Dopo qualche anno di assenza dalle scene a causa dei noti problemi di carattere personale che lo hanno coinvolto, Marco Paolini torna finalmente al suo pubblico con un nuovo spettacolo teatrale che vede protagonista l'eroe omerico.
Con la splendida regia di Gabriele Vacis e le magnifiche scenografie (penso agli specchi sospesi sul fondo del palco, che fungono anche da gong, e alla pioggia di luccicanti coperte isotermiche a un certo punto dello spettacolo), Marco Paolini impersona un Ulisse ormai anziano, che con un remo in spalla e seguito da un ragazzo che non apre bocca, è in cammino su un sentiero di montagna diretto non si sa bene dove. Su questo sentiero incontrerà un giovane pastore di capre che gli chiederà di raccontare la sua storia. Ulisse non è incline a rivelare la propria identità - dice infatti di essere "il calzolaio di Ulisse" - ed è reticente al racconto, ma a poco a poco - e a seguito di varie contrattazioni con il giovane - emergono prima frammenti e poi stralci sempre più ampi della vicenda che lo ha portato da Troia alle lunghe peregrinazioni nel Mediterraneo e infine a Itaca.
Si scoprirà solo più avanti che il giovane che lo segue è suo figlio Telemaco, che il pastore di capre è il dio Hermes e che il sentiero che Ulisse sta percorrendo è quello che conduce allo Chalet Olimpo, dove gli dei stanno organizzando una festa.
Sul palco, insieme a questi tre personaggi, un ulteriore, piccolo palco dove una band composta da Saba Anglana, Elisabetta Bosio, Vittorio Cerroni, Lorenzo Monguzzi, Elia Tapognani commenta musicalmente il racconto con musiche originali di Lorenzo Monguzzi e alcune cover, come ad esempio As tears go by dei Rolling Stones. I musicisti e cantanti sono di volta in volta anche interpreti, in particolare Vittorio Cerroni interpreta Hermes, ma a turno anche tutti gli altri interloquiscono con Ulisse: ad esempio Saba Anglana sarà Penelope nell'ultima parte dello spettacolo.
Pur dentro una cornice narrativa che potremmo definire postmoderna e con un testo che mescola antico e moderno e che gioca con le parole, strappando anche qualche risata, la narrazione della vicenda di Odisseo è piuttosto fedele all'originale omerico, sebbene su alcuni episodi ci si soffermi poco o si accenni solo di sfuggita, dedicando invece più spazio e attenzione ad altri, in particolare al ritorno a Itaca. Personalmente ho trovato quest'ultima parte un po' troppo tirata per le lunghe, anche se posso comprendere che ad essa viene affidato un ruolo importante nella trasmissione del messaggio insito nello spettacolo.
Il focus del testo è la demitizzazione dell'eroe omerico, di cui viene più volte sottolineato non solo il coraggio e la tenacia, ma anche la brutalità con cui ha ucciso nel suo viaggio centinaia di persone, e non sempre per necessità. Il culmine di questo climax di violenza lo si raggiunge con l'ecatombe dei Proci e l'impiccagione delle ancelle che si erano loro concesse.
Questa spietatezza, la cui responsabilità non viene certo abbonata a Ulisse, dal momento che - come spesso fanno gli uomini - si è talvolta atteggiato lui stesso a dio decidendo del destino altrui, è però anche e soprattutto attribuita alla superficialità e al capriccio di questi dei infantili e senza scrupoli che si divertono a giocare con la vita degli esseri umani, senza mai pagarne le conseguenze. E dunque forse Ulisse sta percorrendo il sentiero verso lo Chalet Olimpo per chiudere questo conto.
Lo spettacolo di Paolini rispetto ai suoi precedenti contiene sicuramente molti elementi di novità, prima tra tutte la mescolanza del racconto con la musica, nonché una drammaturgia più articolata e parecchio distante dal classico teatro di parola di cui Paolini è uno dei massimi interpreti. Il risultato è affascinante e godibile, sicuramente molto didattico (e non a caso nel pubblico ci sono moltissimi giovani), ma forse meno dirompente di altre sue prove.
Voto: 3,5/5
venerdì 21 febbraio 2020
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