Tutto sua madre è una specie di one man show. Sì, perché Guillaume Gallienne ne è il regista, lo sceneggiatore e il protagonista in ben due ruoli, quello di se stesso (Guillaume appunto) e quello di sua madre.
Gallienne porta al cinema la sua pièce teatrale che tanto successo ha avuto in Francia e fa un'operazione integralmente autobiografica, presentandoci il se stesso attuale (quello che porta in giro per i teatri la sua storia) e raccontandoci per immagini come è arrivato fin lì, attraverso un'adolescenza e una giovinezza durante la quale è passato prima attraverso un'identificazione totale con la figura materna e poi - faticosamente e in parte dolorosamente - al distacco dal modello materno e alla scoperta della propria identità e delle proprie scelte di vita.
L'originalità di questo racconto si apprezza principalmente da due punti di vista: innanzitutto, la leggerezza e l'umorismo mai volgare con cui Gallienne si racconta, senza togliere nulla della complessità psicologica né dello spessore emotivo alla situazione rappresentata; in secondo luogo, l'intelligenza e la finezza con cui ribalta il topos (letterario e cinematografico) dell'adolescente che, quando si riconosce omosessuale, deve fare i conti con il mondo esterno e scegliere se venire allo scoperto, per raccontarci invece il percorso di chi è stato etichettato fin da piccolo - sia dalla famiglia sia dal mondo circostante - come diverso e dovrà in qualche modo arrivare a farsi accettare ben più "normale" di quello che gli altri si sono sempre aspettati e hanno deciso per lui.
Ci sono molti temi delicati in questo film: il rapporto tra madre e figlio e la dinamica per certi versi imperscrutabile che, attraverso i salti mortali di un amore totalizzante ma incapace di trovare una sua maturità emotiva, produce condizionamento e manipolazione, nel desiderio reciproco di essere amati e accettati; la relatività del concetto di diverso (la diversità è la distanza tra quello che siamo veramente e quello che gli altri si aspettano da noi) e la difficoltà di lottare contro i pregiudizi per affermare ciò che si è, in qualunque direzione questo si esplichi; la necessità di trovare la propria strategia per rompere la bolla nella quale si nasce e si cresce e per guardare se stessi dall'esterno, prima con gli occhi degli altri e poi con i propri occhi, percorso inevitabile per nascere quella seconda volta che ci restituisce unità e senso.
Guillaume Gallienne sembra aver compiuto questo percorso non tanto nel chiuso della stanza di uno psicanalista, né nella solitudine della propria interiorità, bensì portando il proprio disincantato flusso interiore in scena, davanti al mondo degli spettatori, e probabilmente questo ha rappresentato per lui la vera occasione per esorcizzare, sublimare e nello stesso tempo trovare composizione alla propria vita.
Gallienne dimostra un indubitabile talento nel compiere questa operazione.
Dopo un'opera così personale e per certi versi "autoreferenziale" nel senso buono del termine, lo aspettiamo alla prova di un'opera seconda in cui dovrà dimostrare di saper raccontare con lo stesso acume e la stessa maestria anche storie di natura non così strettamente autobiografica.
Bella anche la colonna sonora.
Voto: 3,5/5
venerdì 28 febbraio 2014
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