Ho amato molto a suo tempo il libro di Sàndor Màrai, tanto da aver deciso di leggere anche altri romanzi dello scrittore ungherese. Cosicché quando ho saputo della trasposizione teatrale de Le braci non mi sono lasciata sfuggire l'occasione di andare a vedere lo spettacolo diretto da Laura Angiulli e interpretato da Renato Carpentieri e Stefano Jotti.
La scenografia è interessante: l'angolo di una stanza primonovecentesca con quattro poltroncine, un tavolino, una stufa a legna. Su una parete, appoggiata al muro, una grande cornice vuota, che - si capirà più avanti - rappresenta il terzo personaggio della storia, assente; su un'altra parete, una porta che si spalanca per far entrare Henrik, il padrone di casa, il quale ha ricevuto una lettera che gli annuncia il ritorno dell'amico Konrad che non vede da quarant'anni e con cui ci sono dei nodi irrisolti.
Nel romanzo molta parte della narrazione avviene nella mente e nei ricordi di Henrik che, mentre attende il suo ospite, passa in rassegna quello che è accaduto in quel lontano passato e che ha condizionato la vita di tutti, una vicenda in cui una parte importante l'ha avuta la moglie di Henrik, Krisztina, morta ormai da molto tempo.
L'incontro tra i due avviene dunque solo alla fine del romanzo, quando Henrik ha già fatto il proprio scavo interiore e ha sottoposto il passato a un bilancio rispetto al quale il confronto con Konrad diventa quasi superfluo.
La scelta della regista - probabilmente anche per rendere la messa in scena più dialogica e movimentata - è quella di far entrare nell'azione Konrad quasi subito, trasformando un flusso di ricordi e un dialogo interiore in una conversazione vera e propria. L'esito, dal mio punto di vista, è poco convincente e credo che le cause siano diverse: da un lato, l'inevitabile semplificazione linguistica che ne deriva e che in parte toglie potenza alla scrittura di Màrai (in cui le parole sono ben più importanti delle trame), dall'altro, una recitazione per me non del tutto efficace, in particolare da parte di Stefano Jotti, che interpreta Konrad in un modo che oscilla tra l'ingessato e l'ammiccante.
Alla fine dello spettacolo - che dura circa un'ora - mi rendo conto di averci ritrovato poco delle emozioni che il libro di Màrai mi aveva trasmesso, e confrontandomi con le altre amiche che hanno letto il romanzo, constato che si tratta di una sensazione condivisa. Dunque, è molto probabile che l'operazione di trasposizione, certo non facile, sia riuscita solo in piccola parte.
Voto: 2/5
mercoledì 12 febbraio 2020
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