L’Amleto shakespeariano è per Filippo Timi solo il punto di partenza – se non addirittura quasi un pretesto – per parlare del suo mondo e in particolare della fase di vita che sta vivendo, di fatto una crisi di mezza età che si manifesta come desiderio di giocare, ridere, ballare e uscire allo scoperto, in un modo che solo il teatro consente.
Non è un caso che per questo suo ultimo lavoro, Filippo Timi (che è regista e interprete dello spettacolo) si sia circondato di amici e sodali, Lucia Mascino, Elena Lietti, Marina Rocco e Gabriele Brunelli, che condividono con lui questa operazione di riadattamento in chiave pop e kitsch e si mettono completamente al servizio della vena folle che attraversa Amleto al quadrato.
L’impianto del tutto imprevedibile e schizofrenico dello spettacolo è chiaro fin dal principio, quando - dopo la voce fuori campo di Timi che, impostatissima, ci rimanda alle atmosfere shakespeariane a sipario chiuso – vede comparire sul palco davanti al sipario una moderna Marilyn Monroe (Marina Rocco) che recita appieno la sua parte di soubrette bionda, seducente e svampita.
Quando il sipario si apre, dietro una specie di cancellata che crea l’effetto di una gabbia (quella di un circo, o di un carcere?), Amleto e gli altri personaggi si muovono dentro una scenografia si colloca in un immaginario che oscilla tra De Chirico e La Chapelle, dominata da un trono e palloncini sospesi a varie altezze tutto intorno.
Timi è un Amleto annoiato e blasé, che non ha alcuna voglia di recitare il proprio ruolo, e forse in generale di recitare il ruolo che la vita stessa impone a tutti noi. E così sfugge, deborda, saltella, entrando e uscendo continuamente dal personaggio e conducendoci nei territori del suo immaginario visivo, musicale, concettuale, che sono spesso pop e kitsch, mentre chiama anche al dialogo il pubblico, che sta lì nel buio, ma non è mai silenzioso, bensì coinvolto in questa atmosfera goliardica e ridanciana.
Intorno a lui personaggi altrettanto improbabili, da una madre Gertrude sboccata e cafona (una Lucia Mascino sempre più strepitosa) a una Ofelia negletta e testardamente attaccata al suo personaggio, a dei personaggi maschili (Polonio e Laerte) anche loro triturati in questo universo queer che va oltre i confini e le buone maniere.
Se da un lato Timi/Amleto abbatte continuamente la quarta parete che lo separa dal pubblico rivelando la finzione e quasi stigmatizzandola, dall’altro la figura della soubrette interpretata – ancora una volta in maniera splendida da Lucia Mascino – che ha scelto di fare l’attrice e non la scienziata - rivela in maniera nemmeno tanto nascosta l’amore per il teatro e la recitazione che attraversa questo spettacolo, e che Timi svela esplicitamente nei saluti finali al pubblico.
In questo universo rutilante, in cui si passa da Lorella Cuccarini alla musica classica, dalle tartarughe ninja ai drammi familiari, non sono sicura che tutto si tenga: lo spettatore è frastornato dalla carica vitale di Timi e dei suoi attori e si lascia trasportare dalle parole anche quando non ne capisce il senso o il nesso. Però alla fine il teatro è proprio questo: cadere nella tana del bianconiglio dove tutto è rovesciato, ma che regala prospettive nuove su sé stessi e sul mondo.
Dopo un paio di spettacoli di Timi che non mi avevano molto convinto (Un cuore di vetro in inverno e Promenade de santé), ero un po’ prevenuta, ma questa volta l’attore perugino mi ha conquistata, e soprattutto Lucia Mascino ha dimostrato di essere una delle attrici più brave e versatili del teatro italiano sulla scena in questo momento.
Voto: 4/5
mercoledì 22 gennaio 2025
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