domenica 27 giugno 2010

Bright star

La premessa. A Bruxelles Bright star lo danno solo allo Styx, un cinema non molto distante da casa, ma che ancora non conosco. Bene, mi dico. Sarà anche l'occasione per sperimentare un altro cinema, oltre quello sotto casa.

A parte il fatto che lungo il percorso scopro l'esistenza di una interessante brasserie che magari diventerà meta di future uscite mangerecce, arrivo al cinema un quarto d'ora in anticipo. La cassa è chiusa e la maschera mi chiede se posso pazientare un po'. Ovviamente rispondo: "nessun problema". Verso le 19,05 (il film dovrebbe iniziare alle 19,10) arriva un ragazzo barbuto e molto di sinistra - trafelato - che apre la cassa e tira fuori patatine e bibite. A me e a un altro ragazzo in fila dice: "Ero alla festa a Matongè (per inciso, si tratta di Matongè en couleurs); scusate. Era bella. Ho fatto un po' tardi". Il ragazzo accanto a me gli dice che non c'è bisogno di scusarsi. Io sorrido silenziosamente.

Vado in sala e per un attimo mi sembra di essere al Politecnico Fandango a Roma. Sono da sola in una sala da 25 posti, con uno schermo da home theatre. Dopo poco arrivano il ragazzo di prima e una signora, che si siedono dietro di me parlando una lingua dell'Est. Penso: che situazione assurda! Ma divertente!

Intanto le luci si spengono e il film comincia. Certo, faccio più fatica del solito a seguire: il film è in inglese e in molti punti si tratta di citazioni di versi di Keats, e i sottotitoli in francese non sempre mi aiutano... Comunque, mi dico, se il film è ben fatto mi convincerà lo stesso.

Fondamentalmente si tratta di una storia d'amore, quella tra John Keats (poeta di modesta estrazione e senza soldi, interpretato da Ben Whishaw) e la sua vicina di casa Fanny (borghese dedita all'arte del cucito e del ricamo, interpretata da Abbie Cornish). Due mondi apparentemente lontani e che sulle prime non si capiscono e fondamentalmente si trattano con sufficienza, ma che l'amore metterà in contatto producendo uno scambio appassionato. Un amore che ha tutte le caratteristiche di un tempo lontano (John e Fanny sono costantemente seguiti dal fratello e dalla sorellina di lei, i due non possono fidanzarsi né sposarsi per la condizione di lui, la tubercolosi si porta via John giovanissimo), ma che ha anche un'universalità che trascende il tempo e lo spazio, come la poesia, suo corollario e immortale prodotto.

Senza la grandezza dei versi del poeta, l'incontro tra John e Fanny non sarebbe molto diverso dall'amore tra due giovanissimi, con tutta l'esasperazione dei sentimenti che questo comporta, con tutte le schermaglie, gli apparentemente stupidi giochi che gli amanti inventano per sentirsi vicini, con tutte le sue ingenuità, con la sensazione della sua precarietà. Ma quando l'amore incontra la poesia si trasfigura e acquista quell'eternità e immortalità che lo sollevano dalla finitezza del quotidiano. E la musa di questa poesia ritrovata da parte del poeta è Fanny, il cui sguardo, la cui partecipazione alla storia è ciò che più interessa Jane Campion.

Mi è piaciuto? Sinceramente non saprei dirlo.
Certamente la fotografia è superba. Alcune immagini di Fanny nella natura con quella perfezione visiva e di colore che le caratterizza, alcune sequenze che ci trasmettono la freschezza e l'affezione dei due innamorati (quando giocano con la sorellina di lei che li precede, o quando avvicinano i letti al muro per sentirsi vicini attraverso di esso, quando sono accucciati sul letto con le fronti appoggiate) lasciano decisamente a bocca aperta e probabilmente valgono il film.

Devo, però, ammettere che, come mi era capitato per altri film della Campion, durante tutta la visione non mi abbandona mai una sensazione di gelo, la percezione di una formalità e di una perfezione stilistica che non sempre trova soluzione nella storia e non produce una reale elaborazione emotiva nello spettatore.

C'è qualcosa che accomuna Abbie Cornish/Fanny a Nicole Kidman/Isabel Archer di Ritratto di signora a Holly Hunter/Ada di Lezioni di piano. Donne dalle personalità straordinarie, condannate all'infelicità, ma capaci di affrancarsi moralmente e intellettualmente da una società che le vuole inferiori, quintessenza di una manifesto quasi politico.

Purtroppo, però, non mi abbandona ogni volta la sensazione di una lezione di stile, in un'atmosfera il cui manierismo raggela, espressione di un dramma letterario che fa fatica a prendere realmente vita.

Voto: 3/5

P.S. Sono contenta che uno dei prossimi post sarà dedicato a Le perfezioni provvisorie di Carofiglio, perché in qualche modo questo titolo e il film appena visto mi sembrano avere molto in comune.

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