mercoledì 28 ottobre 2020

Festa del cinema di Roma, 15-25 ottobre 2020 - Seconda parte

(Per la prima e la terza parte delle recensioni si veda qui e qui)

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Été 85

Fino a qualche anno fa consideravo Ozon uno dei registi più interessanti della sua generazione. E ancora oggi alcuni dei suoi film mi fanno pensare di non essermi sbagliata. Il regista francese è però imprevedibile e inquieto, e il risultato è una cinematografia difficilmente classificabile e molto altalenante, con sprazzi di genialità e cadute irrimediabili.

Nel caso di Été 85 ad esempio siamo di fronte a un pastiche cinematografico, in cui a partire da un romanzo young adults, Dance on my grave di Aidan Chambers, Ozon costruisce un film che mescola i generi: thriller, romantico, erotico, giovanilistico, commedia.

La storia inizia con il giovane Alexis che è stato portato in commissariato per un crimine che ha commesso e che ha a che fare con la morte di un ragazzo, David.

Da qui inizia in flashback il racconto - che scopriremo essere un testo scritto dal protagonista su invito del suo insegnante - dell'estate dell'85, quella in cui Alexis, sedicenne ombroso e insoddisfatto, dopo un incidente in barca, viene salvato da David, affascinante diciottenne che fin da subito lo conquista con i suoi modi spontanei ai limiti dello sfrontato.

David ha una madre fragile e protettiva con cui gestisce il negozio di articoli di pesca che era del padre morto.

Fin da subito tra i due ragazzi nasce un'amicizia che ben presto evolve in una storia d'amore fino al tragico momento che spariglia tutte le carte in tavola.

Dentro il film c'è un po' di tutto: una citazione de Il tempo delle mele, la fascinazione della morte da parte di Alexis, il grottesco e il macabro, la voglia di vivere, l'amore, la gelosia... e tutto questo in modo un po' spiazzante e a volte per me alquanto disturbante.

Tra l'altro l'aspettativa che Ozon crea fin dalla prima sequenza del film è destinata dal mio punto di vista a essere delusa da un'evoluzione narrativa che non convince del tutto.

Per me un film con alcuni elementi molto interessanti, ma nel complesso riuscito solo in parte. Evidentemente però sono in minoranza visto che il film ha vinto il Premio del Pubblico BNL.

Voto: 2,5/5



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After love

Questo film - non so bene per quale motivo - era finito nella mia lista dei "forse" e alla fine avevo preso il biglietto quasi per sbaglio.

Ma come a volte capita nella vita per le cose che non abbiamo scelto razionalmente, questo film mi ha fatto innamorare e, sebbene mentre scrivo questa recensione il mio festival è ancora lungo e ho ancora molti film da vedere, sono ragionevolmente sicura che After love rimarrà uno dei miei preferiti.

In sala al MAXXI ci sono il giovane regista Aleem Khan e il produttore e durante l'intervista ci raccontano che la vicenda del film è ispirata alla storia vera della madre di Khan.

After love racconta di Mary, che quando si è sposata con Ahmed si è convertita all'islamismo e ha preso il nome di Fahima. Da allora vive all'interno e secondo le regole della comunità pakistana di Dover, avendo imparato a parlare l'urdu e a cucinare i piatti tradizionali. Una sera, tornati a casa dopo una festa, Ahmed si siede in poltrona e non si sveglia più.

Per Mary è uno shock. Nei giorni seguenti la donna deve affrontare tutto il dolore e la tristezza della morte improvvisa di suo marito, ma soprattutto si trova a fare i conti con una verità sconvolgente che per tanti anni Ahmed le ha tenuto nascosta.

Non sarebbe giusto nei confronti dei lettori rivelare oltre della trama del film.

Quello che però possiamo dire è che After love è la storia dell'incontro tra due donne e tra due modi di vivere la mancanza.

Come ci dice il regista, è un film che punta non tanto sulle parole e sul dialogo, quanto sui sentimenti che passano attraverso il volto delle protagoniste. E sono sentimenti potentissimi, che Khan sceglie di rappresentare in maniera semplice e diretta puntando molto sull'empatia delle sue attrici e arrivando diritto al cuore dello spettatore.

Pur trattandosi di una situazione non certamente comune, per me l'immedesimazione in tutti i protagonisti è stata trascinante ed è rimasta viva anche nei giorni a seguire.

Voto: 4/5



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I carry you with me - Te Llevo Conmigo

Arrivo a questo film completamente impreparata. Devo aver letto la trama molto velocemente e so solo che è un film messicano. Per cui mi lascio completamente andare al racconto, che poi personalmente è la cosa per me più bella del cinema.

