giovedì 24 giugno 2010

Le braci / Sàndor Marài

Le braci / Sàndor Màrai; a cura di Marinella D'Alessandro. Milano, Adelphi, 1998.

Cinque giorni di pedalata tra le campagne e le colline dell'Alsazia. Cinque giorni di stacco dal lavoro e dalla vita di tutti i giorni. Tre libri all'attivo, di cui poter scrivere nei prossimi giorni.

Sono tornata con una gran voglia di scrivere. Non tanto di raccontare, quanto di scrivere. Non so, è che quando sono inquieta la scrittura forse è l'unica cosa che riesce davvero a calmarmi.

E direi che parlare de Le braci di Sàndor Màrai mi dà certamente l'occasione di scrivere non di eventi, ma di sentimenti, di emozioni, della vita e delle sue contraddizioni. In questo romanzo, infatti, non accade praticamente nulla. Ci sono due uomini, Henrik e Konrad, che si incontrano dopo più di quarant'anni per chiarire e capire ciò che quarant'anni prima li ha divisi. In realtà, è un lunghissimo monologo di Henrik, sebbene sia la presenza silenziosa di Konrad a conferire carica emotiva a questo racconto di sentimenti.
I due uomini, di estrazioni sociali differenti, hanno condiviso un'amicizia lunga e profonda, fino a quando l'amore per la stessa donna, Krisztina, e un episodio avvenuto durante una battuta di caccia - e che è destinato a rimanere in qualche modo in parte nell'ombra - non li separa fino a questo nuovo, a lungo atteso incontro.

Henrik ha aspettato quarant'anni questo momento, per sapere, per darsi una spiegazione, per avere la conferma di ciò che ha compreso da solo, per trovare pace. Forse non otterrà delle risposte. Ma forse, in qualche modo, non ne ha più bisogno, perché i sentimenti sono come il fuoco che prima arde visibilmente, poi lo fa silenziosamente sotto la cenere, ma poi, prima o poi, si spegne, conservando solo una tenue memoria del calore distruttivo e al contempo salvifico che ha prodotto.

Ho praticamente divorato il libro, perché dentro ci sono tutti i temi che mi toccano il cuore: l'amicizia, la passione, l'amore, la memoria, il tempo, il significato della vita. Credo - ancora una volta - di essere stata colpita soprattutto da questa dinamica che mette le nostre piccole vite a confronto con lo scorrere ineluttabile del tempo.

Henrik è stato un giovane che ha aggredito la vita, ha preso tutto quello che ha potuto senza ringraziare e forse senza neanche realizzare appieno la propria fortuna. Per lungo tempo, non si è fatto domande, non ha cercato risposte. Sembra non aver conosciuto sensibilità e delicatezza, difficoltà e ricerca di sé, ciò a cui da sempre Konrad è - in qualche modo - condannato, diverso proprio per questo.
Due uomini opposti, dunque. Eppure, al termine delle loro vite, alla resa dei conti, non vediamo davvero la differenza. La vita ha riservato a entrambi grandi sentimenti, partenze, ritorni, tradimenti, sofferenze, abbandoni, scelte difficili. E lì, arrivati a quel punto, tutto si relativizza, tutta la tensione si scioglie, non perché acquisti senso, ma forse perché smettiamo di cercarlo.

Continuo a pensare che siamo davvero animali strani noi umani. E non capisco del tutto per quale scherzo del destino la nostra evoluzione ci ha voluto con una mente dotata di una proiezione nel tempo, che forse è l'unica cosa che ci distingue realmente dagli altri esseri viventi. Certo, è in qualche modo la nostra grandezza questa, di vedere al di là di noi stessi e di poter agire e ragionare in una prospettiva di ben più lungo termine, ma è anche la nostra condanna. La consapevolezza della finitezza di noi e di tutte le cose della nostra vita irrimediabilmente ci spinge a perseguire non esclusivamente il nostro destino biologico, ma a conferire un senso a quello che facciamo, a caricare di significato le cose della nostra vita, a percepire la provvisorietà dei momenti di felicità e di perfezione, ma anche la loro straordinarietà e bellezza.

Henrik e Konrad hanno aspettato quarant'anni, si sono ostinatamente tenuti aggrappati alla vita per poter dare una risposta alle rispettive scelte di esilio volontario, l'uno nel proprio castello, l'altro nelle terre lontane dei Tropici. E ora che sono lì, si rendono conto di aver passato la vita a elaborare quella risposta, al punto tale che in fondo non li interessa più. Forse è quella che qualcuno definisce la saggezza della vecchiaia e che, forse, altro non è che approssimarsi della fine e accettazione della vita con l'incertezza e l'insensatezza che si porta con sè. Eh sì, perché in fondo niente ci appartiene veramente, nel senso che possiamo di fatto governarne il percorso. Non certamente le persone che amiamo e i sentimenti che proviamo per loro, non quello che facciamo e le motivazioni che ci muovono, non le nostre emozioni e il loro andamento.

Cosa ci rimane dunque? I nostri pensieri, la nostra capacità di riflettere su noi stessi, la possibilità di sviluppare una consapevolezza, il senso di eternità e al contempo la sua relativizzazione, la prospettiva di fare forse pace con il tempo, con le persone che amiamo e che abbiamo amato, con quello che abbiamo fatto e che avremmo potuto, con quello che siamo e che avremmo potuto, con noi stessi. E magari, di tanto in tanto, il senso del presente.

Sì, siamo condannati a essere diversi, soprattutto se la nostra pelle è sottile, il nostro animo fragile, la nostra sensibilità esasperata, la nostra mente costantemente proiettata su se stessa e sul mondo circostante. Condannati a vivere tutto con intensità fin eccessiva, a cercare l'impossibile risposta, a inseguire moti di un animo a volte impazzito, a rileggere continuamente noi stessi e la realtà che ci circonda. Ma senza le braci che ardono dentro di noi saremmo solo cenere priva di vita. E quando l'animo si quieta, come dice Henrik, forse abbiamo deciso che abbiamo vissuto abbastanza.

Voto: 5/5

P.S. So cosa state pensando: che ho bisogno di un'altra vacanza! ;-) Mi sa tanto che avete ragione.

2 commenti:

  1. Che libro meraviglioso! Concordo col voto 5/5, perché pochi come Marai sanno scavare in profondità tra le pieghe dell'animo umano, sanno rivelare anche i pensieri più nascosti e scabrosi, che occultiamo anche a noi stessi. Pochi avrebbero saputo fare altrettanto: centrare un intero libro su un incontro, dove niente si muove e accade esternamente e dove tutto si svolge nelle coscienze e nell'animo dei due protagonisti.
    Marai è davvero un grande, purtroppo poco conosciuto. Se non hai letto altro di lui ti consiglio soprattutto L'eredità di Ester e Divorzio a Buda, senza voler comunque sottovalutare gli altri.
    Sono felice di aver trovato una estimatrice di Marai. E' uno dei miei scrittori preferiti :-)
    Mara

    RispondiElimina
  2. Grazie dei suggerimenti... Sicuramente li comprerò prossimamente! Spero che saranno all'altezza di questo!!

    RispondiElimina

Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!