Siamo a Nalchik, capitale della Repubblica di Cabardino-Balcaria, piccolo stato della Federazione russa nel Caucaso settentrionale, di cui - ammetto la mia ignoranza - non avevo mai sentito parlare.
In questa città è nato nel 1991 Kantemir Balagov, il giovane regista russo che ha studiato alla scuola di Sokurov e che ha presentato questa sua opera prima a Cannes nella sezione Un certain regard, ottenendo molti apprezzamenti e riconoscimenti.
Le vicende qui raccontate sono ambientate nel 1998 e - come il regista chiarisce all'inizio del film - sono ispirate a fatti di cronaca reali.
Al centro dell'intreccio c'è una famiglia di ebrei ortodossi formata da padre, madre e due figli, David (Veniamin Kac), che sta per sposare Lea, e Ilana (una straordinaria Darya Zhovnar), che lavora nell'officina da meccanico del padre e frequenta di nascosto Zalim (Nazir Zhukov), un ragazzo cabardo che lavora presso una pompa di benzina.
Subito dopo aver annunciato il loro matrimonio, David e Lea vengono rapiti e i rapitori chiedono un grosso riscatto per liberarli. La comunità ebreo-ortodossa, che è una minoranza ghettizzata dalla popolazione cabarda musulmana ma anche auto-ghettizzata dalle proprie scelte, decide di non rivolgersi alla polizia, bensì di attingere alla solidarietà interna per raggiungere la cifra del riscatto. La somma raccolta basta però per la liberazione di uno solo dei due giovani e si decide che servirà a liberare Lea che è figlia unica.
La famiglia di David si ritrova così a dover prima vendere a un prezzo stracciato l'officina con tutta l'attrezzatura e poi ad accettare la proposta di un'altra famiglia ebrea di dare in sposa Ilana al loro figlio in cambio dei soldi necessari a far liberare David.
Ilana, pur essendo molto legata al fratello - che tra l'altro gode di una posizione privilegiata nel sistema degli affetti familiari, in particolare da parte della madre -, non ci sta ad accettare il destino che è stato scritto per lei dai suoi genitori. La sua ribellione passerà dunque prima attraverso un ulteriore avvicinamento a Zalim e al suo mondo fatto di tossici e sballati che passano le giornate a bere, a farsi, a ballare in discoteca o a vedere in televisione video artigianali dei militanti ceceni che ammazzano brutalmente i prigionieri di guerra; poi attraverso una scelta estrema di sacrificio personale che non è quello che i genitori avevano pensato per lei ma grazie al quale riesce a ottenere comunque il denaro per salvare suo fratello.
Alla liberazione del fratello la famiglia, che non ha più niente né motivo per rimanere a Nalchik, decide di trasferirsi in un'altra zona della Russia dalla zia, e sarà proprio Ilana l'unica dei due figli a seguirli in questo trasferimento, una scelta che nasce da un groviglio di sentimenti contraddittori e che in ogni caso non segna un vero riavvicinamento affettivo ai genitori, in particolare alla madre.
Il film è interamente girato in formato 4:3, un formato ormai totalmente inusuale sul grande schermo che in questo caso è strettamente funzionale alla cifra emotiva del film. Intento di Bagalov è infatti quello di svelare il carattere ambivalente della "vicinanza" richiamata nel titolo del film, portando allo scoperto da un lato la forza dei legami affettivi, dall'altro la costrizione claustrofobica che ne deriva, due aspetti entrambi perfettamente incarnati nella figura di Ilana. Dentro questi fotogrammi compressi, il regista alterna momenti in cui sta addosso ai suoi protagonisti ad altri in cui li osserva da prospettive sghembe e anomale, come nel caso della scena di sesso; in generale i protagonisti si muovono in un mondo in cui l'oscurità regna sovrana (nelle case buie e nelle notti desolate di Nalchik), un'oscurità interrotta di tanto in tanto dai colori quasi fluorescenti indossati dai giovani (il verde smeraldo di David e Lea, il blu elettrico di Ilana e Zalim) e dalle luci accecanti che talvolta li avvolgono (quelle della discoteca o dei fari delle macchine).
Di fronte al film di Bagalov non si può non rimanere affascinati, ma al contempo interdetti e disorientati rispetto a un mondo in cui la modernità si è innestata su una struttura sociale tribale e basata sul conflitto senza riuscire a compensare la desolazione urbanistica e umana e che - pur non essendo così lontano nel tempo e nello spazio - risulta a tratti incomprensibile per effetto della distanza culturale ed emotiva.
Voto: 3,5/5
venerdì 9 agosto 2019
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