"Non toccatemi Leopardi": diciamo che questa è stata un po' la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho visto il film di Martone. E non perché il film non sia attento e rispettoso della vicenda biografica e ideale dell'autore. Anzi, l'operazione di Mario Martone è ammirevole nel proporre un ritratto di Leopardi che è in qualche modo fedele ai tempi e alla lettera e nello stesso tempo moderno, quasi post-moderno (come ha fatto notare qualcuno).
Il fatto è che Leopardi appartiene solidamente a un'età della mia vita che oggi certo considero lontana, ma che ha avuto un peso specifico grande nella mia esistenza. Ed in quella fase le poesie di Giacomo Leopardi, soprattutto alcune (L'infinito, Il canto di un pastore errante dell'Asia, La ginestra), hanno rappresentato per me qualcosa di più di un compito scolastico, bensì l'espressione di una sensibilità che percepivo in qualche modo vicina.
Ecco perché nella mia testa Leopardi ha assunto forme e significati tutti miei, che evidentemente non sempre si sono sposati perfettamente con il Leopardi portato sul grande schermo da Martone e che certamente porta con sé anche un po' del vissuto e della poetica dello stesso Martone (non è senza significato che il titolo del film derivi da una definizione di Leopardi data da Anna Maria Ortese).
Elio Germano è grandioso nel dare forma e voce a questo personaggio straordinario, e devo dire che la sua "recitazione" di alcuni canti, in cui il vissuto quotidiano è trasfigurato dallo stato emotivo e dalla sensibilità estremizzata di Giacomo, è tra le cose più belle e toccanti del film.
Bella la scansione strutturale e cronologica del film nei tre momenti della vita del poeta, legati ad altrettanti luoghi: l'odiata Recanati, la bella Firenze, la vitale e tenebrosa Napoli. Interessante anche il tentativo di ricostruire i rapporti chiave della sua esistenza, quella con i fratelli, Carlo e Paolina, con i genitori, con il letterato Pietro Giordani, con Fanny Targioni Tozzetti, con Antonio Ranieri.
Ma la mia percezione di Leopardi e quella di Martone si incontrano soprattutto nella visione di un Leopardi modernissimo, e che questa modernità di spirito e di analisi dell'essenza dell'umanità ha reso infelice e grande al contempo. Per questo ho trovato oltremodo belle le sequenze sottolineate dall'ordito musicale di Sascha Ring, in arte Apparat (in particolare il pezzo Lighton), per l'effetto spiazzante e straniante che produce, collocando la sofferenza interiore di Leopardi al di fuori del tempo; bellissima anche la scena in cui il giovane Leopardi è rimproverato da suo padre e suo zio per il tentativo di fuga, e in cui esplode - ma solo nel desiderio irrealizzato - la rabbia di Giacomo, perfettamente connaturata al personaggio, ma del tutto impensabile per i tempi e il contesto.
Da un Leopardi che dice che "Chi dubita sa e sa più che si possa" abbiamo moltissimo da imparare. E certamente questo film consente in qualche modo di mettersi all'ascolto di un uomo che parla e scrive con parole antiche e forse un po' ostiche, ma dice cose modernissime e che ancora oggi a distanza di quasi due secoli sa toccare il cuore.
Voto: 3,5/5
martedì 11 novembre 2014
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