lunedì 3 febbraio 2020

1917

Il film di Sam Mendes (che per me rimarrà sempre e soprattutto il regista di American Beauty) ha già vinto due Golden Globe (miglior film drammatico e miglior regista) e ha ben 10 candidature agli Oscar, dunque arriva al botteghino in Italia carico di riconoscimenti, e in un certo senso già premasticato da una critica che ha già avuto modo ampiamente di esprimersi su di esso, spaccandosi più o meno a metà tra coloro che gridano al capolavoro e coloro che lo considerano un freddo esercizio di stile.

Non potevo dunque farmi sfuggire l'occasione di andare a vederlo (in lingua originale) per potermene fare un'idea personale. La storia è presto detta (ed è basata - come ha dichiarato il regista - sui racconti di suo nonno): due caporali britannici, Blake (Dean-Charles Chapman) e Schofield (George MacKay, visto in Captain Fantastic), vengono chiamati dal generale per una delicata missione: devo consegnare una lettera a un altro plotone di 1600 uomini che si appresta a sferrare un attacco ai tedeschi apparentemente in ritirata, ma che in realtà si sono riorganizzati con più armi e più forze e hanno attirato gli inglesi in un tranello.

Da questo momento è solo questione di tempo: Blake e Schofield devo uscire dalla trincea, attraversare la "terra di nessuno" e, a seguire, il territorio (prima?) occupato dal nemico e poi raggiungere il colonnello dell'altro plotone prima dell'attacco. La missione assume anche un significato personale perché in quel plotone c'è anche il tenente Blake, fratello del caporale.

Come avrete già letto, la particolarità e anche la grandiosità del film (e il motivo per cui va assolutamente visto sul grande schermo!) consiste nel fatto che è girato come fosse un unico piano-sequenza, apparentemente senza montaggio né cesure (se non in un paio di occasioni, in cui però lo schermo che si oscura è funzionale a quanto avviene nella storia, come nel caso della caduta di Schofield dalle scale a seguito della quale perde i sensi risvegliandosi quando è ormai notte). La scelta è di sicuro effetto perché crea questa incredibile illusione che le poco meno di 24 ore in cui si svolge la storia corrispondano - per qualche arcana magia - alle circa due ore in cui siamo seduti in poltrona. A questo si aggiunga che la telecamera che segue i due soldati si muove quasi sempre alla loro altezza, come se fosse un terzo personaggio dell'azione che osserva da vicino - direi meglio dall'interno - quello che accade ai due protagonisti, poggiando lo sguardo su di loro, intorno a loro e oltre loro. Com'è stato da più parti osservato, Sam Mendes sembra ispirarsi al tipo di visione che caratterizza videogiochi di guerra come Battlefield e Call of Duty, cosa che molti hanno interpretato come un elemento svilente, ma che a mio parere dimostra una capacità di padroneggiare linguaggi differenti e di utilizzarli mettendoli al servizio delle proprie finalità narrative.

Certo è che Sam Mendes riesce nella non certo facile impresa di trasformare una guerra di posizione e di attesa come la prima guerra mondiale, una guerra difficilissima da rappresentare al cinema anche per la minore portata emotiva e simbolica che la caratterizza rispetto alla seconda guerra mondiale, in un racconto teso e vibrante, immersivo - come è stato detto -, trascinando lo spettatore nel fango, tra i topi, sotto le macerie, nel mirino di un cecchino. A rafforzare tutto questo una fotografia di altissimo livello che rende davvero epiche alcune scene, anche se talvolta a scapito di una piena credibilità. E alcuni momenti, vedi la scena del soldato che canta Wayfaring stranger in piedi con tutti i suoi commilitoni intorno seduti a terra tra gli alberi, sono anche particolarmente poetici.

Sul piano dunque della confezione cinematografica siamo decisamente ad altissimi livelli, dalle parti di altri grandi film di guerra, non lontani dalle vette del Dunkirk di Nolan.

Qualcuno però ha sottolineato che questa perfezione stilistica manca di pathos e di empatia, e che il film, una volta spogliato della sua confezione, mette in evidenza l'esilità dei suoi contenuti e rivela l'inconsistenza del suo messaggio. Anche su questo però non sono del tutto d'accordo. Sam Mendes utilizza un elemento narrativo tipico dei film di guerra, quello dell'eroe che sacrifica sé stesso per salvare altre vite, ma a poco a poco ne rivela l'insensatezza. Quando siamo pronti finalmente a celebrare l'eroe e a portarlo in trionfo al compimento della sua impresa, il colonnello MacKenzie (che come altri alti gradi dell'esercito è interpretato da un attore famoso, Benedict Cumberbatch, ma dice pochissime battute ed è assolutamente marginale e forse anche estraneo all'azione) con una semplice frase rivela l'inutilità di questo eroismo perché le vite umane salvate sono destinate a essere sacrificate al prossimo ordine di attacco. Emerge così in tutta la sua dirompenza l'orrore di una guerra che Mendes mostra sì attraverso le immagini, ma soprattutto ci suggerisce, facendoci riflettere sul sacrificio insensato di milioni di giovani in una ripetizione di massacri e morte fino alla consunzione delle forze in campo, lasciando un intero continente devastato materialmente e moralmente. Rispetto ad altri film in cui la retorica dell'eroe in battaglia viene portata fino in fondo e mai messa in discussione, mi pare che Mendes si assuma la responsabilità - dopo averla cavalcata - di metterla in crisi e capovolgerla, assestandole dunque un duro colpo.

Voto: 4/5

4 commenti:

  1. Non l'ho trovato inconsistente, ma piuttosto molto fine a se stesso. Mi è mancata l'epicità, nonchè la plausibilità della storia (a un certo punto sembra davvero di essere dentro un videogioco, con il protagonista che ha sette vite come Terminator). Un bellissimo esercizio di stile, tecnicamente di altissimo livello, ma che non aggiunge nulla a una già folta filmografia di genere.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In merito alla plausibilità sono d'accordo con te, soprattutto per certi passaggi. Ma direi che questa è una caratteristica tipica dei film di guerra. Per il resto rispetto il tuo giudizio, peraltro condiviso da molti critici, ma per me questo film è un altro tassello - piuttosto originale - che si unisce e arricchisce il filone dei film di guerra.

      Elimina
  2. Nella parte finale in effetti c'è meno retorica rispetto a quanto ci si poteva aspettare. Dopo tutto è un film British e non un'americanata. :)
    Devo dire però che a livello di emozioni - parere puramente personale - non è un film che mi ha regalato moltissimo, ma questa ammetto che è una colpa più mia che non del lavoro di per sè.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Probabilmente Mendes punta meno all'aspetto emotivo che alla perfezione tecnica e questo certamente è un difetto. Vedremo cosa accadrà agli Oscar!

      Elimina

Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!