sabato 18 gennaio 2025

Diamanti

Ho smesso di andare a vedere i film di Ferzan Ozpetek dopo aver visto La dea fortuna nel 2020 ed esserne rimasta delusa. Fino a quel momento avevo visto quasi tutti i film del regista turco, ma da qualche tempo cominciavo a percepire un disallineamento, anzi un allontanamento dai temi trattati e dal suo stile. Torno quest’anno al cinema a vedere un suo film, dopo averne sentito parlare molto bene da alcuni amici e aver letto alcune recensioni che ne parlano come di uno dei suoi migliori negli ultimi vent’anni.

I Diamanti di Ozpetek sono le donne, e più precisamente le tante attrici con cui ha lavorato nel corso del tempo e con cui costruisce l’impianto emotivo di questo film. La storia della sartoria Canova qui raccontata è infatti inserita dentro una metanarrazione che vede protagonisti lo stesso regista e il suo cast nel momento in cui il primo presenta il suo progetto cinematografico e, insieme a un folto gruppo di attrici e pochi attori intorno a un tavolo imbandito, lo va definendo con loro.

Ci troviamo così catapultati negli anni Settanta, a Roma, nelle stanze occupate da una famosa sartoria gestita da due sorelle, Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella (Jasmine Trinca), che guidano un gruppo di donne che realizza costumi per il cinema e il teatro. A prendersi cura di tutte loro, come una madre amorevole, è Silvana (Mara Venier), che gestisce gli spazi e la cucina. Mentre la sartoria riceve l’incarico di realizzare gli abiti per l’ultimo film di un famoso regista, la cui costumista è stata in passato anche premiata con l’Oscar (Vanessa Scalera), ciascuna delle donne della sartoria si divide tra la passione per il proprio lavoro e la vita privata, tra mariti violenti, figli depressi, storie segrete, lutti, abbandoni e piccole e grandi gioie.

Ne viene fuori il ritratto di una comunità femminile in cui da un lato si ha l’impressione di un catalogo di situazioni incredibilmente concentrate in un unico luogo, dall’altro si sottolinea con forza il potere della solidarietà femminile, capace di superare anche le insicurezze individuali e di valorizzare la forza vitale di ognuna.

La scelta metacinematografica di Ozpetek è certamente volta a non mascherare la finzione ed è al contempo una dichiarazione d’amore al cinema e all’essenza stessa del femminile, due cose centrali nella storia personale del regista.

Non posso dire che non abbia guardato gradevolmente il film, ma non ho potuto fare a meno di trovarlo poco incisivo: non so se per la presenza di attrici sì brave, ma ormai inevitabilmente collegate al nostro immaginario da fiction televisiva, ovvero per questa tematica femminile e femminista un po’ abusata e depotenziata per eccesso di semplificazione (si guardi anche la mia recensione di C’è ancora domani, che è un altro film che mi ha fatto un pochino lo stesso effetto), o ancora per una sceneggiatura un pochino banale, il film di Ozpetek mi è sembrato un buon prodotto televisivo, che rispetto a quanto io adesso mi aspetto dal cinema resta distante parecchie miglia.

E la bellezza estetica delle immagini – valorizzate dal grande schermo – non ha potuto compensare questa impressione.

Voto: 2,5/5


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