Immaginate di parlare di voi stessi utilizzando la metafora del funzionamento di un Paese, come se la vostra mente e il vostro corpo potessero essere rappresentati sotto forma di uno stato sovrano che deve essere governato.
Ebbene, ne verrebbe fuori che avete una vostra Costituzione interna che si è formata con la maggiore età, che dentro di voi si sono alternati nel tempo governi diversi che hanno spinto la vostra vita in direzioni differenti, che anche in presenza di tali governi avete sempre avuto una qualche opposizione interna, pronta a prendere il potere a seguito di eventi importanti attraverso un faticoso processo elettivo interiore, che ogni governo che vi ha presieduto ha avuto i suoi Ministeri e i suoi Ministri con orientamenti diversi: il Ministero della Salute, quello delle Finanze, quello dello Sport, quello degli Esteri ecc. Forse ci sono stati momenti in cui il governo insediato vi ha mandato in rovina fisicamente o economicamente, situazioni in cui siete stati sull'orlo di una guerra civile interiore, in cui l'opinione pubblica e la stampa si sono allineati al pensiero dominante o sono stati critici.
Questo è il testo scritto da Giacomo Ciarrapico (uno degli sceneggiatori del mitico Boris) e interpretato da Carlo De Ruggieri (lo ricorderete come lo "stagista muto" sempre nella serie Boris), messo in scena alla Fonderia delle Arti con l'accompagnamento del violino di Andrea Ruggiero.
Gli esiti sono da una parte esilaranti (per l'arguzia di alcune trovate) e dall'altra carichi di spunti di riflessione sul modo in cui funzioniamo come esseri umani e in fondo - e forse di conseguenza - anche sul modo in cui funzionano gli stati.
Nella storia di questo diciamo trentenne disoccupato e un po' tardo-adolescenziale si ritrovano molti riferimenti alla nostra Italia e alla sua storia politica recente. Ma alla fine il tono è in qualche modo bonario, meno giudicante di quanto siamo abituati a leggere e ad ascoltare. La crisi del nostro protagonista di fronte al tradimento della sua fidanzata finisce per essere struggente e quasi commovente, e la scoperta che divenire adulti significa prendere decisioni fortemente impopolari, ma che la scelta di una via - diciamo così - di disciplina interiore e di assunzione delle responsabilità e il superamento dei sensi di colpa sono la strada verso una qualche forma di felicità che forse fa rima con serenità, sono un messaggio - nemmeno tanto in codice - per noi e probabilmente anche per il consesso sociale nel quale viviamo.
In una sala gremita di un pubblico quasi tutto di trenta-quarantenni, di fronte all'opera di Ciarrapico ognuno di noi è invitato a riflettere sulla frase di lancio dello spettacolo: “Mi lamento spesso del mio Paese. Quando io sono pessimo, come l’Italia”.
Voto: 4/5
P.S. E comunque questi sceneggiatori di Boris - va detto - sono
veramente bravi! Si veda quanto dicevo su un altro dei tre, Mattia Torre.
domenica 9 marzo 2014
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