Il film di Heidi Ewing si ispira a una storia vera. I protagonisti sono Iván e Gerardo. Il primo è un aspirante chef, padre di un bambino, perché pur essendo gay si è sposato in quanto costretto dalle convenzioni sociali a nascondere il suo orientamento sessuale. Gerardo viene invece da una famiglia benestante, ma anche nella sua infanzia ci sono episodi dolorosi legati alla non accettazione da parte della famiglia, in particolare del padre, delle sue tendenze omosessuali.

Iván e Gerardo si innamorano, ma Iván non riesce a mantenere la sua famiglia e a realizzare il suo sogno di diventare chef, così decide di emigrare illegalmente negli Stati Uniti. Dopo un anno, Gerardo, non riuscendo a partire legalmente, decide anche lui di attraversare illegalmente per raggiungere Iván.

Dopo moltissima gavetta e fatica, la loro vita riuscirà a decollare, ma Iván pur avendo realizzato il suo sogno soffrirà della lontananza dal figlio e dell'impossibilità di rivederlo.

La regista decide di raccontare questa storia in maniera non lineare, partendo dalla fine, ossia dai tormenti di Iván, per poi procedere avanti e indietro nel tempo, con flashback che risalgono non solo alla gioventù dei due uomini in Messico ma anche alla loro infanzia. Ma questa non linearità non va a beneficio del film, che a mio modesto avviso risulta a tratti un po' confuso dal punto di vista narrativo.

La storia d'amore tra questi due uomini è molto bella, soprattutto perché si inserisce dentro il quadro complesso dei rapporti tra Messico e Stati Uniti e delle assurde politiche statunitensi (e non solo) nei confronti degli immigrati. Ultimamente è un tema che per motivi diversi si è imposto alla mia attenzione, aiutandomi a capire tante cose su cui fino a qualche tempo fa sapevo poco e su cui non avevo riflettuto adeguatamente.

Un film dunque lodevole su più fronti, ma dal mio punto di vista non del tutto riuscito.

Voto: 3/5



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Le discours

La commedia francese di Laurent Tirard ha come mattatore assoluto l'attore Benjamin Lavernhe, che interpreta il protagonista.

Adrien è a una cena di famiglia insieme ai suoi genitori e a sua sorella che presto convolerà a nozze con il suo fidanzato. È proprio quest'ultimo a chiedere ad Adrien di tenere un discorso il giorno del matrimonio. Tutto ciò avviene dopo che Sonia, la compagna di Adrien, ha deciso di prendersi una pausa del rapporto.

Sul discorso che dovrà tenere si concentrano così tutte le ansie e le idiosincrasie del protagonista, che - rivolgendosi direttamente e continuamente a noi spettatori - racconta aneddoti, situazioni, vicende che vanno dal patetico all'esilarante.

Il risultato dovrebbe essere una commedia brillante e divertente sulla nostra inadeguatezza rispetto all'amore e alla vita di coppia, ma a me la scelta del dialogo diretto con lo spettatore dopo un po' infastidisce e per di più il protagonista mi risulta tendenzialmente antipatico, al punto che finisco per sperare che Sonia lo molli definitivamente.

Voto: 2/5



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Druk - Another round

Thomas Vinterberg è uno dei fondatori di Dogma 95, di cui ha scritto il manifesto insieme a Lars Von Trier. Il suo nome è stato infatti per molti anni legato al suo film Festen, che di Dogma 95 è una delle espressioni più significative.

Nel corso degli anni però Vinterberg si è allontanato dai dettami di Dogma spostandosi verso un cinema più "leggero" ma non per questo superficiale o frivolo.

In questo ultimo film protagonista è Martin (Mads Mikkelsen), sposato, due figli, insegnante di storia in un liceo.

Martin è entrato in una routine che gli ha tolto verve e gioia di vivere, con conseguenze negative sulla dinamica familiare e sui rapporti con i suoi studenti. Quando un amico e collega gli parla di una teoria secondo la quale nasciamo con un deficit dello 0,05% di alcol nel sangue e che colmare giornalmente questo deficit migliorerebbe umore e prestazioni, Martin e i suoi tre amici come lui frustrati dalla quotidianità decidono di fare questo esperimento. Sulle prime la strategia funziona ma ben presto la cosa sfugge loro di mano con conseguenze più o meno tragiche, parzialmente compensate da un finale ottimista e frizzante.

