Servo per due / con Pierfrancesco Favino. Teatro Ambra Jovinelli, 10 marzo 2016
Avete presente il teatro impegnato e intellettuale con le platee composte e piene di signore in pelliccia e giovani radical-chic?
Ebbene, Servo per due ne è la negazione, per quanto sia esso stesso un'operazione intellettuale piuttosto raffinata. La commedia nasce dal testo di Richard Bean liberamente ispirato al Servitore di due padroni di Carlo Goldoni, che ha poi subito un ulteriore adattamento al contesto italiano da parte di Piefrancesco Favino, Paolo Sassanelli, Marit Nissen e Nicoletta Solder.
Il protagonista è Pippo (alter ego di Arlecchino), che è mosso costantemente dalla necessità di mettere qualcosa nella pancia e finisce per questo a servire due padroni diversi a loro insaputa. Pippo è meschino e pasticcione, ma anche tenero e adorabile, e devo dire che Favino è un Arlecchino veramente strepitoso. Intorno a lui una serie di personaggi buffi che animano una storia un po' strampalata ambientata a Rimini negli anni Trenta e che è inevitabilmente destinata al lieto fine. Davanti al palco e talvolta anche sul palco l'Orchestra Musica da Ripostiglio che esegue, con straordinaria maestria e grande ironia, una serie di classici italiani di quegli anni, accompagnando gli attori che talvolta cantano e ballano sul palco.
Se dovessi descrivere in una frase questo spettacolo direi che è una specie di omaggio al teatro popolare italiano dal Settecento ad oggi, partendo dalla commedia dell'arte appunto, passando per l'avanspettacolo, per il teatro di rivista e l'operetta, fino a risentire dell'eco di certe forme di teatro popolare arrivate alla televisione negli anni Ottanta, come ad esempio Drive In e il Bagaglino.
Questo spettacolo ha dunque tutti i punti di forza del teatro popolare, perché fa ridere moltissimo, coinvolge il pubblico (anche chiamandolo in prima persona sul palco), e intrattiene in modo vario e divertente; e al contempo ne eredita certe forme di trivialità (senza mai essere veramente volgare) e di comicità che parlano alla pancia della gente.
Quando lo spettacolo comincia l'unica cosa che riesco a pensare per la prima mezz'ora è: "Ma dove sono finita?", poi a poco a poco capisco che dietro quella facciata da teatro scanzonato e disimpegnato si nasconde un'operazione raffinata che a poco a poco traspare da ogni dettaglio: la bravura degli attori, gli intermezzi musicali dell'orchestra, le trovate e le boutades con il pubblico, le piccole coreografie musicate ispirate agli anni Trenta, le citazioni dalla cultura popolare più recente.
L'empatia con lo spettacolo cresce dunque di minuto in minuto nelle quasi tre ore in cui la storia si svolge davanti ai nostri occhi, conquistando anche i più scettici ed entusiasmando i più bendisposti, fino allo svelamento finale del tranello che è stato teso allo spettatore, che è quasi l'ultimo e più divertente sgambetto a qualunque snobismo e presunta superiorità intellettuale del pubblico rispetto a quanto avviene sulla scena.
Non mi meraviglia che questo spettacolo giri per l'Italia già da due anni e credo che sia destinato a diventare un piccolo classico del teatro contemporaneo.
Voto: 3,5/5
martedì 15 marzo 2016
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