Alessandro Piva è un regista (mio conterraneo, e lo dico con orgoglio) che ha dimostrato - durante la sua ormai piuttosto lunga carriera cinematografica - di essere estremamente versatile: oltre ad aver realizzato film molto diversi tra loro (da Mio cognato a I milionari per esempio), Piva ha confermato nel tempo di essere anche in grado di passare dal cinema di finzione al documentario, mantenendo intatta la sua maestria.
Il suo ultimo lavoro, Santa subito, che ha vinto il Premio del pubblico alla Festa del cinema di Roma del 2019, appartiene appunto al genere del documentario, in quanto racconta la storia vera di Santa Scorese, una giovane che la sera del 15 marzo del 1991 fu pugnalata a Palo del Colle, il paese dove viveva con i genitori, da un ragazzo più grande di lei, con problemi psichiatrici, che la perseguitava da oltre tre anni, morendo durante la notte a soli 23 anni.
Piva, che è presente in sala all'Apollo 11 per presentare il suo film, ci dice che si è imbattuto in questa storia per caso, ma che la vicenda di Santa lo ha colpito così tanto - anche grazie al racconto della sorella Rosa Maria Scorese, presente essa stessa in sala - da aver deciso di raccontarla in un lungometraggio.
Il film è costruito soprattutto attraverso interviste: innanzitutto ai suoi familiari, i genitori di Santa e appunto sua sorella Rosa Maria, in secondo luogo agli amici e conoscenti che Santa ha frequentato durante la sua vita. Accanto alle interviste il racconto dà voce anche alle parole di Santa, grazie al diario e alle lettere che sua sorella Rosa Maria ha deciso di rendere pubbliche. Ne viene fuori il ritratto di una ragazza piena di vitalità e di forza che, giovanissima, aveva intrapreso un cammino di fede che l'aveva portata alla decisione di voler prendere i voti. Il contesto è quello della città di Bari e della provincia barese negli anni Ottanta, che poi è quello in cui anche io sono nata e cresciuta (Santa oggi avrebbe avuto pochi anni più di me).
Dunque nel film di Piva io personalmente riconosco tanti elementi che appartengono anche alla mia storia nonché una specie di sentimento collettivo e un modo di vivere la religiosità con cui a quel tempo sono entrata in contatto anche io, e che penso sia particolarmente tipica di quello specifico contesto.
Ci sono poi invece nella storia di Santa fattori che trascendono ampiamente il contesto nel quale viveva e che rendono la sua storia emblematica della difficoltà - invero ancora oggi niente affatto superata nonostante i progressi legislativi - della società e dello Stato nel proteggere una donna dalla persecuzione e dalla violenza di un uomo.
C'è sicuramente nel film di Piva questa denuncia, come è evidente dalla dedica che recita "a chi sopravvive", ma c'è molto di più, ossia l'adesione emotiva e l'empatia verso il dolore - dignitoso ma inestirpabile - di chi ha amato Santa e ha cercato di difenderla con tutti i mezzi che aveva a disposizione, in primis i suoi genitori, nonché il riconoscimento della forza d'animo che ha spinto Rosa Maria a diventare una testimone attiva della storia di sua sorella e a farne un monito e uno strumento per lavorare sul cambiamento di una società in cui la violenza sulle donne è purtroppo ancora una ferita costantemente aperta.
Una nota infine di apprezzamento anche per le musiche del film, del giovane compositore Mattia Vlad Morleo, e per la fotografia (meravigliosa una delle inquadrature iniziali su un terrazzo dipinto di calce bianca con i comignoli sullo sfondo di un cielo nero e gravido di pioggia su cui compaiono a uno a uno i componenti della famiglia Scorese).
Voto: 3,5/5
lunedì 10 febbraio 2020
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