La messa in scena dell'opera di Elias Canetti La commedia della vanità da parte del regista Claudio Longhi è un lavoro imponente da tutti i punti di vista. Dura quasi tre ore e mezza (articolandosi su tre atti), porta sul palco 23 attori, capeggiati dal bravissimo Fausto Russo Alesi, più 2 musicisti, si avvale di una scenografia sontuosa che fa pensare a un circo al cui centro c'è una specie di gabbia di metallo, nonché di video realizzati appositamente per lo spettacolo e costumi studiati con grande attenzione e realizzati con grande originalità. Inoltre la rappresentazione prevede non solo l'utilizzo del palco, bensì anche della platea e dei palchetti ai vari piani, tutti spazi che in vari momenti dello spettacolo vengono utilizzati dagli attori durante l'azione.
All'interno di questa confezione così importante, grande è anche il lavoro fatto per l'adattamento del testo di Elias Canetti che racconta di un mondo distopico, nel quale chi governa emana un editto per bandire specchi, fotografie e opere d'arte che rimandino agli esseri umani l'immagine di sé stessi allo scopo di combattere il grande male della vanità.
La prima parte dello spettacolo vede l'entrata in scena, a uno a uno o in piccoli gruppi, di tutti i personaggi, come fossero davvero gli attori freak di un circo Barnum. L'atmosfera è festosa ma grottesca, e tutta l'azione ruota intorno al fuoco verso il quale tutti convergono per bruciare fotografie e specchi. In un certo senso, alla fine di questa prima parte si ha l'impressione di aver assistito a una festa macabra, ma pur sempre a una festa.
Nella seconda parte, l'atmosfera cambia: la dittatura della lotta alla vanità ha portato con sé effetti distorsivi e conseguenze emotive sui protagonisti, che diventeranno espliciti nella terza parte dello spettacolo in cui questi uomini e queste donne avranno completamente perso la propria identità e saranno costretti a ricorrere a un sanatorio fatto solo di specchi.
Sul piano dei contenuti mi fermo qui, perché - devo essere sincera - mentre ho seguito bene e con attenzione la prima parte dello spettacolo, sulla seconda e la terza ho avuto sempre maggiori difficoltà a seguire dialoghi e discorsi sempre più complessi e alienanti (oltre che alienati), cosicché è diventato complicato star dietro al turbinio dell'azione (in cui tra l'altro gli attori interpretano personaggi diversi).
A un certo punto, durante la terza parte, in un momento in cui la platea era parzialmente illuminata mi sono guardata intorno, e - oltre alle numerose poltrone svuotate delle persone che erano andate via prima - ho visto molte teste ripiegate su sé stesse e facce stravolte. E pure io e F. non abbiamo potuto sfuggire a momenti di crollo che hanno reso ancora più difficile seguire un racconto di per sé stesso complesso e denso.
Non mi è sfuggito il senso complessivo del testo di Canetti (che ovviamente può facilmente essere messo in relazione con il presente e con gli onnipresenti selfie), né la sontuosità dello spettacolo di Longhi e la bravura degli attori nell'interpretare questi personaggi un po' estremi e talvolta disturbanti o disturbati, ma non posso certo dire di essere riuscita a tenere viva l'attenzione per l'intera durata dello spettacolo.
Cosicché molte cose mi si sono chiarite solo l'indomani quando mi sono letta il programma di scena, molto interessante e molto ricco di approfondimenti, e un po' di recensioni. Per onestà intellettuale, evito dunque di dare un voto a qualcosa che forse sta al di là della mia capacità di valutazione. Quello che posso dire è che forse si tratta di uno spettacolo che pecca un po' di ambizione.
Voto: ?/5
mercoledì 19 febbraio 2020
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