che certamente dimostra il mestiere del regista, James Marsh, e la qualità della confezione hollywoodiana. E che però non riesce mai veramente a uscire dal suo stesso recinto, perfetto nel rispettare fino in fondo un copione già noto.
Gli va indubbiamente riconosciuto il merito di stimolare curiosità e di suscitare interesse, ma dal punto di vista cinematografico appare come un prodotto in qualche modo “vecchio”, quello che sarebbe stato un grande film negli anni Novanta, ma che oggi ha il sapore del già visto.
Toccherà andare a vedere il film di Anderson, anche solo per capire gli estremi che l’universo cinematografico americano è in grado di toccare.
Voto: 3/5
mercoledì 11 marzo 2015
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