venerdì 18 aprile 2025

La città proibita

Dopo lo straordinario successo di Lo chiamavano Jeeg robot che portava l’immaginario dei film dei supereroi nel contesto della periferia romana (e Freaks out, di cui però non posso dire nulla perché non l’ho visto), Gabriele Mainetti torna al cinema con un’altra sfida, quella di portare i film di genere cinesi sul kung fu nel contesto multietnico di piazza Vittorio.

Ne La città proibita la protagonista Mei (Yaxi Liu) cresce in una Cina dove vige ancora la politica del figlio unico ed essendo la seconda nata è costretta a rimanere nascosta, lasciando la visibilità alla sorella Yun. Dopo che Yun, emigrata in Italia, scompare, Mei arriva anche lei a Roma alla sua ricerca e immediatamente si ritrova a fare i conti con i traffici della mafia cinese e le guerre di quest’ultime con la mafia italiana.

Il destino di Yun sembra essere legato a un locale boss cinese, Mr Wang (Chunyu Shanshan) e alle vicende di una trattoria italiana, sommersa tra ristoranti cinesi e fast food indiani, il cui proprietario Alfredo (Luca Zingaretti), sommerso di debiti, è scomparso a sua volta. In questa trattoria lavorano Marcello (Enrico Borello) e Lorena (Sabrina Ferilli), rispettivamente figlio e moglie di Alfredo, aiutati nella ricerca dello stesso da Annibale (Marco Giallini), boss locale incattivito da un contesto che non capisce più.

Non mi spingerò oltre nel racconto della trama, mentre mi soffermerò su questa nuova operazione di contaminazione tra generi, ambientazioni e linguaggi che Gabriele Mainetti ci propone con l’aiuto alla sceneggiatura di Stefano Bises e Davide Serino.

Nel film di Mainetti ci sono tutti gli elementi del film asiatico di arti marziali (e non a caso il film si è avvalso di uno stunt coordinator, Trayan Milenov-Troy, indispensabile in questo tipo di film), ma incastonati in un contesto che più romano non si può. Da questo punto di vista una delle sequenze iniziali - quella in cui Mei affronta il suo primo combattimento in un ristorante cinese e a un certo punto esce per strada andando quasi addosso a un motorino, il cui guidatore dice in romanaccio “Ma li morta**i tua” mentre l’auto subito dietro strombazza - ci fa capire immediatamente la cifra stilistica, giocata sui contrasti e le contaminazioni.

Così, dentro il film di Mainetti – oltre che il cinema wuxia – c’è posto per la commedia romantica, per il noir, per la commedia sociale, per il gusto tarantiniano, nonché per le citazioni di pellicole del passato che hanno avuto come protagonista la città di Roma (su tutti Vacanze romane, e il nome del protagonista rimanda a La dolce vita). Il tutto attraversando in lungo e in largo la città di Roma, in particolare il quartiere Esquilino e Tiburtino, ma anche il centro (nella scena alla Vacanze romane) e infine le estreme propaggini verso il mare, con gli occhi di Paolo Carnera, eccellente direttore della fotografia che ci offre una visione di volta in volta trasognata, fiabesca, cupa, luminosa della città, e ci fa immergere in luoghi che conosciamo benissimo e altri che sembrano appartenere a universi non romani e forse non italiani.

Diciamo che il punto di forza di questo film, ossia il mix di generi e linguaggi, è forse anche il suo principale limite, perché su alcuni fronti riesce perfettamente nell’intento e su altri appare un pochetto forzato. Probabilmente rispetto a Lo chiamavano Jeeg robot – che si era avvalso della collaborazione di Guaglianone e Menotti – ne La città proibita è la narrazione a risultare più debole e meno coesa, e in alcuni passaggi fa fatica a dare continuità e sviluppo coerente ai personaggi e all’azione. Giallini – pur bravissimo – appare ormai un po’ inflazionato, Ferilli fa sempre Ferilli, Enrico Borello è bravo e dolce come il suo personaggio richiede, ma è intorno a Yaxi Liu che tutto ruota, lasciando a lei l’incombenza anche di incarnare anime ed emozioni molto diverse e talvolta inspiegabili dentro un arco narrativo così compresso.

Un’operazione per me comunque riuscita, un cinema italiano che sa guardare oltre i suoi limiti e confini e dunque dal mio punto di vista non solo un film godibilissimo, ma anche una linea da continuare a perseguire per liberarci delle ripetitività della nostra cinematografia. Non so però se La città proibita riuscirà a diventare un piccolo cult com’è stato Lo chiamavano Jeeg robot che certo si avvantaggiava anche della novità e dell’effetto sorpresa, oltre che di una combinazione fortunata e riuscita di tanti fattori diversi.

Voto: 3,5/5



2 commenti:

  1. Totalmente d'accordo con te. Trovo che questa volta la commistione di generi sia un po' forzata, e che troppi personaggi sono le caricature di loro stessi. Film godibile e divertente, comunque, però "cult" no di sicuro. Quello che mi chiedo, visto che alla prova del box office è andato malissimo (dopo anche il mezzo flop di Freaks Out) è come faccia Mainetti a godere ancora di tutto questo credito da parte dei produttori...

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    1. Sicuramente però gli va riconosciuta la qualità di cercare strade nuove e non scontate. Poi non sempre riesce. Vedremo come andrà a finire!

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