mercoledì 21 settembre 2011

Terraferma

La terraferma è una costruzione mentale, un’aspirazione di stabilità, un concetto relativo che niente ha a che vedere con il significato geografico del termine.

La terraferma è un bisogno di cui soltanto l’uomo di mare, ossia colui che il mare ha scelto come sua patria e il cui mondo è la propria barca, può fare a meno. Per costui la terraferma è quasi una minaccia che va a sconvolgere i delicati equilibri costruiti tra la propria vita e il mare. Così è per Ernesto (Mimmo Cuticchio), l’anziano capofamiglia e pescatore, che nonostante abbia perso un figlio in mare, continua a seguirne imperterrito e fiero le leggi.

Al di fuori del mondo ancestrale rappresentato da Ernesto, tutti sono (forse tutti siamo) alla ricerca della propria terraferma.

Per i migranti provenienti dall’Africa, la terraferma è quello scoglio in mezzo al mare che rappresenta per loro il primo passo di una vita diversa, l’inizio di un sogno a lungo coltivato e per il quale hanno sopportato molte traversie e sofferenze.

Per Nino (Giuseppe Fiorello), il figlio di Ernesto, quel medesimo scoglio è la terraferma da cui trarre ricchezza grazie al fatto che la bellezza di quest'isola ne fa la meta turistica per molti altri.

Per Giulietta (Donatella Finocchiaro), rimasta vedova dopo la scomparsa del marito in mare, la terraferma è la Sicilia, uno spazio di libertà e di indipendenza che la sottragga alla povertà e ai chiusi orizzonti della piccola isola dove vive.

Per Filippo (Filippo Pucillo, l'attore feticcio di Crialese), il nipote di Ernesto, la terraferma è un’idea ancora da costruire, come le proprie scelte di vita e i propri punti di vista. La sua faccia "tra il tordo e l’ingenuo" (una faccia quasi da attore degli anni 50-60, che sarebbe stata benissimo in un film della serie Poveri ma belli) si guarda intorno ancora un po’ spersa, affascinata dal mondo del nonno fatto di regole chiare e dirittura morale, divertita dal mondo dello zio Nino, dai balli di gruppo sulle navi, dalle belle turiste del nord, dalla possibilità di fare soldi più facilmente, commossa dalla sofferenza amorosa di sua madre.

In questo microcosmo si combatte una quotidiana lotta per la sopravvivenza, in cui le regole antiche non bastano più a dare delle risposte alla complessità del mondo moderno, in cui non ci sono vincitori né vinti, ma solo sopravvissuti che disperatamente si aggrappano alla vita.

La natura può essere – come quest’isola - di una bellezza tale da lasciare senza fiato, e al contempo così ruvida e inospitale da risultare indomabile. Eppure uomo e natura hanno costruito nel tempo un equilibrio fragile e dinamico.

Invece, agli squilibri della società contemporanea, ai bisogni indotti che il nostro modello economico ci impone, alle disuguaglianze sempre più marcate che determina, alla infinita lotta tra poveri che innesca, ognuno cerca di rispondere come può e crede, ed è evidente che nessuno stato né legge umana sono in grado, con le loro semplificazioni, di dare delle risposte. Così il dramma diventa inevitabile. Basti pensare a ciò che accade a Lampedusa in questi giorni.

Emanuele Crialese ci invita a guardare e a guardarci - tutti – con compassione. Tutti.

Sara (Timnit T.) e i suoi figli che inseguono il loro sogno. I migranti che sono mossi dalla disperazione. Gli anziani pescatori che vogliono tener fede alle leggi del mare. I giovani che cercano altre strade nei labirinti di una modernità in parte incomprensibile. E Filippo che deve ancora diventare uomo e che tutte queste contraddizioni le sperimenterà drammaticamente sulla propria pelle.

Certo, un Crialese meno poetico che in Nuovomondo. Il risultato però è altrettanto potente dal punto di vista emotivo, sebbene perseguito, più che attraverso immagini evocative, attraverso un denso impianto narrativo che fa incontrare e deflagrare questi mondi. Non si tratta di un linguaggio diverso, né si tratta dello stesso linguaggio dei suoi film precedenti.

Forse Terraferma è "semplicemente" la terza puntata di una trilogia, (di cui Respiro e Nuovomondo costituivano le prime due), un’opera circolare in tre atti, che – come accade quando facciamo il giro completo attorno a un’isola - ci fa tornare al punto di partenza ma dopo aver potuto allargare lo sguardo a 360° in tutte le direzioni.

E dunque, eccoci, siamo di nuovo qua. Chissà se abbiamo imparato qualcosa.

Voto: 4/5

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