All'inizio di marzo dello scorso anno avevo una prenotazione per la mostra di Raffaello alle Scuderie del Quirinale, ma proprio in quei giorni si cominciava a comprendere che la situazione della diffusione del virus stava diventando seria, cosicché avevo rinunciato e ceduto il biglietto.
Poi c'è stato il lungo blackout del lockdown primaverile in cui siamo stati tutti chiusi in casa e poi lentamente il disgelo estivo, durante il quale sono persino riuscita a vedere due mostre fotografiche (una su Tina Modotti a Palazzo Merulana e una, bellissima, su Ara Güler, al Museo di Roma in Trastevere) e un'altra bella mostra sugli impressionisti a Palazzo Bonaparte. Poi di nuovo, dopo l'estate, un lunghissimo periodo senza musei e senza mostre.
Finalmente, da qualche settimana, i musei hanno potuto riaprire - anche se solo durante la settimana (sono chiusi nel weekend) - e, saputo della riapertura della mostra Radici con le foto di Josef Koudelka, non mi sono lasciata sfuggire l'occasione per tornare finalmente a vedere una mostra!
Ebbene, Koudelka è un personaggio quasi mitico nel mondo della fotografia; alcuni dei suoi reportage e progetti fotografici sono ormai talmente famosi che anche se il suo nome non ci dice nulla abbiamo certamente visto da qualche parte una sua foto. Oggi è un vecchietto un po' tremolante sulle gambe, ma con un carattere e una tempra incredibili, come si vede bene nel breve filmato che è possibile visionare al termine della mostra, Obey to the sun, che certamente conferisce nuovi e ulteriori significati alla visita appena conclusa.
La mostra Radici è il risultato di decenni di viaggi del fotografo in centinaia di siti archeologici collocati lungo il bacino del Mediterraneo. Per questo progetto Koudelka ha scelto il formato 16:9, prevalentemente in orizzontale, ma anche in verticale, privilegiando prospettive sghembe o comunque sempre molto originali.
Il percorso della mostra è immaginato come una passeggiata archeologica attraverso questi siti, alternando "colonne e basamenti", nel senso che le foto in parte sono appese alle pareti, in parte sono sistemate su dei parallelepipedi (delle specie di panche) poggiati per terra. A essere sinceri, le foto sui parallelepipedi sono non solo di minore impatto (tranne pochissime), ma anche di peggiore leggibilità a causa del riflesso delle luci.
In generale, come spesso accade per le mostre all'Ara Pacis, il percorso all'interno della mostra non è lineare e non segue criteri molto stringenti, cosa che alla fine produce un effetto dispersivo e un pochino disordinato.
Le foto di Koudelka - che pure rappresentano esclusivamente paesaggi di pietra - hanno lo straordinario pregio di restituire vita a queste pietre: il modo in cui il fotografo le inquadra le fa quasi "respirare" o "parlare" a seconda dei casi, come se quei "mucchi di pietre" non fossero lì ammassate in maniera casuale dopo un crollo o per lo scorrere del tempo, ma si fossero messe in posa per lui. E in questo c'è lo straordinario occhio e la grande pazienza del fotografo nel cercare il punto di vista giusto e nell'aspettare la luce perfetta.
Alcune di quelle che mi sono piaciute di più le ho fotografate e le metto qui a corredo di questo post.
Che bello tornare a vivere la cultura!
Voto: 3,5/5
lunedì 15 febbraio 2021
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