Il film di Vinterberg mi ha fatto pensare alle riflessioni fatte durante il mio viaggio in Danimarca, la nazione più felice del mondo come si autodefinisce. La sensazione, confermata da questo film, è che i paesi nordici, fors'anche per la loro matrice luterana e calvinista, vivano con difficoltà una specie di pressione sociale alla felicità e alla realizzazione di sé e facciano fatica ad accettare fallimenti, debolezze e quotidianità noiosa. Il loro rimedio a tutto ciò è nell'alcol che tra l'altro contribuisce ad allentare quelle rigidità sociali e umane che caratterizzano questi popoli.

L'alcolismo è un problema sociale enorme in alcuni di questi paesi (vedi ad esempio la Svezia), e per questo il film di Vinterberg si muove su un terreno molto scivoloso e che rischia a tratti di essere politicamente molto scorretto, salvo riprendersi tutte le volte in corner.

Certamente è un po' riduttivo dire che Another round parli solo di alcune realtà geografiche e culturali, visto che in realtà fa i conti con un tema ben più universale, che è quello della tensione tutta umana tra il bisogno di stabilità e conformismo e la spinta verso la novità e il cambiamento, un tema che come recita già il titolo di questo blog mi è molto caro.

Però personalmente non sono riuscita a entrare in sintonia con i quattro amici protagonisti del film, che in buona parte ho trovato patetici, mentre il finale mi ha dato l'idea di essere consolatorio senza affrontare il cuore del problema.

Voto: 2,5/5



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Ammonite

L'ammonite - come recita Wikipedia - è un esemplare di un gruppo di molluschi cefalopodi estinti che risalgono a 400 milioni di anni fa.

Mary Anning - la protagonista di questo film - è un personaggio storico: nata a Lyme Regis nel Dorset nel 1799, aveva una passione per la paleontologia e, nonostante fosse povera e poco istruita, scoprì e studiò numerosi esemplari di fossili preistorici, alcuni dei quali attirarono l'attenzione della comunità scientifica, formata a quel tempo quasi esclusivamente da uomini di classe sociale elevata.

È a partire da questo personaggio storico al contempo oscuro e affascinante che prende le mosse il racconto che Francis Lee ci propone nel suo ultimo film, in cui il ruolo della donna è affidato alla sempre eccellente Kate Winslet.

Sulla verità storica il regista innesta una vicenda privata frutto di invenzione narrativa, ossia l'incontro di Mary con la giovane Charlotte (la altrettanto brava e bella Saoirse Ronan), moglie di un aspirante paleontologo giunto a Lyme per apprendere i segreti della Anning.

La giovane attraversa una depressione dovuta a una tragedia personale, cosicché il marito decide di lasciarla in Dorset per beneficiare dell'aria di mare e trovare nuovi stimoli.

Mary è una donna introversa e silenziosa, scostante, rigida nella postura e negli atteggiamenti, completamente rinchiusa nel suo bozzolo, dedita esclusivamente alla madre malata e alle sue ricerche di fossili. Inizialmente Mary vede Charlotte come un'intrusa ma quando la ragazza si ammala e dovrà occuparsene un flebile sentimento di affezione si accende in lei. Dopo la guarigione la ritrovata esuberanza da parte di Charlotte scardinerà a poco a poco l'armatura che Mary si è costruita facendo sbocciare fatalmente l'amore tra queste due donne così diverse, eppure così complementari.

Il ritorno a casa di Charlotte e la morte della madre di Mary metteranno quest'ultima di fronte alla necessità di una scelta non facile e non scontata.

Il film di Francis Lee si avvale di una ricostruzione di grande effetto e di un paesaggio di notevole impatto dentro il quale si muovono due attrici che regalano sfumature e intensità a questa relazione. L'erotismo e la passione si fanno largo attraverso abiti ingombranti e stratificati, allentano anche metaforicamente quei lacci che costringono i corpi delle donne dell'800.

La Winslet è notevole nel trasmettere l'idea di sentimenti trattenuti da cui però ogni tanto sfuggono piccoli segnali di disgelo: un accenno di sorriso, l'addolcirsi dello sguardo, un movimento della mano. La Ronan invece fiorisce a poco a poco mettendo a nudo una spontaneità e una istintività nei sentimenti, e anche una dolcissima malizia da cui non si può che rimanere conquistati (ma io sono di parte).

La chimica tra le due funziona abbastanza bene. E se anche Kate Winslet e Saoirse Ronan possono interpretare due donne innamorate, allora forse il mondo sta proprio cambiando.

Voto: 3,5/5

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