Per completare il mio personale percorso tra i film protagonisti degli Oscar di quest'anno, vado a vedere Judy, il film diretto da Rupert Goold e interpretato da Renée Zellweger, che per questa interpretazione ha vinto sia il Golden Globe che l'Oscar.
Il film è la storia dell'ultimo periodo della vita della cantante e attrice Judy Garland, figlia d'arte, attiva nel mondo dello spettacolo fin da piccolissima e portata al successo internazionale dal film Il mago di Oz in cui interpretava, sedicenne, la protagonista Dorothy.
Nella pellicola di Goold Judy ha quattro matrimoni alle spalle, tre figli (di cui Liza già grande), è piena di debiti e fa fatica a trovare un ingaggio perché è considerata inaffidabile, in quanto spesso sotto l'effetto di alcol e droga (nonché dipendente dai sonniferi che le sono stati somministrati fin dai tempi in cui interpretava Dorothy).
Quando le viene proposto un tour a Londra, Judy decide alla fine di accettare anche se questo significa allontanarsi dagli amatissimi figli, in particolare i due più piccoli che restano con il padre Sid (Rufus Sewell). A Londra Judy sperimenta l'amore intatto del pubblico, ma anche la difficoltà personale a garantire performance sempre all'altezza della sua fama, alternando picchi di entusiasmo e di grande sintonia con il mondo circostante (e in uno di questi momenti si unisce in matrimonio con il giovane Mickey) e fasi depressive in cui affoga la tristezza nell'alcol e calma le ansie con i sonniferi.
Il film si sofferma ampiamente sulle grandi qualità performative della Garland, una cantante sopraffina e una donna di spettacolo a 360°, ma ancora di più prova ad andare in profondità nella sua vita intima e nella sua personalità, mettendone in evidenza la solitudine profonda, le fragilità, il quasi patologico bisogno di essere amata. È struggente a questo proposito - e forse è uno dei passaggi migliori del film - la serata che Judy trascorre dopo un suo spettacolo con una coppia (gay) di suoi fans, che alfine la accolgono a casa come fosse una persona di famiglia, quella famiglia che Judy da sempre cerca e che in fondo non ha mai trovato stabilmente.
Il film di Goold riconduce - forse in maniera un po' meccanica - le fragilità affettive e le dipendenze di Judy al periodo in cui girava Il mago di Oz e il produttore del film, Louis B. Mayer, vero padre e padrone su un set in cui il regista era cambiato 5 volte, la sottoponeva a varie forme di angherie e di pressioni pratiche e psicologiche per garantirsi di portare a casa il risultato. Goold sembra dunque suggerire che la pellicola che l'ha portata al successo è stata anche una condanna per la vita adulta di Judy.
Il risultato cinematografico di questa operazione è dignitoso e a tratti anche commovente e suggestivo, ma senza la recitazione di Renée Zellweger - che personalmente ho apprezzato per l'intensità emotiva, ma non sono in grado di valutare in termini di confronto con il modello - probabilmente finirebbe consegnato alla storia come un biopic ben fatto ma senza picchi di originalità.
Voto: 3/5
lunedì 24 febbraio 2020
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