Approfittando della consueta visita estiva di mio nipote e del fatto che durante l’anno lui al cinema ci va poco e con me ci viene tutto sommato volentieri, recupero insieme a lui qualche film che avevo perso durante l’inverno. In questo caso, per una serie di combinazioni, andiamo a vedere due opere prime italiane, Bangla, di Phaim Bhuiyan, e In viaggio con Adele, di Alessandro Capitani.
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Bangla
Phaim Bhuiyan scrive, dirige e interpreta questo film dal forte carattere autobiografico: il protagonista è infatti lui stesso, Phaim, che ha 22 anni, viene da una famiglia bengalese ma è nato in Italia e vive da sempre a Torpignattara, quindi - come dice lui - è 50% bangla, 50% italiano e 100% torpigna.
Il film inizia con Phaim che ci racconta la sua vita: la sua famiglia - con il padre che racconta sempre dei suoi viaggi fatti in passato, la madre che vuole trasferirsi a Londra, la sorella che sta per sposarsi ma non ne è così convinta -, gli amici – lo spacciatore di torpigna cui fa le sue confidenze, la sua band che fa musica bengalese e che suona ai matrimoni -, il suo lavoro come stewart in un museo, il suo rapporto complicato con la religione musulmana, in particolare per i divieti sull’alcol e il sesso prematrimoniale che rendono faticosa la sua vita sociale.
Un giorno Phaim incontra Asia (Carlotta Antonelli), e se ne innamora ricambiato. Mentre Asia viene da una famiglia italiana molto aperta e alternativa (i suoi genitori sono separati, sua madre ha una compagna, e ha un fratellastro più piccolo) che non vede nulla di strano nella frequentazione della figlia, Phaim – pur innamorato di lei – è molto combattuto, prima di tutto perché sa che i genitori si aspettano che sposi una brava ragazza bengalese e musulmana, e in secondo luogo perché la sua religione gli impone la castità.
Tra una passeggiata serale tra i murales di Torpignattara, un concerto a Montesacro e un giro in motorino, la storia di Phaim e Asia viene raccontata con tenerezza e autoironia, e diventa l’occasione per parlare con semplicità di una società che cambia e delle contraddizioni che la caratterizzano a tutti i livelli, una società che deve fare i conti da un lato con le differenze culturali e religiose, dall’altro con le quotidiane e universali incertezze in merito all’amore, all’amicizia e al futuro che caratterizzano i giovani qualunque provenienza essi abbiano.
Il giovane protagonista di Bangla sembra quasi il protagonista di un fumetto di Zerocalcare, con cui secondo me condivide uno sguardo al contempo spaurito e fiducioso sul mondo circostante e con cui è facile empatizzare, non solo se si è dei giovani bengalesi di religione musulmana.
Bangla appartiene a un filone cinematografico molto prolifico in altri paesi, per esempio in Gran Bretagna (dove il tema delle seconde generazioni è stato affrontato in tutte le salse e utilizzando tutti i generi e i linguaggi, dalla commedia al drammatico – tra tutti mi viene in mente Un bacio appassionato di Ken Loach), ma che è praticamente assente in Italia. Per questo l’uscita del film di Bhuiyan va salutata con grande favore, e ci si augura che possa essere il primo di una lunga serie di film capaci di raccontare quell’Italia già profondamente e in fondo felicemente multietnica che probabilmente rappresenta la più grande speranza di futuro che questo paese ha.
Quello di Phaim Bhuiyan non è però un film politico, bensì il racconto molto personale e pieno di ironia di un giovane come tanti altri, ma con un punto di vista particolare nel quale è divertente e interessante immergersi per comprendere meglio il mondo che ci circonda.
Voto: 3,5/5
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In viaggio con Adele
Mentre facciamo la fila per entrare all’Arena del Nuovo Sacher per vedere il film di Alessandro Capitani In viaggio con Adele nell’ambito della rassegna "Bimbi belli" (ossia i debutti registici dell’ultimo anno nel cinema italiano), dietro di noi in fila per comprare il biglietto c’è anche un viso conosciuto. Lo guardiamo meglio e riconosciamo nel ragazzo con la felpa e la scarpe da ginnastica Phaim Bhuiyan, il regista e protagonista del film che abbiamo visto solo la sera precedente. A conferma del fatto che – nonostante ci troviamo in una capitale di oltre 3.000.000 di abitanti – a Roma è molto più facile di quanto si pensi incontrarsi e “riconoscersi” quando si frequentano certi ambienti e contesti.
A differenza di Bangla, il film di questa sera – come ci spiega il regista alla fine della proiezione chiacchierando con Nanni Moretti – non è un film “personale”, perché a Capitani è stata messa in mano una sceneggiatura già scritta (scritta da Nicola Guaglianone) e un protagonista con le idee chiare come Alessandro Haber.
La storia è quella di Aldo (Alessandro Haber), un attore di teatro specializzato nel ruolo di Cyrano che, dopo molti anni di assenza dal grande schermo, ha ricevuto una proposta per un film sullo spadaccino francese girato da Patrice Leconte. Mentre si appresta a partire per Parigi con la sua agente e amante Carla (Isabella Ferrari), Aldo riceve la notizia che una sua ex di gioventù è morta a soli 52 anni. Aldo decide così di mettersi in macchina e di andare in Puglia per il funerale: qui conosce la figlia della donna, Adele (Sara Serraiocco), che è una ragazza psicologicamente e socialmente problematica, che veste con un pigiama rosa con le orecchie da coniglio e va in giro con una gabbietta da gatto vuota. Aldo scopre ben presto che la ragazza è sua figlia e, pur riluttante, accetta di accompagnarla prima dalla nonna e poi dalla zia, nel tentativo di trovarle una collocazione dove possa vivere. Le cose andranno però diversamente e il viaggio insieme riserverà molte sorprese, sconvolgendo la vita e i piani di Aldo e costringendolo a mettersi di fronte a sé stesso e alle proprie scelte.
In viaggio con Adele è un buon prodotto cinematografico: Capitani fa dignitosamente il proprio lavoro registico (tra l’altro – a quanto ci dice – in tempi piuttosto stretti, 4 settimane), Haber e la Serraiocco sono molto credibili e la loro dinamica relazionale funziona molto bene, la storia di Guaglianone si presta a diversi livelli di lettura, non solo quello del rapporto padre-figlia che c’è ed è emotivamente molto efficace, bensì anche quello del rapporto tra normalità e diversità in una società che normalizza le nostre idiosincrasie e le nostre paure e tende invece a ghettizzare le forme di emotività e irrazionalità che non sono riconducibili alle norme di cui sopra.
Non certo tematiche originali per gli schermi cinematografici e non solo, ma trattate in questa opera prima con grande delicatezza e scegliendo – come in Bangla – la strada dell’ironia anziché quella dei sofismi intellettualistici. E questo è certamente un merito e fa sì che i molti spunti contenuti in questa storia giungano direttamente al cuore degli spettatori.
Voto: 3/5
giovedì 18 luglio 2019
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