Un po' per scelta, un po' per una serie di coincidenze, dedico il primo weekend di aprile quasi interamente al teatro, andando a vedere sabato sera al Vittoria La divina Sarah, lo spettacolo interpretato da Anna Bonaiuto e dedicato alla grande attrice Sarah Bernhardt, e domenica pomeriggio all'Ambra Jovinelli Delitto/Castigo, la riduzione teatrale del grande romanzo di Fëdor Dostoevskij realizzata da Sergio Rubini e Carla Cavalluzzi.
Come dicevo all'uscita del secondo spettacolo con F., mi è sembrato in questi due giorni di fare un vero e proprio viaggio nel teatro e di avere l'occasione di fare un confronto tra il teatro del passato e quello - forse - del futuro, cioè tra un teatro tradizionale e uno più sperimentale.
Una volta qualcuno mi aveva detto che ci sarebbe un'enorme differenza se - in seguito a un viaggio nel tempo - venisse catapultato nel mondo di oggi un medico o un insegnante: il primo in una sala operatoria non riconoscerebbe quasi nulla, il secondo in un'aula scolastica potrebbe immediatamente fare lezione senza accorgersi della differenza.
Ebbene, ho idea che il teatro tradizionale sia un po' come un'aula scolastica: non è cambiato quasi nulla dalle sue origini e in fondo basta un palcoscenico e un attore per fare uno spettacolo. In questo senso La divina Sarah non solo rappresenta appieno il teatro tradizionale (ad alti livelli, grazie all'ottimo testo adattato da Eric-Emmanuel Schmitt a partire dal romanzo Memoir di Sarah Bernhardt di John Murrell, e alle interpretazioni di alto livello di Anna Bonaiuto e Gianluigi Fogacci), ma parla anche di una grande attrice di teatro (e non solo), Sarah Bernhardt, creando una sorta di continuità ideale tra il teatro del passato e quello del presente.
Lo spettacolo in due atti vede sul palcoscenico la stessa Bernhardt impegnata a scrivere le sue memorie aiutata dal suo maggiordomo e segretario Pitou, cui ella fa interpretare i personaggi che sono stati suoi interlocutori durante la vita, in un'alternanza continua tra il dialogo dei due protagonisti e i momenti di rappresentazione del passato, in cui la Bernhardt recita se stessa o i personaggi che ha portato in scena, e Pitou di volta in volta sua madre, il suo impresario, il suo amante... Ne viene fuori il ritratto di una donna certamente burbera ed egocentrica, ma anche anticonformista e padrona fino in fondo della sua vita, anche nel momento in cui il pensiero della morte si affaccia sempre più spesso alla sua mente.
La divina Sarah è un omaggio al teatro e a una grande attrice, la prima vera diva del palcoscenico, e lo spettacolo è l'occasione per riscoprirla. Peccato solo per la sala per metà vuota: sarà stato per la partita della Roma o perché il teatro tradizionale è già ormai di nicchia?
È proprio a questo trend cui sembra provare a dare una risposta lo spettacolo Delitto/Castigo per la regia di Sergio Rubini, interpretato dallo stesso Rubini e - nel ruolo principale di Raskòl'nikov - da Luigi Lo Cascio. Lo spettacolo di Rubini prova infatti a infondere nuova vita a un testo classico come è Delitto e castigo, senza minimamente tradirlo, bensì valorizzandolo nelle sue componenti costitutive mediante un linguaggio moderno e un ritmo sostenuto capace di catturare il pubblico.
Nella messa in scena - come anche nel romanzo di Dostoevskij - si alterna il racconto in terza persona (che lo stesso Rubini fa stando in piedi a un leggio) ai pensieri - confusi e sempre più deliranti - di Raskòl'nikov, nonché ai suoi monologhi e dialoghi con gli altri personaggi del romanzo, interpretati da altri due attori oltre allo stesso Rubini.
Tutti gli attori sono microfonati e non solo per permettere al pubblico di ascoltare meglio le loro parole, ma per consentire al fonico di gestire gli effetti sonori sulle voci degli attori, importanti soprattutto nei sogni e nei deliri del protagonista. Il fonico è il vero altro attore dello spettacolo: non a caso sta sul palco, in un angolo illuminato e attrezzato, una specie di bottega con tutto l'occorrente per "sonorizzare" dal vivo lo spettacolo, riproducendo e amplificando i suoni mediante gli oggetti reali: i passi sulle scale, una porta che si apre, un chiavistello che gira nella toppa, un'accetta che colpisce.
I suoni sono inoltre sincronizzati con i cambiamenti della scenografia, anch'essa inquietantemente suggestiva, con il suo tavolo e le sue giacche appese a delle corde, come dei morti impiccati.
Il risultato è un mix tra uno spettacolo teatrale, un audiodramma e un allestimento cinematografico un po' vintage. Grande anche lo sforzo di portare un testo, certamente impegnativo, alla sua ricca essenzialità, concentrandosi in particolare sui sentimenti universali e senza tempo che esso veicola e sorvolando sugli elementi meno comprensibili per il pubblico contemporaneo.
Sergio Rubini dimostra di avere ancora voglia di mettersi in gioco e di confrontarsi con sfide sempre nuove, dando dimostrazione di essere un'artista sempre più maturo e completo.
Con questo lavoro - il cui successo è dimostrato da un teatro pieno e dai commenti entusiastici della gente all'uscita - Rubini, sostenuto anche dalle qualità interpretative di Lo Cascio, indica una possibile strada per trasformare di nuovo il teatro in intrattenimento popolare.
Per me - devo dirlo - la grandezza del teatro sta in un grande attore che da solo sul palcoscenico e con un grande testo a disposizione è in grado di evocare mondi e di tenere il pubblico con gli occhi incollati su di lui/lei, perché in questo si tocca con mano la differenza rispetto ad altre forme di espressione artistica e culturali e rispetto a linguaggi altri, come il cinema, la televisione, la radio ecc.
Però, ben vengano tutti i tentativi di ibridare i linguaggi per renderli più in linea con le modalità di fruizione della contemporaneità, soprattutto se questi tentativi permettono di portare a un pubblico più ampio testi immortali come questo.
Voto: 3,5/5
venerdì 13 aprile 2018
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