Il film del regista di origine libanese Ziad Doueiri inizia come un tipico film di provenienza mediorientale: un uomo, Tony Hanna (interpretato da Adel Karam), un cristiano maronita che vive a Beirut, assiste a un comizio politico, poi mentre torna in macchina a casa dalla moglie incinta e al suo lavoro di meccanico canta una canzone nella sua lingua. Un altro uomo, Yasser Salameh (Kamel El Basha, vincitore della Coppa Volpi a Venezia), è un palestinese rifugiato in Libano e a Beirut vive e dirige un cantiere proprio fuori dalla casa di Tony. Un giorno Yasser va a bussare alla porta di Tony perché lo scolo del suo balcone sgocciola sulla strada e vorrebbe risistemarlo. Da qui comincia una disputa destinata a finire nelle aule di un tribunale e sulle televisioni nazionali. E proprio quando la disputa – da essere puramente privata – assume un valore politico il film cambia marcia, fa proprio il linguaggio (a livello di sceneggiatura e di tecnica di ripresa) del cinema occidentale, in particolare quello dei legal movies, e acquista un respiro che va ben al di là dei due uomini e persino del Libano stesso, per diventare la rappresentazione quasi universale e tutta umana dell’origine dei conflitti e delle guerre.
Personalmente non so tanto della storia libanese. Nella mia testa ci sono echi lontani della guerra civile libanese di cui sulle nostre televisioni arrivavano le immagini di una Beirut quasi totalmente devastata (segni che la città porta ancora su di sé, come anche questo film mette bene in evidenza). So per sommi capi che la guerra libanese è stata uno dei tanti tasselli di un Medio Oriente perennemente instabile e attraversato da conflitti sia all’interno sia tra gli stati.
Non sapevo però che una parte centrale in questa guerra l'ha giocata il rapporto tra libanesi e palestinesi, né sapevo dell’ostilità libanese nei confronti dei palestinesi che si sono rifugiati nel loro paese a causa della diaspora dalla Palestina e che sono stati protagonisti della guerra civile degli anni Settanta e Ottanta.
Però nel film di Doueiri – pur essendoci tanta parte di storia libanese, scandagliata e documentata durante il processo che contrapporrà Tony a Yasser – c’è molto altro e di più. C’è una riflessione profonda sulle radici dei conflitti umani, conseguenza della propria storia individuale e delle proprie sofferenze, nonché dei propri pregiudizi e delle convinzioni profonde che ci siamo costruiti, e che vanno al di là della persona che abbiamo di fronte. Il regista sembra volerci dire che il conflitto è sempre l’esito di una sofferenza personale, un’azione volta a fare giustizia di tale sofferenza e a rivendicarla anche di fronte alla presunta sofferenza altrui. Il conflitto si nutre e non può fare a meno dell’ignoranza, intesa come non conoscenza dell’altro, perché questo consente di applicare all’altro i pregiudizi che ci portiamo dentro.
Come il conflitto ha le proprie radici a livello individuale, così la soluzione al conflitto esiste solo a livello individuale, in due uomini che a poco a poco si conoscono e alla fine si guardano negli occhi, senza più benzina che alimenti il rancore.
Apparentemente dunque il film di Doueiri sembra aprire una possibilità e una speranza. In realtà, non si esce dal cinema confortati perché l’escalation che trasforma uno screzio privato tra due persone in un caso di rilevanza politica nazionale e in uno stato di ostilità e sospetto crescenti tra fazioni opposte - proprio perché allontana il conflitto dalla dimensione individuale e lo trasforma in una bandiera da portare - rende difficile qualunque soluzione e non apre alcuna strada al suo superamento.
Ci sono tanti temi e tanti spunti di riflessione ne L’insulto, ma soprattutto c'è la lucida consapevolezza che di fronte a un conflitto la ricerca del colpevole è sempre una via fallimentare perché “nessuno ha il monopolio della sofferenza” e le posizioni ideologiche non rendono giustizia alle storie individuali.
Assolutamente da non perdere. Peccato solo non averlo visto in lingua originale.
Voto: 4,5/5
lunedì 8 gennaio 2018
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento
Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!