Approfitto di una serata speciale organizzata presso il Centre Saint Louis di Roma da Medici Senza Frontiere per recuperare questo documentario realizzato da Matteo Calore, Stefano Collizzolli, Andrea Segre.
Il documentario è stato girato al confine tra Italia e Slovenia, sulla cosiddetta rotta balcanica, tra il 2020 e il 2021, quando è stata introdotta e applicata diffusamente in quell’area la procedura delle riammissioni informali. In pratica, gli immigrati arrivati sul territorio italiano che avrebbero dovuto essere identificati e avere la possibilità di fare domanda d’asilo venivano rimandati indietro senza che niente di tutto ciò venisse fatto.
A seguito delle ripetute notizie su questo tipo di procedura, i registi hanno deciso di proporre un approfondimento sulla situazione della rotta balcanica, raccontando con le parole degli stessi migranti – di diverse nazionalità – le loro storie, migranti che affrontano questo viaggio (che può durare anche molti anni) tentando poi quello che tutti chiamano il “game”, ossia il superamento del confine verso uno stato dell'Unione Europea.
La realtà di questi migranti che tentano di raggiungere l’Europa via terra mi era in parte già nota non solo grazie alle fonti di informazioni, ma soprattutto grazie al film Life is (not) a game, in cui la street artist romana Laika si recava personalmente nella zona di quello che era il campo profughi di Lipa, in Bosnia, andato a fuoco a dicembre del 2020 e entrava in relazione con alcune persone coinvolte nel game.
Ascolto dunque nel film di Calore, Collizzoli e Segre parole, storie, considerazioni che evidentemente si ripetono uguali per persone diverse, fatte salve le differenze individuali e a volte il differente esito della loro vicenda.
Recentemente avevo anche visto Green border, il film che Agnieszka Holland ha dedicato alle storie dei migranti che, provenendo sempre dalla rotta balcanica, tentano di entrare in Europa dal confine tra Bielorussia e Polonia.
Le scene, i maltrattamenti, la disumanità, ma anche alcuni piccoli spiragli di speranza, di bellezza e di umanità, si ripetono identici, raccontandoci di un’Europa che si comporta come un fortino sotto assedio, e che sul fronte delle politiche migratorie rifiuta di adottare politiche comuni e di ragionare in maniera più collaborativa e più accogliente.
Tutti noi continuiamo a vivere le nostre vite – più o meno privilegiate – mentre ai nostri confini si consumano quotidianamente tragedie delle quali non vogliamo occuparci e che ci basta siano messe sotto il tappeto della nostra ipocrisia collettiva.
Nella nostra piccineria collettiva so, però, con ragionevole certezza, che la storia a un certo punto uscirà dagli argini che continuiamo a costruirle intorno e su questo, come su altri problemi collettivi, travolgerà tutto e tutti.
Ogni tanto sinceramente me lo auguro.
Voto: 3,5/5
venerdì 10 gennaio 2025
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